Immigrazione&Islam (di F.Cardini). La convivenza tra differenti tradizioni può rafforzare le identità

Il saggio di Franco Cardini sull’Islam

La risposta di Franco Cardini alle osservazioni di marco Tarchi, pubblicate su Diorama Letterario, in merito al saggio sull’Islam pubblicato per Laterza

AMICUS MARCUS, SED MAGIS AMICA VERITAS (IMMO, QUID EST VERITAS?)

Il “Minieditoriale” di cui sopra serviva essenzialmente a introdurre queste poche notarelle. Ma, siccome esse rappresentano un modesto ombrello col quale ho cercato di ripararmi da una pioggia torrenziale, è bene sapere che la tempesta era stata preceduta da lontani paurosi brontolar di tuoni (Marco Tarchi mi aveva già annunziato la sua terribile reprimenda) e accompagnata da tuoni e saette (cfr. “Diorama letterario”, 384, marzo-aprile 2019, pp. 17-20).

Mentre pioveva, ho incassato anche una grandinata di messaggi (per lettera, per telefono, per e-mail: non leggo i messaggini telefonici e non sono iscritto a “Facebook”) di amici, conoscenti, sconosciuti, simpatizzanti, antipatizzanti, nemici unilaterali (io non stimo nemico nessuno: se qualcuno ritiene di essermi tale, fatti suoi, ma non lo ricambio). Si va dal “Finalmente te le hanno cantate come meriti” al “Ma che vergogna, che Giuda quel falso amico del Tarchi”, dallo “Era ora che qualcuno ti smascherasse” al “Sappia che condivido parola per parola quel che Lei ha scritto ecc.”. Ho risposto a chi potevo e a chi lo meritava: ma posso tranquillizzare (o deludere) chi temeva (o sperava) che questo incidente potesse minimamente danneggiare la stima e l’amicizia che da molti decenni nutro nei confronti di Marco Tarchi. Del resto, credo fermamente che, nel redigere quel suo pesantissimo atto d’accusa nei miei confronti, egli sapesse benissimo che avrei reagito così. Può darsi che altri al mio posto, o magari lui stesso al mio posto, avrebbero reagito in modo diverso: magari rompendo platealmente una più che pluriennale amicizia. Ma io sono fatto in un altro modo. Tarchi è un vecchio e caro amico, è uno studioso di valore e una persona onesta; su moltissimi argomenti il suo parere è identico o molto vicino al mio, e non si contano le occasioni nelle quali egli mi è stato di grande aiuto nel correggere e migliorare le mie posizioni. Credo che mi consideri un vecchiaccio che non è mai riuscito a crescere; e dal canto mio gli ho sempre ripetuto che lui è quasi una vecchia cara zia per me. Io sono impulsivo, collerico, passionale e intemperante quanto lui è cauto, razionale,  pedante e permaloso. Lui era già un anziano docente universitario quando era ancora un ragazzaccio del MSI; io resto un ragazzaccio del MSI anche ora che sono docente emerito.

Quanto alla diversità di pareri e magari all’opposizione concettuale, se non se ne discute francamente e magari violentemente con gli amici, con chi mai si potrà farlo? E quando si discute lealmente, perché prendersela? E perché mai si dovrebbe seguire sempre il principio filosofico degno delle lavanderie a gettoni, che “i panni sporchi si lavano in famiglia”?

A Marco Tarchi non è piaciuto il mio “L’Islam è una minaccia” (Falso!) (Laterza 2016): anzi, alla luce di quelle pagine egli sembra aver chiarito a sé stesso quel che in altri miei precedenti studi di analogo o prossimo argomento non lo aveva convinto. Che egli, “tendenzialmente filomusulmano moderato e distinzionista”, mi rimproverasse quello che (a torto) giudicava (e tantopiù giudica adesso) un “filoislamismo estremistico e globale”, era da tempo noto a chi ci conosce e a chi legge le nostre cose. Ma, se è vero che io sono un collerico, è non meno vero che Tarchi è uno stizzoso: e, dato che del mio libro gli è dispiaciuto il capitoletto dedicato a Islam e migrazione, si è limitato a leggere e a discutere specificamente solo quello o quasi (praticamente il paragrafo 12, I musulmani stanno invadendo l’Occidente, pp. 153-61), mentre  il resto, lo ha scorso o lo ha ignorato. Da qui il suo giudizio sprezzante esteso a tutto il lavoro, anche alle parti alle quali egli dedica poche e talora distratte righe (evidentemente negative o limitative, perché ormai il gioco è quello).

Insomma, avrei scritto  un pamphlet. Non ci ho nemmeno pensato. Io non scrivo pamphlet; è vero che ho da moltissimo tempo un’”attività secondaria” come giornalista ed elzevirista, è vero che ho (non so se al mio attivo o al mio passivo) una lunga carriera di autore di saggi storici di genere “divulgativo”, per quanto mi sia sempre sforzato di mantenerli a un livello “alto” o comunque decoroso. Ma non ho mai trascurato di rifarmi alle fonti, possibilmente di prima mano, e d’indicarle sia pure in qualche caso compendiosamente. Non ha senso che Tarchi mi accusi ripetutamente, in questo caso, di non aver spiegato questo o di non aver approfondito quest’altro, in quanto si tratta di argomenti che ho puntualmente e spesso esaurientemente trattato in altre sedi, e che lui peraltro conosce bene anche se può non averli considerati con la necessaria attenzione. A parte studi specifici come Il Turco a Vienna (Laterza), che è qualcosa di più di una monografia sull’assedio del 1683, negli ultimi anni ho pubblicato, appunto sui temi a proposito dei quali Tarchi mi accusa di superficialità e di scarsa fondatezza, L’ipocrisia dell’Occidente (Laterza 2015), Il califfato e l’Europa (UTET 2015), Terrore e idiozia. Tutti i nostri errori nella lotta contro l’islamismo (con Marina Montesano, Mondadori 2015), L’iphone e il paradiso di Allah (Castelvecchi 2016), Il sultano e lo zar (Salerno 2018); a parte alcune cose che in passato abbiamo addirittura scritto e firmato insieme, come il laterziano La paura e la menzogna, che fece un discreto rumore, e la monografia Il ritorno d’Astrea,dove la “catena causale interessi delle multinazionali-guerre di Bush-resistenza degli aggrediti-nascita dei gruppi terroristici” (p. 19) era esposta con discreta attenzione analitica, anche se mai ho scritto che questa sarebbe “l’unica responsabile del clima di astio scatenato contro gli immigrati” (pp. 20-21): perché farmi passare come un volgare e grossolano complottista al quale sfuggono del tutto le ragioni più profonde del disagio di tanti europei dinanzi al fenomeno migratorio? Le “affermazioni apodittiche” che Tarchi mi addebita sostenendo che le preferisco alle argomentazioni dipendono – quando non corrispondono a cose risapute e in genere accettate a livello di discussioni degli specialisti o diffuse a quello di un’opinione pubblica non sempre necessariamente ingannata o disinformata – da temi ai quali mi sono estesamente giudicato in tali sedi e altrove, a cominciare dalla rubrica Minima Cardiniana che settimanalmente pubblico sul mio sito www.francocardini.it, e che giusto oggi arriva al n. 250.

“L’Islam è una minaccia” ha il suo bravo apparato di note e di rinvii, ancorché sobri e contenuti come l’Editore ha stabilito nella collana “Idòla” nella quale è uscito: riconoscerlo come un lavoro di sintesi è giusto e corretto, lamentare l’eccessiva ristrettezza dello spazio nel quale è contenuto può essere ragionevole (ma non bisogna dimenticare i targets ai quali è diretto), trattarlo da pamphlet – aspetti puramente stilistici a parte – perdinci no. “Troppi aggettivi”, commenta il recensore a proposito della mia prosa. Disse lo stesso l’imperatore Giuseppe II a proposito del Ratto dal Serraglio di Mozart. Sono commenti che si fanno quando non si sa bene che cosa dire di altro.

Ma se esaminate la lunga recensione tarchiana, insulti e contumelie a parte, ci troverete accuse di frettolisità o di omissione, ma quasi nessuna allusione ai molti argomenti che dal canto mio affronto salve le genericissime accuse. Non lo interessano? Non si sente competente a discuterne? Padronissimo. Ma in questi casi onestà vuole che non si condanni in toto un libro giudicandolo “poco felice”, “discutibile”, “inopportuno”, ma che ci si limiti a dichiarare quel che in esso si vuol confutare avendo cura di estrapolarlo bene dal contesto e senza preoccuparsi di circostanziar con cura se, in che misura, in che modo e fino a che punto le parti discusse e/o condannate abbiano a che vedere, e con quanta e quale coerenza, rispetto al resto. Tarchi è un “recensore di lungo corso”, questi fondamenti dell’ars recensoria li conosce bene: perché costringermi all’umiliazione di doverglieli ricordare? Perché obbligarmi a chiedermi – scartate le ipotesi ch’egli sia un imbecille o un ignorante, che non vanno nemmeno prese nel suo caso in considerazione – se perfino lui non scivoli talvolta sulla buccia di banana della disonestà intellettuale?

Sì, perché egli sa benissimo che io potrei ritorcere contro di lui una per una e punto per punto, con metodo esattamente parallelo, frasi come quella a proposito del “concreto sfruttamento della marxiana armata di riserva del Capitale” (p. 19): ma a me certe cose “non passano nemmeno per la mente”, la mia visione “del modo in cui viene presentata oggi la questione islamica rasenta… la cecità o perlomeno lo strabismo” (p. 20). Accusarmi di non rendermi conto che anche da parte di quelli che egli chiama “gli avversari del fronte avverso” esistono menzogne ed esagerazioni non solo è del tutto gratuito, ma suona come un ingeneroso riconoscimento del lavoro che da anni vado conducendo: d’altronde, il fatto che in un certo libro si parli prevalentemente di certi argomenti non significa affatto che non si sia attenti anche a quelli che in quel momento vengono posti da canto. Se questo è mancanza di senso dell’equilibrio, mancanza di capacità o di voglia di soppesare i pro e i contro, come la mettiamo con chi – come appunto lui, a p. 20 – ci spiattella serenamente e impunemente davanti come se fossero oro colato e verità di Vangelo “le dichiarazioni di alti funzionari dell’ONU secondo i quali almeno cinquanta milioni di africani hanno già deciso di emigrare in Europa e attendono solo il momento adatto di poterlo fare”? Chi è giunto a calcolare tale cifra, e con quali sistemi statistici? Da quali aree proverrebbero i contingenti di questo esercito? Quali fonti hanno usato  e chi sono questi “alti funzionari”? Da dove e quando, e con quali mezzi, partirà quest’immenso nugolo di apocalittiche cavallette umane? Qui i casi sono due: o c’è del vero, e allora non abbiamo tempo da perdere ma ci dicano subito come e quando e in quali modi mobilitarci; o è una bufala enorme, e allora chi la riprende e la rilancia ha davvero un coraggio da leone quando accusa altri di mancanza di equilibrio e diciamo pure di senso critico. Così, quando si ricorda che dietro la costruzione di nuove moschee ci sono sovente personaggi e capitali sospetti e pericolosi, si dovrebbe pur aggiungere che si tratta degli stessi personaggi e degli stessi capitali (o di altri, ma provenienti dalle medesime fonti) che sono accolti a cuor leggero e a suon di fanfara quando vengono a comprarci aeroporti, imprese eccetera. E si sa bene a quali sette religiose fanno capo certi personaggi del mondo arabo “amici” dell’Occidente: ma tant’è, un arabo ricco è un ricco e un arabo povero è solo un arabo. Solo a proposito delle moschee si diventa sospettosi. Sarebbe interessante andar avanti su questo piano: ed esaminare partitamente quante chiese cattoliche sono state costruite con i fondi di Marcinkus e Co., o quante chiese protestanti o sinagoghe abbiano ricevuto aiuti sui quali sarebbe opportuno indagare.

La verità “vera” è che Tarchi ha perduto le staffe nel leggere che “la nostra sola e vera identità… ormai, come la globalizzazione con i suoi molti pregi e difetti ci ha obbligato a tener sempre presente, è… l’appartenenza al genere umano”. Egli non può fingere di stupirsi e magari di mostrarsi contrariato dinanzi a ciò in quanto sa che la chiave di quella frase sta tutta nei due aggettivi dell’identità, “sola e vera”: che  nel mio lessico e nel mio modo di pensare – che non è affatto lontano dal suo – significa soltanto la “sostanziale e definitiva”: il che non azzera per nulla le differenze sacrosante e le distinte tradizioni che si debbono mantenere, conservare e difendere. La presenza e la convivenza con portatori di tradizioni diverse non può che giovare a chi ha salda coscienza della propria e spronare a migliorarla chi ne ha una debole. Io sono un cattolico molto migliore e molto più cosciente della mia tradizione da quando frequento con assiduità i musulmani e mi confronto con loro; il corretto studio delle tradizioni diverse non può che corroborare la propria. Ciò non è “relativismo”, bensì doverosa consapevolezza della “relatività” di ciascuna tradizione e della reciproca complementarità fra tutte. Quanto all’altra mia osservazione, che il nucleo della tragedia della migrazione stia nell’insopportabile squilibrio socioeconomico del mondo, dell’insostenibile concentrazione della ricchezza in pochissime mani e nei troppi che mancano perfino dell’indispensabile (ma che, a causa dei media ormai diffusi in tutto il mondo, si fanno un’idea tragicamente errata delle nostre stesse condizioni di vita), anche ciò è obiettivamente inconfutabile. Lo voglia o no il cattolico Tarchi, papa Francesco ha ragione.

E’ comunque stato molto opportuno che il medesimo numero di “Diorama” pubblichi subito dopo la recensione tarchiana quella a Fuga in Europa di Stephen Smith (Einaudi), firmata da uno dei migliori collaboratori della rivista, Giuseppe Giaccio, il cui Homo migrans (Diana 2018) è uno dei libri che più ho apprezzato per informazione ed equilibrio a proposito dell’immigrazione: pur non potendo sottoscrivere del tutto alcune delle sue tesi e permettendo di suggerire al riguardo la lettura integrativa di 5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare) (Laterza 2018). E’ evidente che non possiamo accogliere tutti e che, prima del “diritto alla migrazione”, tutti dovrebbero avere il diritto a restare a casa propria. Ma, anche rispetto a ciò, sappiamo ormai bene che gli altissimi profitti conseguiti dalle lobbies internazionali attraverso lo sfruttamento del continente più ricco della terra e nel quale sono ospitati i popoli più miserabili del mondo si sostiene fondamentalmente a causa della complicità tra esse e i governi africani dispotici, incapaci e disonesti sostenuti dai grandi paesi occidentali e soprattutto dalle ex massime potenze coloniali, Gran Britannia e Francia, che sulle rovine del colonialismo classico hanno costruito l’edificio abusivo di un neocolonialismo economico-finanziario; e che, allorché questi problemi si affacciano all’assemblea dell’ONU e si traducono magari in risoluzioni opportune, c’è sempre un “veto” di un membro permanente del consiglio di sicurezza a bloccarle.

Per contrastare questo stato di fatto, fino ad oggi poco o nulla si è fatto: i “patti bilaterali” tra paesi europei o paesi africani si sono rivelati efficaci come un pannicello caldo applicato a contrastare un’infezione virale. Sappiamo tutti che il male da cui derivano le migrazioni (per quanto sia vero che esse sono paradossalmente costituite da persone che non sono le più povere del continente) si combatte alla radice, nel continente dal quale hanno origine. Ma una volta che i profughi sono in mare, qualunque sia la ragione che là li ha portati, è un inderogabile imperativo morale l’accoglierli. In ciò Salvini facendo la “faccia feroce” illude e inganna i suoi sostenitori: in ciò si rivela impotente come uomo di governo e disonesto come leader che non potrà più a lungo – dopo la sua lusinghiera affermazione elettorale – continuar a provocare situazioni insostenibili lasciando che siano altri a risolverle e guadagnandosi consensi addossando ad altri colpe che in mancanza di soluzioni efficaci e umanamente praticabili, sono anche sue.

E allora, che cosa fare, e come, senza venir meno a un imperativo morale che gli uomini degni di questo nome non possono ignorare? Torniamo una buona volta in noi: certo che il momento è duro e difficile, ma esistono limiti invalicabili. Lasciar annegare qualcuno in mare, lasciar uomini e donne senza viveri e senza cure, condannare a morte una donna incinta e il bambino che si porta dentro, sono cose che non si possono fare: questo “sentimentalismo”, questo “miserabilismo cieco” sono la radice e il nucleo della nostra coscienza di noi stessi come esseri umani (altro che il “chi dice umanità cerca d’ingannarti” di Proudhon, che Tarchi ricorda – p. 1 – citando il mai troppo rimpianto Danilo Zolo): la Bibbia, l’Odissea e i tragici greci sono là a ricordarci che il venir meno a certi doveri ci farebbe precipitare a un livello ben inferiore a quello delle belve. E’ proprio la salvaguardia di questa “cultura del limite” che ci è stata ricordata come dovere inderogabile da Oliver Rey nel suo Dismisura (Controcorrente 2016): si tratta di una frontiera invalicabile, costi quel che costi. Se poi questo “equilibrio”, se questo “realismo”, ci vengono richiesti nel nome di un ordine internazionale che sperpera giornalmente incalcolabili tesori bruciandoli sull’ara dell’equilibrio nucleare e che sfrutta e affama i popoli nel nome delle “ferree leggi del mercato” allora poi no. Non sono io a incitare nessuno al volemose bbene, caro amico Marco: e tu lo sai perfettamente. Ma, per quanto è in me, esigo che non si spendano più né un soldo né un soldato fomentando le guerre tra i poveri. Cacciamoci bene in testa che tra chi spinge in mare i migranti e chi manovra le borse e le banche corre un filo lungo e ingarbugliato, difficilissimo a sdipanare: ma non interrotto.

E’ questo che non solo Salvini, ma anche i vari Smith, Collier e Carrère debbono dirci: è questo il nodo da sciogliere. Altrimenti, il “non si tratta di scegliere tra il Bene e il Male, ma di governare la polis nell’interesse dei cittadini”, come Giaccio riferisce citando Smith, è un gran bello slogan ma purtroppo non significa niente; e che “la soluzione è nelle mani degli stessi africani” (Giaccio su Smith, p.23) è una grossa bugia. Gli africani non sono i padroni dell’Africa.

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Franco Cardini

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