Focus. “Ernst Junger. Un destino tedesco” di Venner: breviario di educazione alla libertà

Ernst Junger. Un destino tedesco, di Dominique Venner

Dominique Venner (1935 – 2013) e Ernst Junger (1895 – 1998): due grandi europei del ‘900, che giganteggiano nel panorama desolante di questi nostri tempi e su cui il pensiero dominante e i media servili invano cercano di far calare l’oblio, perché hanno comunque qualcosa da dire ed insegnare ai giovani del XXI secolo. Ma quanti nostri compatrioti li conoscono? od hanno letto qualche loro libro? E’ dunque benvenuta l’iniziativa editoriale delle edizioni L’arco e la Corte, che pubblicano la monografia che Venner scrisse in omaggio a Junger nel 2009, “Ernst Junger. Un altro destino tedesco”, curata e tradotta per la prima volta in italiano dallo studioso Gaetano Marabello. Come ben scrive Michele De Feudis nella postfazione intitolata significativamente “Sulla strada della libertà con Junger e Venner”, “Ernst Junger e Dominique Venner sono due maestri di carattere, esteti armati che hanno attraversato il Novecento, tra gli uragani degli anni di piombo e le tumultuose evoluzioni della tecnica sempre più egemone”. E conclude: “Lo studio delle loro opere è una forma di educazione spirituale alla libertà per i giovani alla ricerca di un senso oltre il ripetitivo flusso di banalità nichiliste e immagini social.” Da parte sua, Gaetano Marabello, nel suo dettagliato e pregnante saggio introduttivo, traccia sulla falsariga delle Vite parallele di Plutarco un parallelo tra queste due figure, fatte salve le differenze dovute all’età e alle diverse circostanze storiche:  dalla comune insofferenza per la scuola e la vita borghese all’amore per i romanzi d’avventura, dall’esperienza bellica (Junger nella 1^ e 2^ guerra mondiale, Venner nell’Algeria francese) all’impegno politico fino al graduale disimpegno dalla politica e alla fase meditativa e di studio, definitiva per entrambi, dall’amore per la natura e la selvatichezza a quella regola della compostezza e della misura che li contraddistinse sul piano morale e fisico. Ciò che li accomuna strettamente, al di là delle debite differenze, è, sez’alcun dubbio, il richiamo alle radici europee. A proposito del comune amore per la natura Marabello sottolinea la circostanza che sia Junger che Venner abbandonarono le grandi città per rifugiarsi in piccoli luoghi circondati da boschi: “a partire dal 1950 Junger elegge la sua dimora nella Foresta Nera, a Wilflingen, dove resterà fino alla morte”, mentre Venner, nel 1971, “assieme con la famiglia lascerà definitivamente Parigi… sicchè il suo posto di sentinella solitaria posta alle frontiere della speranza e del tempo diverrà fino alla tragica fine la sua casa boscosa di Canteleu in Normandia. Esattamente come l’amato Junger, vi risiederà per oltre un quarantennio.” La conoscenza tra i due, facilitata dalla padronanza della lingua tedesca da parte di Venner e della lingua francese da parte di Junger, avvenne per iniziativa dello stesso Venner, che nel 1974 inviò una copia del suo libro Baltikum, la prima delle sue opere storiche, all’allora ottuagenario Junger che l’apprezzò grandemente, sicchè, come nota Marabello, “a patire da allora, i due intrattennero relazioni epistolari e confidenziali, che, senza attingere la stretta prossimità, si concretizzarono in scambi reciproci di propri libri e si protrassero per oltre un ventennio”, fino cioè alla morte dello stesso Junger.

Dominique Venner

La monografia di Venner, nella quale l’ammirazione per il soggetto trattato non deborda mai in sciocca infatuazione, la ricchezza dei dettagli e delle analisi non fa mai perdere di vista l’insieme e la biografia individuale sa elevarsi al dramma storico e collettivo, può considerarsi davvero esemplare. Venner osserva come Junger abbia attraversato l’intero Novecento e possa svelarci “l’idea d’un altro destino europeo”. Così ne riassume il profilo: “combattente agguerrito ma senza odio della Grande Guerra, nazionalista dopo il 1918 senza cadere nell’aggressività, oppositore del nazismo senza rinnegare la patria, curioso delle droghe e dell’ebbrezza alcolica senza perdervi la sua libertà, critico affascinato dalla modernità tecnica senza lasciarsi fagocitare, scrittore prestigioso senza essere ingannato dalla gloria, fu insieme impegnato nel secolo e distaccato, tenendosi lontano da bassezze e da infamie.” L’analisi puntuale dell’opera dello scrittore tedesco si associa al suo itinerario spirituale, di un uomo che portava in sé “l’unità perduta di nature arbitrariamente contrapposte: il poeta e il guerriero, l’uomo di meditazione e l’uomo d’azione.” Venner sottolinea più volte l’arte dello scrivere e il vigore polemico di Junger, come la sua libertà di pensiero nei momenti più difficili, testimoniata dal suo Diario. Ripercorre la sua evoluzione di uomo e di scrittore, dal realismo eroico e dall’esaltazione della tecnica in Tempeste d’acciaio (1920) alla requisitoria antiborghese de L’operaio (1932), dal romanzo di rottura Sulle scogliere di marmo (1939), che sancisce una svolta umanista e pacifista fino alla teorizzazione, col Trattato del ribelle (1951) e col romanzo Eumeswill (1977), del passaggio al bosco, ovvero di una forma di resistenza interiore contro qualunque dispotismo, della tecnica, dell’economia o della politica. Questi cambiamenti di prospettiva possono sorprendere il lettore più superficiale. Venner non si nasconde che “questo iato nella vita e nell’opera di Junger comporta più di un enigma. Il guerriero tentato dai sogni d’una brutale rivoluzione si ritira d’improvviso dal mondo, mutato in eremita umanitario e pacifista.” Interrogandosi allora sulle ragioni “che avevano condotto alla dissidenza l’antico soldato eroico del ‘14-’18, divenuto l’intellettuale più famoso della destra radicale degli anni 1925-1930”, Venner enumera e discute le idee che l’avevano opposto ad Hitler, dal rifiuto dell’antisemitismo e del darwinismo razziale alla sua ripugnanza nei confronti di dirigenti e metodi del regime nazista. Ma la vera chiave interpretativa la trova nello iato che da sempre oppone il pensatore al politico: l’integrità intellettuale, la dirittura morale e la poesia difficilmente si conciliano con le qualità richieste ad un politico: “gli mancava tra l’altro quel che è necessario per riuscire in politica: il magnetismo del tribuno, l’ambizione e l’opportunismo, la malafede, il temperamento polemico e il talento demagogico, anche l’astuzia e la ferocia nei confronti degli avversari come pure dei concorrenti.”  D’altra parte, lo scrittore non era un filosofo, non era perciò guidato da preoccupazioni logiche: “in ogni sua opera Junger mostra di non pensare in maniera storica, ma attraverso miti fuori tempo. E’ talvolta la sua debolezza e sovente il suo fascino.” E, per meglio comprendere la sua parabola, suggerisce l’immagine del sismografo: “le oscillazioni di quest’ultimo coincidono con il pensiero dello scrittore tanto quanto le epoche che egli annuncia e rischiara.” E’ ferma convinzione dello storico Venner che “l’Europa , in quanto comunità millenaria di popoli, di cultura e di civiltà, non è morta.” Benché “colpita al cuore tra il 1914 e il 1945 dalle devastazioni di una guerra dei Trent’anni, e poi dalla sua sottomissione alle utopie e ai sistemi dei vincitori, essa è entrata in sonno.” Ed allora, “se si guarda il tempo andato, se si sogna quello che verrà, Junger offre al nostro sguardo le prospettive d’un altro destino europeo.” Junger, in altre parole, ci aiuta a ritrovare l’essenza dell’Europa, che consiste nella sua libertà di pensiero, nel suo slancio verso la bellezza, nel suo rifiuto del dispotismo, nel suo senso della misura e dell’equilibrio, come adombrato da Esiodo con la vittoria sui Titani e sulle forze oscure da parte degli déi dell’Olimpo. Junger, conclude Venner, è “un esempio per tempi difficili, mirante sempre più in alto della meta.”

Ernst Junger. Un altro destino tedesco, di Dominique Venner, L’Arco e la Corte, 2019, pp. 251, € 18  (Traduzione e prefazione di Gaetano Marabello. Postfazione di Michele De Feudis)

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Sandro Marano

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