Cultura (di P. Isotta). Essere un altro: impostori, re, sosia e “marionette” nell’arte e nella storia

Il caso, ormai comunissimo, del pirata informatico introdottosi nella posta elettronica di Marco Travaglio e mia mi ha suggerito un articolo sulla truffa come arte, e uno sulla falsa identità. Il tema della simulata identità nell’arte potrebbe essere l’occasione di un magnifico libro da parte di uno storico della cultura: uno scrittore dall’ampio arco. E naturalmente, dopo la Commedia antica, da Aristofane a Plauto, dovrebbe incominciare con un filosofo greco dell’epoca contemporanea, Pirandello. Pensiamo a Il fu Mattia Pascal; pensiamo, soprattutto, all’Enrico IV. Lo sventurato che si finge l’Imperatore tedesco vive in una messinscena medioevale. Tutti lo assecondano siccome folle. Ma egli folle non è più; e continua la recita come scoglio al quale aggrapparsi di fronte alla tragedia del vivere. Pirandello esprime l’ebrezza di poter essere un altro, di poter diventare un altro. Ma soprattutto per lui l’identità è un concetto labile e dubbio; uno dei sensi della sua opera è che l’unità della psiche non esiste, tutti siamo scissi e molteplici. E il più diretto erede dell’Agrigentino, il Maestro di Racalmuto, Sciascia, ha dedicato un dittico di sottigliezza solo sua a due eventi di impostori capaci di convincere un mondo, Il teatro della memoria e La sentenza memorabile. La prima anta riguarda il celebre caso Bruneri-Canella, più noto come “lo smemorato di Collegno”: un tipografo spacciatosi per un illustre filosofo che avrebbe perduto la memoria nella Grande Guerra e che, paradossalmente, si giovò dell’appassionata testimonianza della moglie di questo, la quale voleva credere il marito fosse lui.

Nel teatro musicale moderno l’assumere una finta identità è uno degli espedienti comici che producono grande arte. Da Mozart a Rossini a due Opere di Verdi collocate all’inizio e alla fine della sua creazione, Un giorno di regno e il Falstaff al Gianni Schicchi di Puccini. Ma questo produce anche teatro tragico, come La forza del destino. Nella storia sono frequentissimi i casi di simulatori di scomparsi sovrani: il celebre falso Dimitrij, presunto figlio di Ivan il Terribile, manovrato dai Gesuiti contro Boris Godunov affinché introducesse il cattolicesimo in Russia. Lo ritroviamo nel capolavoro di Musorgskij dedicato, appunto, a Boris. Nel mondo antico un caso di spicco è quello di Nerone, despota in realtà rimpianto dal popolo: ed è l’oggetto di un bel romanzo di Lion Feuchtwanger del 1936, Il falso Nerone. Alessandro Dumas si dedica con tutte le sue forze a uno dei più grandi impostori della storia, Cagliostro, tentando di far credere che fosse un giusto immortale e onnisciente e avesse provocato con le sue arti la Rivoluzione del 1789. Assai più riuscito è un immortale nell’arte: Joseph Collin, alias Vautrin, alias padre Herrera, che in alcuni romanzi di Balzac giganteggia quale facitore di destini altrui e, due volte evaso, finisce capo della polizia. Nel bellissimo film Il faraone, di Jerczy Kawalerowicz, una sorta di Akenaton viene fatto uccidere dai sacerdoti di Ammon che gli hanno suscitato dei sosia pronti a prenderne il posto.

Quanto ai falsi Messia, nella storia non si contano. Ma gl’impostori sono molto meno pericolosi di quelli che di essere il Messia sono convinti davvero.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 17.3.2019

Paolo Isotta*

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