Libri. “L’estate del mirto selvatico” di Campagna: un noir all’ombra del monte Circeo

Il monte Circeo

In questi giorni di autunno grigio, umido e piovoso, con il buio che ti precipita addosso alle cinque del pomeriggio, leggere “L’estate del mirto selvatico” di Gian Luca Campagna (Frilli Editore) è un’operazione vagamente masochista. Perché gran parte della forza narrativa di questo romanzo risiede proprio nelle descrizioni appassionate dei panorami estivi di una zona (il Circeo, l’omonimo parco nazionale e il litorale di Latina) che l’autore conosce come le proprie tasche e ama senza mezzi termini. Quindi leggere il racconto di Campagna, che si dipana per oltre 200 pagine tra boschi di lecci e pini marittimi, macchie di lentisco e corbezzoli, eucalipti e ginestre, le spiagge di Sabaudia e l’aspro monte che ospitava la maga Circe, può procurare una forte nostalgia dell’estate, del mare, delle atmosfere mediterranee.

Gian Luca Campagna

Ma non appena ci si addentra nel romanzo, ci si rende subito conto che il Circeo di Gian Luca Campagna non ha nulla dell’eden descritto nelle guide turistiche. Anzi, il viaggio nella memoria del protagonista – Federico Canestri, scrittore di mezz’età in crisi familiare e lavorativa – è in realtà un tuffo nel proprio passato “noir” e in quello di un gruppo di amici che il tempo ha diviso e allontanato. Un passato che ancora pesa su Federico ormai adulto e che all’improvviso si ripresenta senza avvertire, come certi ospiti indesiderati.

Vengono ritrovati i resti di un ragazzo in un anfratto del monte Circeo: potrebbe essere l’amico che quasi trent’anni prima era misteriosamente scomparso? Che cosa è davvero accaduto a Dracula, questo il soprannome dell’amico adolescente, un ragazzino timido e complessato che aveva scelto proprio Federico come miglior amico e modello al quale ispirarsi? E che cosa ne è stato degli altri ragazzi che nell’estate del 1990 – l’anno dei Mondiali di calcio in Italia e delle “notti magiche” cantate da Bennato e Gianna Nannini – scorrazzavano tra Sabaudia e San Felice Circeo, tra primi amori, spacconate e rivalità con un’altra banda, in una specie di versione laziale dei “ragazzi della via Pal”?

Sabaudia

Come nella migliore tradizione dei romanzi gialli, per trovare una risposta a queste domande bisognerà attendere le ultime pagine, e non saranno risposte consolanti. In “L’estate del mirto selvatico” Campagna alterna, con maestria e con una scrittura potente ed evocativa, il racconto dei giorni nostri con quello dell’estate di ventinove anni prima, presentando i protagonisti nella duplice veste di adolescenti sognatori e avidi di vita (ma anche crudeli, come spesso possono essere i ragazzini) e adulti ormai privi di speranza, la scorza indurita dalle tempeste dell’esistenza sotto la quale si celano personalità deboli e ancora irrisolte.

Accompagnato dal fedele cane boxer, Canestri si improvvisa detective e affronta una complessa indagine tra le paludi bonificate e le architetture razionaliste di una Sabaudia autunnale, spopolata e decadente. Una duplice investigazione, in realtà: nei meandri della memoria alla ricerca di indizi nella famosa estate del ’90 e, al tempo stesso, nei vicoli ancora più oscuri della sua esistenza, mettendo a nudo i propri limiti e debolezze. A partire da un amore che non c’è più, con il quale è giunto il momento di fare i conti. Fra camminate nel parco del Circeo, sigarette Pall Mall fumate con rabbia, derive alcoliche di whisky e Lacryma Christi e testimonianze di gente che il tempo ha reso ormai irriconoscibile, la verità di quasi trent’anni prima verrà dolorosamente a galla.

*“L’estate del mirto selvatico” di Gian Luca Campagna (Frilli Editore)

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Giorgio Ballario

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