Foglie&Pietre. L’ottusità delle sardine e la libertà di Gramsci (lettore del fascista Céline)

L.F.Celine

In tempi di conformismo nauseante, il novecento ci pone di fronte alla libertà di ricerca intellettuale che avevano i grandi pensatori. Nessun pregiudizio, tanta curiosità e voglia di conoscere gli avversari culturali. Esattamente l’opposto di quello che postulano le sardine, che, galvanizzate da una ribalta mediatica costruita dai media progressisti, pensano di poter indicare – come in un decalogo – quali interlocutori sono degni di essere ascoltati e quali dovrebbero essere ridotti al silenzio.

Un testimonianza ben differente arriva da uno scritto di Giampiero Mughini, intellettuale libertario, che racconta così la passione del pensatore comunista Antonio Gramsci per Luis Ferdinand Céline, il più importante scrittore fascista del Novecento.

“Un regista – scrive Mughini – che è stato un cantore di quella generazione, il mio amico Marco Tullio Giordana, mi ha mandato qualche giorno fa le foto di alcuni libri appartenuti a Antonio Gramsci quando era recluso in un carcere fascista, libri che adesso sono custoditi nel Fondo Visconti (Luchino) della Fondazione Gramsci, accanto a quelli di Palmiro Togliatti, Giancarlo Pajetta e altri. Ebbene tra quei libri consumati dal Gramsci condannato dal fascismo perché il suo cervello smettesse di ragionare c’erano tre libri in lingua originale del Louis-Ferdinand Céline degli anni Trenta, il Voyage au bout de la nuit del 1934, il Mort à crédit del 1936 e lo spettacolare pamphlet Mea culpa del 1937 scritto di ritorno dall’Urss staliniana, dove Céline era andato a godersi i diritti d’autore dei due precedenti romanzi. Mica male un Gramsci che poco prima di morire legge, o più probabilmente divora, il resoconto il più aguzzo e spietato dell’orrore del comunismo reale che sia stato pubblicato negli anni Trenta”.

Chapeau, Giampiero!

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Geronimo Barbadillo

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