Cultura. L’ineffabile dolcezza degli animali nel Bestiario di Alfredo Cattabiani

Alfredo Cattabiani

Imparare ad ascoltare gli animali. Saper leggere la loro presenza giusta,  silenziosa, simbolica. Giacché diviene sempre più difficoltoso rispettarli. Ogni giorno gli uomini avvelenano la vita di queste creature; e c’è un’immagine enucleata da Alfredo Cattabiani nel suo ripubblicato ‘Bestiario’ (Iduna, 2019), è un’immagine  di “lombrichi della marzolina” avvelenati dai fiumi tossici degli uomini.  “Mi avvicinai un poco inquieto (…): ma non era una bestia esotica sfuggita alla gabbia di qualche  collezionista  di mostri, erano centinaia di lombrichi morti o agonizzanti nel tentativo di sottrarsi all’invasione  velenosa.”

Lo scrittore, i lombrichi, le civette, le api, le lucertole: una sequela di incontri e pensieri proprio nel momento in cui “la natura ha cessato di parlarci…”, perché è stata violentata, avvelenata. Nell’opera di Cattabiani la cultura della tradizione si manifesta come interprete della simbolicità degli animali e come loro difesa.                  E ‘Bestiario’ appare primariamente come narrazione simbolica; lo spiega Gennaro Malgieri  nell’introduzione , “Un gatto – animale molto amato da Alfredo – non è solo un gatto, un leone non è solo un leone, ma tutto il mondo animale, il ‘bestiario’ insomma è anche, secondo Cattabiani, la personificazione,  o trasposizione, di ‘energie  cosmiche’…”

Oggi questa narrazione, dolcissima e atemporale, diviene tuttavia  resistenza morale al consumo  di vita e di terra. Mentre stanno ardendo orsi, volpi e uccelli nelle foreste della Siberia; mentre l’esplosione del caldo inquinato uccide le api, quelle api “pulite e profumate” di Cattabiani; pagina dopo pagina il lettore del “Bestiario” trova un’idea, questa: siamo tutti in colpa se non è ascoltata più la vita degli animali.

Cattabiani  rappresenta un’eredità: dopo più di quindici anni dalla sua scomparsa ci fa riflettere e scrivere sulle creature della terra. Oggi più che mai. Il tutto non solamente per portare avanti topoi letterari, che da Esopo a La Fontaine arrivano sino ad Apolinaire; il tutto, invece, per incontrare una grande bellezza da difendere.

Allora leggiamo  gli incontri  con ‘Le cicale di Saint-Tropez’  in un capitolo che ha un incipit magnifico, “Le cicale cantavano a battaglioni…” Pagina dopo pagina la dolcezza animale si staglia sulle strade chiassose o sulle coste tirreniche. E le cicale hanno un “canto dolcissimo… una ninna nanna di sole.” Poi,  ecco l’asino del Gargano che offre quel che ha; una creatura che pare avvisare lo scrittore: raglia, scalcia, forse per dire che un bimbo è malato, il figlio febbricitante dello scrittore. E giunge anche la lucertola che si trasforma in una compagna occasionale, “che mi pizzica delicatamente la pelle, come se mi desse bacini.” Il giorno seguente, emblematicamente, la lucertola conduce un altro animaletto dallo scrittore, in un’atmosfera incantata, tra le dune dorate.

La letteratura ha con sé un impegno: scoprire l’incanto della vita; nello stesso momento deve elevare il monito per salvare l’incanto. E Alfredo Cattabiani affascina: egli rintraccia la simbologia animale attraverso evocazioni o meglio accoglie innumerevoli incanti della natura nelle sue pagine.

È un libro prezioso questo. Racconta gli incontri tra uomini e animali notturni. Come tra una coppia di amici e una civetta accasata tra gli alberi romani. Così crescono i pensieri in una notte di Ferragosto sui viali dell’Oppio e nello scrittore la civetta suscita “un torrente di citazioni”, ma, prima di tutto, il volatile della fortuna lascia una “voce d’argento”, una voce che smuove l’aria  a mezzanotte, una voce che era ascoltata e tradotta dagli antichi popoli; e Cattabiani sapeva ascoltare e tradurre i canti della civetta.

‘Bestiario’, Iduna, 2019, pagg. 195, 18.00 euro

associazione.iduna@gmail.com

 

 

Renato de Robertis

Renato de Robertis su Barbadillo.it

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