Cinema. Ma Toto Tolo racconta le migrazioni tra riso, patate e cozze

Tolo Tolo di Checco Zalone fa ridere, partiamo da qui. Dal risultato più importante per un film che si dichiara comico. E lo fa nonostante le alzate di scudo (e le giravolte) di tutti coloro che hanno accusato l’attore barese preventivamente di razzismo, per poi assolverlo in nome di chi sa quali valori. Strappa una risata anche al netto di chi prima ha innalzato lo stesso Zalone ad alfiere del politicamente scorretto per poi bandirlo tra le lande del buonismo. Invece, investendo ancora una volta sulla ricetta quanto mai pugliese e vincente del riso-cozze-e-patate, ha saputo affrontare il vastissimo e spinosissimo tema delle migrazioni, senza rimanere intrappolato in narrazioni isteriche, precostituite o di parte.

Zalone lo ha fatto con intelligenza (e un pizzico di glicemica bontà, certo). Raccontandoci una storia dove non esistono affatto eroi senza macchia, dove ognuno dei protagonisti (o per necessità o per vizio o per narcisismo) è titolare di qualche peccatuccio. Bianchi e neri, indistintamente. Finito il film, non sembra affatto che Luca Medici (vero nome di Checco!) voglia andare a parare da qualche parte. Semmai mette in luce che nella dialettica sterile tra chi vuole i porti aperti e chi li vuole chiusi, a saldare i fronti arriva come sempre l’interesse esclusivamente personale e italiota.

Zalone, in questo, è orgogliosamente meridionale. Destrutturato, cinico ed essenziale. E soprattutto sospettoso di qualsiasi parola d’ordine, sia essa del Duce, della Boldrini o di Tito Boeri. Ma anche delle parabole politiche di chi, da disoccupato del Sud, trasloca ai vertici del potere continentale senza averne le qualità.

Per questo motivo, al di là degli incassi, Tolo Tolo rappresenterà negli anni a venire una testimonianza circa le amarezze di quest’epoca storica. La verità è che nessuno è disposto ad ammettere che sul tema del fenomeno migratorio vige fin troppa ipocrisia. O non se ne parla o la si butta sùbito in caciara. Incriminando – peggio ancora – chi solleva degli interrogativi legittimi sui limiti dell’accoglienza. Esistono però delle vie di mezzo. La concretezza, gestita spesso da volontari sinceri (diciamolo!). Esistono anche i rischi, ed è inutile negarlo. Esistono inoltre le culture di provenienza e quelle di approdo. Entrambe soggette a impoverimento.

Oltre gli slogan e i protocolli d’emergenza (Mare Nostrum o #zerosbarchi), negli anni l’Italia non si è dotata di un suo modello migratorio da gestire o correggere. Il risultato è che il nostro Paese, in concomitanza delle grandi crisi del Mediterraneo (crisi che l’Italia ha subìto), si è trovata sola, impreparata, lacerata e giustamente impaurita. Parlarne oggi a partire da una risata firmata Checco Zalone, può forse servire ad affrontare il problema liberi da stress. Con serietà.

@fernandomadonia

Fernando M. Adonia

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