Sport. L’Italbasket fuori dai Mondiali, poche luci nell’indifferenza dei media

C’era grande attesa per la prima partecipazione dal 2006 dell’Italbasket ad un Mondiale.

Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando la nazionale –anche in tempi non necessariamente preistorici- vinceva l’Europeo del ’99, l’argento ad Atene 2004 (dopo aver battuto in semifinale la Lituania di Lavrinovic e Jasikevicius) o “sculacciava” gli USA dei giovani virgulti James e Carmelo Anthony.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare che in campo non ci siano più i vari Pozzecco, Myers, Soragna, Meneghin e tanti altri fenomeni. Tutto ciò è massimamente  innegabile, così come è anche vero che la nostra pallacanestro stia da troppo tempo cercando di fare i conti con se stessa e di ritrovarsi. Compito questo non facile, viste le difficoltà strutturali delle nostre leghe e la scarsa valorizzazione di questo sport a livello mediatico nazionale (parliamo della pallacanestro italica, non certo dei beniamini d’oltreoceano che per quanto fenomenali siano, di certo non possono aiutare la nostra rappresentativa). Soprattutto quest’ultimo aspetto appare quantomeno ossimorico, considerando che ancora fino a una decina di anni fa argomenti quali le infuocate finali tra Siena e Roma, le vicende extra sportive della prima ma anche tutte le vicissitudini della gloriosa Olimpia Milano, riempivano se non le prime pagine, almeno erano oggetto di importanti analisi. E invece oggi, tra il disinteresse generale da una parte e le grandi televisioni a pagamento che stanno fagocitando l’offerta televisiva, una rassegna che potrebbe occupare buoni 45’ di una qualsiasi Domenica Sportiva (sulla banalità in cui questa trasmissione è caduta, pur essendo stata un baluardo della cultura sportiva nazional-popolare, si potrebbe elaborare un trattato “spinoziano”) è passata quasi sotto silenzio.

Basti pensare che l’esclusiva di tutte le partite di questa ultima edizione, incluse quelle dell’Italia, appartenga a Sky. Qualcuno osa immaginare quale polverone si sarebbe giustamente alzato se questo trattamento fosse stato riservato ai cugini pallonari: sarebbero seguite sollevazioni di massa, interventi dell’Agcom e interrogazioni parlamentari.

Tralasciando gli aspetti più meramente polemici, l’Italia si presentava in Cina con uno solo dei reduci della spedizione del 2006, quel Marco Belinelli che aveva incantato con 25 punti nella sconfitta contro i soliti USA. Prestazione questa che gli avrebbe spalancato un anno dopo le porte della NBA, lega nella quale il buon Marco milita ancora e dove si sta facendo lungamente apprezzare. Con lui, tanti altri campioni nostrani più o meno affermati: dal mitico Gigi Datome, all’intramontabile Danilo Gallinari (altra stella NBA), passando per Daniel Hackett e Alessandro Gentile ma anche giocatori giovani che però sui parquet nazionali hanno saputo farsi notare, basti pensare a Abass o Della Valle. Non sono mancate come al solito le diatribe (come quella sul figlio del coach, Brian) o le defezioni, prima su tutte quella di Nicolò Melli, neo-giocatore NBA di New Orleans, per via di problemi ad un ginocchio.

Su tutte però, la principale problematica che si è presentata è  stata la proverbiale mancanza di centimetri. Una questione del genere, in uno sport come questo che vede protagonista dei colossi, appare quantomeno simpatica. Eppure, in un basket come quello moderno, dove i centri (numeri 5 o pivot  che dir si voglia) non si limitano più al solo gioco spalle a canestro ma anzi spaziano lungo tutto il fronte d’attacco, arrivando ad offrire soluzione dinamiche fronte a canestro e persino oltre la linea da tre punti, la difesa sui lunghi assume una centralità sempre più marcata.

E in tutto questo, come al solito, ha fatto scuola l’NBA: la ricerca sempre più esasperata del tiro da 3 ha portato a confrontarsi con questo fondamentale o comunque ad offrire soluzioni meno statiche, anche giocatori che solo fino a venti anni fa si sarebbero limitati al gioco duro sotto canestro, fatto di blocchi, tanti rimbalzi e schiacciate sontuose. E invece, capita sempre più spesso che dai 6,75 metri (o 7,25 NBA) a provarci siano i Blake Griffin, gli Anthony Davis o i Josh Smith della situazione.

I nostri, in particolare lo si è visto con la Serbia –squadrone che a roster ha, tra gli altri, i vari Raduljica, Jokic e Bogdanovic , hanno sofferto questo deficit in maniera davvero importante. Nonostante questo preambolo, le aspettative non erano poi  particolarmente basse e quantomeno si partiva dall’ottavo di finale (nono posto) dell’ultima partecipazione.  Il primo gironcino, viene inaugurato dalla bella vittoria sulle Filippine per 62-108; migliori marcatori Della Valle e Datome, con 17 punti a testa. Successo questo, che viene bissato anche nella successiva partita con l’Angola: 92-61. Stavolta il migliore realizzatore è Belinelli, sempre con 17 punti. Nella terza partita, gli azzurri si ritrovano ad affrontare i colossi serbi: in realtà, i nostri per più di metà partita tengono botta, salvo poi doversi arrendersi alla migliore fisicità degli avversari. Il finale, 77-92 mette comunque in mostra il buon meneghino Danilo Gallinari, autore alla fine di 26 punti.

Dopo questa sconfitta, per la banda di Sacchetti, la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta poteva esser ottenuta solo con un successo sulla Spagna. Invece, contro gli iberici più battibili di sempre, arrivati fino al 56-52, dopo esser stati sotto anche di 8, il 67-60 finale, sublimato dal canestro di fatto decisivo a 67” dalla fine di Marc Gasol, non ci rende abbastanza onore. Peccato, perché se si fosse tenuto fino alla fine l’aggressività mostrata –il quale simbolo restano le arcigne difese del nuovo acquisto Olimpia Paul Biligha- evitando le inutili forzature causate dai raddoppi, magari qualcosa di più si sarebbe potuto costruire. Certo è che se la tua stella Belinelli tira 3/16 dal campo per soli 7 punti, le difficoltà aumentano. E al buon Marco non resta che assumersi le responsabilità nel dopo partita.

Ma il peggio di sé, l’Italia doveva ancora darlo: perché un conto è giocare male o comunque sfaldarsi sul più bello, a mo’ di finale contro le Furie Rosse. Un conto è non giocare proprio; e sebbene l’inutilità dell’ultima sfida contro Porto Rico, la prestazione offerta nel primo tempo rasenta il ridicolo: il parziale arriva infatti fino al 44-22 per i portoricani a fine primo tempo. A quel punto, con le spalle al muro e con la necessità di salvare quantomeno un minimo di rispettabilità, l’Italia nei secondi quarti si mette sotto e comincia a lavorare: le difese di Biligha, la voglia (a volte basta semplicemente questa) di Tessitori e Filloy, il fattore tecnico che “esce” alla distanza ed ecco che, addirittura dopo un supplementare, gli italici si prendono la partita per 94-89, con 27 di Belinelli. Certo, questo scatto di orgoglio a nulla è servito in termini di passaggio di turno, ma chiudere gettando il cuore oltre l’ostacolo –sebbene in questo caso suddetto sia stato auto innalzato- fa sempre morale. Insomma, alla fine Italia fuori.

Sorte questa che è precocemente toccata, per inciso, anche ad altre compagini ben più blasonate, come la Grecia della stella Giannis Antetokounmpo. A questo punto sarà interessante vedere chi incoronerà campione questa kermesse anche perché, visto che gli americani si sono presentati con una formazione meno stellare del solito, il maggior equilibrio non farà che aumentare la competitività e l’interesse per la fase ad eliminazione diretta.

Per i nostri colori i motivi di consolazione sono assai minori: chiusa la manifestazione con un record comunque positivo di 3 vinte e 2 perse, che almeno ci consente di sperare nella qualificazione per l’olimpiade di Tokyo, da giocarsi attraverso il torneo preolimpico del luglio venturo, le maggiori speranze arrivano da due giovani talenti, Nico Mannion e Matteo Spagnolo, rispettivamente classe 2001 e 2003 che al momento giocano ad Arizona in NCAA e al Real Madrid. Speriamo davvero che presto possano entrare a far parte in pianta stabile del roster  della nazionale maggiore (Mannion vi ha già debuttato nel luglio 2018), così da poter offrire nuova linfa vitale all’impianto azzurro. L’auspicio poi è quello che davvero si torni a dare piena centralità al movimento cestistico italiano, non solo economica ma anche sui media, affinché questo gioco possa tornare ad esser di pieno interesse nazionale, come del resto gli compete.

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

Exit mobile version