Il punto (di P.Buttafuoco). Tempi moderni: tutti in mutande. Da Salvini in giù

Il premier Conte e un avvocato a Napoli
Il premier Conte e un avvocato a Napoli

Capita di ritrovarsi in mutande davanti al medico. Ma anche davanti alla forza pubblica quando fa irruzione e ci si ritrova inermi.
E come ogni cosa, la mutanda – mutatis mutandis – ha il suo doppio.
Nel film Il Traditore di Marco Bellocchio si vede un Giulio Andreotti in mutande. Sta provando un abito e poi però esce via dalla bottega, a gambe nude, accompagnato dalla scorta che se ne resta impassibile davanti a quella scena.
L’umanità incontra il proprio doppio quando – in mutande – si guarda allo specchio.
Uno sdoppiarsi nel grottesco di quell’indumento, tutto di prossimità, che ha comunque innumerevoli altre suggestioni – come quelle delle mode dove fa d’uopo mostrare un poco per svelare anche la marca – o come quelle dell’intimità o quelle del riposino ma quando è decontestualizzata, la mutanda, volge a sbraco.
Tutti abbiamo visto l’avvocato Raffaele Capasso, a Napoli, affacciarsi al balcone – così come si trovava, in mutande – per parlare nientemeno con Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio che, regolarmente vestito, si trovava in un altro finestrone dirimpetto. E senza che ci fosse Bellocchio a suggerirgli l’espressione anche lui, il presidente Conte, resta impassibile davanti a quel tipo in maschio déshabillé. E chiacchiera col collega – “anch’io sono avvocato” – in giusto contesto di un esito populista.
La modernità ci abitua a tutto, inutile dire quanto altro ci porti la contemporaneità ma quel che resta del pudore – e di certo anche dell’eleganza – è incastonato nell’altrove sentimentale.
In difesa di Carlo Calenda, incredibilmente contestato per avere indossato in un video una Lacoste, c’è Costantino della Gherardesca che – da vero signore qual è – confessa di indossare solo biancheria intima Schostal, quella stessa che usava Gabriele D’Annunzio. L’altrove, appunto. Un fiero alalà, manco a dirlo.
Il qui e ora della contemporaneità è invece una prateria dei segni.
Uno scatto rubato a Matteo Salvini dal settimanale Oggi lo racconta in mutande – cogliendo il segno – in un rimando tutto priapeo.
Il ministro è colto mentre innaffia le piante del terrazzo di casa e quel ritrovarsi in mutande – oltre a mostrare un modello di boxer ruspante in linea con l’archetipo del Bossi in canotta – svela un così sfacciato “disturbo” che a farla apposta, una foto così, difficilmente sarebbe riuscita.
Mutatis mutandis, fatti i debiti mutamenti, il priapismo politico è pur sempre un derivato totemico. Ed è quello che il gallo affida alla propria cresta, quella stessa verticalità di squilli e fanfare con cui le istituzioni rinnovano il patto carnale di sovranità.
Niente che riguardi la destra o la sinistra, un fatto – indifferentemente – di cruda etologia cui non sfugge neppure l’Unione Europea che la più asessuata tra le istituzioni politiche quando suona per sé l’Inno alla Gioia che, va da sé, è sempre panica.
Detto ciò, resta il “disturbo”. E resta nella cronaca la volta in cui gli uomini di An arrivati al governo con Berlusconi, potendo farsi fare le braghe su misura – arrivati com’erano all’agognata cresta – dalla mutandaia che doveva pur sapere dove dare più tessuto ebbero a sentirsi chiedere: “Onorevole, lei il disturbo dove lo porta, a destra o a sinistra?”.
La mutanda, si sa, ha sempre il suo doppio. Indifferentemente. A destra, e a sinistra. (da Il Fatto Quotidiano del 24 giugno 2019)

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