Focus (di A.Mellone). “Fino alla fine”? Il romanzo di un itinerario (da destra) tra idee acciaio e tradimenti

Fino alla fine, romanzo di Angelo Mellone per Mondadori
Fino alla fine, romanzo di Angelo Mellone per Mondadori

Ho scritto Nessuna croce manca nel 2015. Fu un bel successo, ed è forse – a mia memoria – l’unico romanzo di formazione che racconta dei giovani militanti di destra cresciuti negli anni Ottanta. Ma quando ho chiuso la storia, che termina nel 2012, sapevo che Claudio, Dindo, Chiodo e Valeria detta Gorgo non avevano finito la loro storia. Restavano personaggi – il politico di professione, l’intellettuale dannunziano, il vecchio ultras e operario diventato tatuatore, la giornalista – ancora pieni di senso, di cose loro da raccontare. La voglia di continuare a raccontarli mi è venuta quasi subito dopo la chiusura dell’altro romanzo, ho cominciato a lavorarci, a prendere appunti, e già sapevo che, così come Nessuna croce manca parte dalla Puglia, dalla mia Taranto precisamente, e arriva a Roma, il sequel avrebbe compiuto il percorso inverso. Dalla Capitale di nuovo alla Puglia, a Taranto e alla sua acciaieria, una mia antica dolce ossessione (chi mi conosce lo sa). Così dentro Fino alla fine c’è un riassunto delle mie passioni letterarie e civili, e un concentrato di ciò che so sulla natura umana e, nello specifico, sull’antropologia – o i suoi residui – di chi ha scelto la militanza a destra. Cosa resta dei (post)fascisti? Ecco. Però volevo sbizzarrirmi, ed è arrivata l’intuizione di ambientare il romanzo in un futuro prossimo, un po’ più in là di oggi, pochi anni.

Nel 2022. Perché questa leggera distopia ti permette una grande libertà creativa pur descrivendo situazioni verosimili. Per esempio già un anno fa ho pensato che nel 2022 ci sarebbe stato un governo tecnico di centrosinistra, e sono stato facile profeta, mi si dirà. Così come non è assurdo pensare che fra un paio d’anni Lega e Fratelli d’Italia potrebbero fondersi in un Blocco Nazionale. O che l’attuale gestione indiana del Siderurgico di Taranto, Mittal, potrebbe a breve decidere di abbandonare la fabbrica. E così via. Lo scenario è quello di una campagna elettorale rovente, e del ritorno delle mie vecchie conoscenze. Claudio adesso è viceministro al Lavoro, fa parte di un partitino di centodestra che appoggia il governo: è orfano di un caduto sul lavoro nel Siderurgico, e sul suo tavolo piomba il dossier sulla fabbrica: deve gestire lui la crisi. Nello stesso tempo il suo antico capo militante, Chiodo, torna a Taranto, e con un gruppo di nazi-fricchettoni occupa una palazzina nell’isola antica della città. Di lì a poco sancirà con un suo vecchio avversario, Dante De Cataldis, un ex comunista approdato al radicalismo ambientalista, una alleanza per chiudere la fabbrica. Con ogni mezzo. Anche con la violenza. Un unico obiettivo da perseguire: fino alla fine. Il resto – cosa ci fanno Dindo e Gorgo in questa vicenda che, di colpo, assume anche i tratti di una spy story a forza impronta mediatizzata – ve lo leggete, perché sarebbe stupido spoilerare i particolari del romanzo.

Ma cos’è, al di là della trama, Fino alla fine? Ha ragione Andrea Caterini: è un romanzo sul tradimento. Tradimento delle idee. Tradimento dell’amicizia. Tradimento della giovinezza – l’unico che non la tradisce è Chiodo, ma questa scelta non gli porterà bene. E in una trama che si snoda fra ministeri, acciaierie, pub notturni e città in fiamme, amori sgangherati, patti scellerati, periferie anonime, le parti più dense di umanità credo siano i ritorni al passato, i flashback narrativi con cui ripercorro episodi di gioventù dei quattro giovani camerati – i congressi, le sezioni, la scuola, lo stadio – per stabilire la differenza che c’è fra il tempo della speranza e quello della disillusione, in quel piano inclinato che consente comunque a tutti loro, pur nell’abbrutimento e nella “normalizzazione”, di mantenere dei vincoli morali che li rendono in un certo modo ancora differenti antropologicamente. Eterni sconfitti e per questo eterni vincitori. Tutto si svolge, dicevo, all’ombra delle ciminiere del Siderurgico, la questione strategica dell’acciaio e di ciò che si porta dietro – il collasso dell’operaismo, l’ambiente, la fine della politica industriale, la morte produttiva del Mezzogiorno – è lo scenario della battaglia fratricida di Fino alla fine, il pendolo che oscilla fra velleitarismo e pragmatismo, fra ortodossia ideologica e compromesso, fra tradizione e contaminazione, e così via. Nel libro, nei singoli capitoli, queste polarità si incarnano nei personaggi, nella loro umanità complessa. Ecco: al di là della storia in sé, credo di aver creato dei protagonisti attendibili, gente che chiunque abbia fatto politica ha incontrato almeno una volta. Per questo considero questo libro forse il mio miglior prodotto, e non credo che sia una valutazione di comodo. Il resto, i commenti, li aspetto da chi lo leggerà.

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Angelo Mellone

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