Interviste. Cresti e la scomparsa della musica: “Avanguardia e idee trasformative dell’Arte”

Agitatore culturale, musicista, saggista, musicologo, Antonello Cresti analizza ciò che da sempre dovrebbe essere avanguardia, il proiettarsi cioè verso il superamento del senso comune nutrito da conformità proiettate su varie angolazioni. Insieme a Renzo Cresti pubblica un testo, edito da Novaeuropa edizioni, dal titolo La scomparsa della musica. Musicologia con il martello, un’imponente curatela che si propone di analizzare il ruolo dell’essenza della musica e di ciò che la circonda all’interno della società contemporanea, divenuta cassa di risonanza di un sistema ideologicamente liquido e strategicamente anticonformista.

L’avanguardia artistica. Che direzione prende nell’odierno contesto sociopolitico?

“L’idea che possa esistere un movimento di avanguardia, termine che, lo confesso, allo stato attuale più che evocare fenomeni di rottura mi fa pensare all’avvitamento asfittico degli ambienti accademici, non può essere disgiunta da un atteggiamento protagonistico da parte degli animatori dell’ambiente artistico. Finché esiste una idea “trasformativa” dell’arte, ossia una convinzione che essa rappresenti, ancor più che un fenomeno estetico, una leva per elevare l’uomo individualmente e collettivamente, l’avanguardia è senza dubbio un modo per esprimere questa energia e convinzione. Ma al giorno d’oggi, in cui pure resistono esperienze creative di tutto rispetto, scompare la dimensione del collettivo e queste avventure rimangono per così dire “liquide”, “monadiche”. E’ una dinamica che rimanda all’avvitamento esistenziale planetario in cui ci troviamo, e alla quale pare non esservi rimedio… Per metterla in altri termini dunque, il mondo è attraversato ancora da fermenti che potremmo definire di “avanguardia”, ma è quel concetto ad essere scomparso o ad essere utilizzato da una èlite chiusa per certificare il proprio potere”.

Nonostante l’imperversare ormai acclarato dei talent show, è possibile trovare nel mondo della musica uno spazio in cui esercitare un potenziale creativo?

“E’ un meccanismo ovvio, per così dire fatale: in un mondo in cui tutto è nero e scompaiono le zone grigie deve esser pur esservi lo spazio per il bianco. Anzi, lo squallore depressivo e la barbarie del modo in cui la musica si manifesta rendono in qualche modo più facile capire come muoversi… In certi casi si tratta – davvero – di fare semplicemente l’opposto di ciò che il Mercato prescrive… Banalizzazione, nichilismo, spersonalizzazione sono tutti meccanismi da rifuggire con decisione. E si dovrebbe semmai puntare mai come ora sul tentativo di creare qualcosa di destabilizzante. Peccato che molti si illudano che suonare “comprensibili” possa portare qualche fortuna, poiché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un abbaglio”.

Ha un passato da musicista, ora si definiscono musicologo. Qual è il tuo approccio alla musica? 

“Sono sempre stato un ascoltatore. Questo mi ha sempre distanziato dalla autoreferenzialità di certi musicisti, troppo attenti al “loro” mondo… Per me non può esistere autore che non sia davvero interessato alla musica che esiste altrove, eppure vedo tanta poca curiosità nell’ambiente. Il mio avere in qualche modo “abdicato” alla vita da musicista, per abbracciare in maniera più programmatica la scrittura deriva da questa convinzione: volevo trovare il modo che mi permettesse di trasmettere una passione, di divulgare i tantissimi ascolti che mi hanno formato e mi emozionano, provare ad aprire delle porte. Quando un lettore mi dice di aver scoperto attraverso me musiche che adesso ritiene imprescindibili è per un meraviglioso complimento, poiché mi fa pensare a tutte le volte in cui sono stato io nella posizione di farmi “guidare” da altri. Il mio approccio alla musica, dunque, è ben poco scientifico, e basato sull’empatia; utilizzo le categorie tratte dai miei studi e dalle mie letture cum grano salis proprio per non compromettere questa forma di autenticità”.

Quali sono i suoi punti di riferimento artistici?

“La musica mi accompagna, letteralmente, da tutta la vita. Avevo quattro anni quando mi sono innamorato dei Beatles, ma già alle Medie Inferiori ho iniziato ad avvicinarmi a zone di nicchia come il rock progressivo, il canto gregoriano, la psichedelia. L’idea che la musica sia un tramite spirituale di primaria importanza lo debbo probabilmente a Franco Battiato, un altro degli ascolti che mi hanno formato. Adesso ascolto tantissime cose, tutto ciò che mi comunica un senso di trascendenza, ribellione, identità e che non si accontenta di essere, nella migliore dei casi, un soprammobile”.

Lucio Dalla diceva: “(…) Le cose non si cambiano solo con le piazze, si inizia anche dagli individui, ad esempio leggendo libri. Però si deve essere liberi intellettualmente”. E’ un punto di vista da prendere in considerazione per riscoprire la natura innovatrice dell’arte? 

“Imparare a essere liberi non è esercizio da poco… Spesso si scambia la libertà per fare ciò che ci scappa, e non come la più dura forma di disciplina. In “La Scomparsa della Musica” ho dedicato alcune pagine alla riscoperta dell’ascolto, un ascolto consapevole, attento e critico e credo che anche esso possa essere considerato come base per scrollarsi di dosso la passività di questi tempi. L’Arte può ancora condurci sui sentieri di un nuovo Umanesimo, se solo tornassimo a farla rientrare nelle nostre vite…”.

*La scomparsa della musica. Musicologia con il martello. Antonello Cresti e Renzo Cresti, a cura di Stefano Sissa. Con interventi di Giancarlo Cardini, Donella Del Monaco, Enrica Perucchietti, Pino Bertelli, Novaeuropa Edizioni, 2019

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Stefano Sacchetti

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