Ritratti. Mauro De Mauro, giornalista ex X Mas, con la passione per la verità

Mauro De Mauro, giornalista ex Repubblica sociale italiana: lavorava in un quotidiano comunista, L’Ora, a Palermo. Oggi sarebbe impossibile per un giornalista libero, o di destra, lavorare in un settimanale progressista, per l’allineamento acritico al conformismo di redazioni e direzioni ***

Non era uno regolare, e lo capivi subito. Naso schiacciato, da pugile, faccia quadrata. Alto, scuro, una sigaretta sempre fra le labbra. Il nome, che sembra un doppio passo, Mauro De Mauro, non lo dimentichi, perché suona. Bizzarro, generoso, un uomo esuberante. Un giornalista dispari. Con una storia piena di capovolgimenti di fronte. Le sue amicizie trasversali. Il suo muoversi in bilico. Il passato da dimenticare. Una sola costante: il coraggio. Non era un grigio, ma uno che agiva, che fiutava le notizie, che sapeva come costruire le inchieste. Scaltro, attento, spietato. Formato durante la guerra, dalla parte sbagliata, intelligence fascista. Un bravo cronista.

Lavorava a Palermo, in un giornale, di sinistra, importante: “L’Ora”. Intorno: le storie da scovare, la mafia che divora l’isola. O ti accontenti, conti i morti, non ti chiedi niente e invecchi o ti spingi oltre. Non è ambizione, quella viene dopo, è indignazione che si fa passione, che scavalca i rischi, pur di raggiungere la notizia. I tuoi comandamenti diventano: capire, raccontare, sbrogliare. Mettere insieme eventi su carta, in fila, colonna precisa di parole, e sopra il tuo nome. Dentro, la verità. In Sicilia è come braccare il filo dell’orizzonte. Lui ci provava, molte inchieste, ben documentate, una scrittura limpida, veloce, ordinata. Buoni colpi messi a segno. La costruzione di un esempio. Quasi un riscatto per gli anni bui che si portava in tasca. Ma tutto si interrompe il 16 settembre del 1970. L’eroe della patria è il superman triste Gigi Riva, il presidente della Repubblica Saragat, le notti italiane agitate, le emozioni ferme a Italia – Germania 4-3. Quella sera di settembre De Mauro sta tornando a casa, abita in via delle Magnolie, una zona nuova di Palermo, ancora non illuminata bene. Ha parcheggiato la sua Bmw, sta raccogliendo le sue cose, sul portone di casa ci sono la figlia e il suo ragazzo, entrano, si avviano, chiamano l’ascensore, ma lui non arriva. La ragazza torna indietro e lo vede di nuovo in auto con tre persone che prima non c’erano. Sente una parola: «ammuninne», che conosce, «andiamo», e lo vede allontanarsi. È normale, il suo lavoro è fatto d’imprevisti. Sono le ventuno. «Tornerà». Alle ventidue e trenta succede una cosa strana, però, la città rimane al buio per più di mezz’ora. Un blackout. Alle tre di notte, la famiglia chiama al giornale per sapere se De Mauro è ancora al lavoro. «Sarà fuori. Tornerà», ripetono anche loro.

È uno sveglio, che spesso tira tardi la notte. Il mattino dopo altre telefonate. Colleghi, amici, ospedali, polizia. Il resto di niente. Viene ritrovata l’auto in centro, intatta. Caffè, vino e sigarette acquistate in un bar poco prima delle ventuno, deposti sui sedili posteriori. Lui non c’è. Svanito. Ha 49 anni, due figlie, è caposervizio di un giornale combattivo, simbolo dell’altra Palermo, ha pochi soldi e molti motivi per essere rapito. A cominciare dal suo passato da combattente nella X-Mas del principe Junio Valerio Borghese, era il suo addetto stampa.

Dopo il 25 aprile fu internato nel campo di Coltano dal quale fuggì, prima a Roma, poi in Sicilia. Processato in contumacia per le stragi della Decima, venne assolto con formula piena. Con lui c’era la moglie Elsa, anche lei repubblichina, conosciuta in una convalescenza dopo un incidente d’auto causato dai partigiani. Alla fine degli anni cinquanta entrò “all’Ora”. Dei comunisti apprezzava la statura morale e intellettuale. Non si inscriverà mai al Pci. Due inchieste su tutte restano fondamentali e lo resero un punto di riferimento del giornale: “Il rapporto sulla mafia” e “Tutti gli uomini della droga”. Pochi mesi prima della scomparsa era passato a dirigere le pagine sportive, il direttore Vittorio Nisticò aveva bisogno di rilanciarle, idee nuove, ci voleva uno in gamba, intelligente. Lui accettò. Stava lavorando ad altro. «Una cosa grossa. Una libera docenza in giornalismo». È quello che ripete in famiglia, a qualche collega, a una amica stretta. Questo scoop proibito, forse è la causa di tutto. Le piste sono diverse, due quelle di peso. I grandi nomi molti di più. In comune hanno la mafia.

La prima storia si chiama Enrico Mattei. La seconda Borghese. Una delle due potrebbe essere stata la causa della sua morte. Sulla prima indaga da subito la polizia, il capo della mobile Bruno Contrada e il suo vice Boris Giuliano. I carabinieri, invece, guidati dal colonnello Dalla Chiesa hanno una idea diversa, pensano al traffico di droga, il giornalista ha scoperto qualcosa ed è stato punito. La seconda  storia, non emerge subito, non potrebbe, in quei giorni è ancora solo un piano, l’azione avverrà tra il sette e l’otto dicembre, e si saprà solo l’anno dopo. La pista Mattei, invece, viene fuori immediatamente, vista la richiesta fatta a De Mauro  –  d’indagare le ultime ore del presidente dell’Eni – da parte del regista Francesco Rosi, che sta preparando un film su quella storia. Enrico Mattei era uno degli uomini più potenti d’Italia, faceva paura a molti, quando il 27 ottobre del 1962 il suo aereo precipita a Bascapè, intorno a Pavia.  Era decollato dall’aeroporto siciliano di Fontanarossa vicino Catania. De Mauro è contento dell’incarico, lo svolge con la solita passione, indaga a fondo, sembra con profitto. Va a Gagliano dove Mattei ha tenuto l’ultimo comizio, parla con molte persone. Ma Rosi, vedrà solo una decina di fogli, sintetici appunti, che gli verranno mostrati dal giudice Terranova. Quasi con la stessa passione del cronista –  telefonando a casa De Mauro la sera del 17 settembre, quando ancora in pochi sanno della notizia – compare  uno strano personaggio, si tratta del cavaliere Antonino Buttafuoco, un commercialista molto noto in città. Poi, si presenta per parlare con la moglie del giornalista e il fratello, Tullio De Mauro, docente universitario, allora.  Il cavaliere rassicura e consiglia, con la saggezza di chi conosce molte cose sulla faccenda. Ma fa anche domande indiscrete – con una certa preoccupazione – sulle indagini. Un mese dopo il sostituto procuratore Saito lo fa arrestare per “concorso con ignoti nel sequestro De Mauro”. Il cavaliere sembra essere il raccordo fra politica e affari. Si parla di nuovi arresti, la stampa si mobilita, la commissione antimafia si scomoda da Roma. C’è un Mister X, potente che potrebbe cadere. Il nome lo fa “Il Mondo”, si tratta di Vito Guarrasi, un avvocato, consulente dell’Eni, passato torbido, amico dei servizi segreti americani, massone, ispiratore del governo siciliano di Milazzo (una maggioranza che vide unirsi Pci, Msi e cattolici).  Ma, quando tutto sembrava portare a una svolta decisiva nelle indagini, il rapporto della polizia si sgonfia, il cavaliere viene rilasciato, e la pista svanisce. “L’Ora” esce con un titolone: “Aiutateci”, ma la città rimane in silenzio.  Dell’uomo robusto a cui piaceva nuotare non si hanno notizie. Anni dopo il sostituto procuratore dirà che interrogando il commissario Boris Giuliano sul perché si fossero fermate le indagini, questi gli rispose: «c’è stato un incontro tra polizia, carabinieri e servizi segreti, tra cui il direttore, il generale Vito Miceli, l’ordine era insabbiare». Infine la pista Borghese. La mattina dell’otto dicembre del 1970 l’Italia rischiò di svegliarsi sotto un regime militare. Il principe Junio Valerio Borghese aveva intenzione di realizzare un colpo di stato, con lui c’erano molti capi militari (tra gli altri Miceli) e di fianco i capi di Cosa Nostra. Poi il golpe fallì. Parleranno dell’accordo i pentiti Tommaso Buscetta e Luciano Liggio.

A Luglio, Borghese era a Palermo. È possibile che De Mauro per il suo passato fosse stato contattato o avesse saputo dell’operazione che si pianificava e volesse denunciarla? Questa ipotesi è probabile, visto che diversi militari frenavano, che alcuni politici dubitavano dell’azione, tanto che a Camillo Arcuri un giornalista del “Il Giorno” era stato fatto recapitare un documento che raccontava il possibile golpe, ma la sua inchiesta non fu pubblicata.  Forse De Mauro voleva denunciare il legame fra parti dello stato e cupola mafiosa. Un mostro, preso da nord a sud, da due bravi giornalisti. Ipotesi, solo questo rimane, e le parole di Giuliana Saladino – anch’essa  “dell’Ora” – : «E col giornalista come finì? Non si sa cosa rispondere.

Ora Mauro De Mauro – l’uomo che fu, il suo corpo, la sua risata, i suoi capelli neri, il suo modo di tenere la sigaretta, la sua voce – è scomparso una seconda volta seppellito dalla matassa d’intrigo con fili robusti d’acciaio e nessun bandolo, perduto in un polverone che non permette orientamento, affogato nelle sabbie di una indagine che è stata tanto frenetica e confusa quanto vana, nascosto dalle cortine fumogene dei grossi diversivi: ora è davvero irraggiungibile, ora di nuovo addio, per sempre».

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Marco Ciriello

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