Questionario proustiano sulla scuola#20. Galimberti: “I giovani afflitti dal nichilismo”

Umberto Galimberti
Umberto Galimberti

“I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso.” È così che inizia L’ospite inquietante, celebre libro che Umberto Galimberti ha dedicato ai giovani e al loro male di vivere modernissimo, che non riesce a essere placato, a meno di non cambiare radicalmente rotta. Filosofo, sociologo, psicanalista, professore, editorialista, Galimberti ha concentrato le sue riflessioni su temi come la società, l’economia, le relazioni, l’amore, il sacro, i rapporti tra scienza e fede, il corpo. Il suo ultimo libro è La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo (Feltrinelli, 2018) dove insegna ai ragazzi (ma anche ai genitori) l’arte di riprendere in mano il proprio tempo, aiuta a sciogliere quel cinismo, quella disillusione, quell’indifferenza che la società di massa ha contribuito a costruire intorno al loro cuore e a liberarlo, finalmente, per scoprire la sua passione – cioè il suo destino.  

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

Quello che è interessante capire è se la scuola dà agli studenti la capacità di fidarsi di sé stessi. E questo non succede. Perché la scuola contemporanea si limita a istruire, a far passare una nozione da una testa all’altra, ma non educa. Educare significa seguire un ragazzo nel suo passaggio dallo stato pulsionale allo stato emozionale, in modo che abbia una risonante emotiva nei suoi comportamenti, e riesca a capire la differenza tra corteggiare una ragazza e stuprarla, tra insultare un professore e pigliarlo a calci. Educare vuol dire poi portare al sentimento, perché i sentimenti sono fenomeni culturali, non naturali, quindi si imparano. Il problema perciò è questo: diventare uomini. A prescindere dal tipo di scuola – liceo, istituto professionale, tecnico etc. – lo scopo della scuola fino a 18 anni è formare l’uomo. Le competenze sono secondarie e conseguenti. Quanti manager non sono uomini e fanno fare una vita d’inferno ai loro subordinati? 

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe? 

Bisogna riformare la scuola su due livelli. Sul piano oggettivo, occorre creare delle classi di 12, 15 studenti: è impossibile seguire ed educare 35 ragazzi a livello emotivo/sentimentale. Ed è necessario selezionare i professori sottoponendoli a un test di personalità, in modo da verificare se siano empatici (l’empatia non si impara: o si ha o non si ha, e se non si ha non si fa il professore), se abbiano passione per il loro lavoro e se posseggano la capacità di affascinare, trascinare, sedurre, non con la propria persona, ma con la propria cultura. Non è un problema se un professore plagia una classe, il problema è se la demotiva. 

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico – astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

Certo, la scuola deve aprire la mente, ma prima della mente deve aver aperto il cuore. Tutti noi abbiamo studiato con piacere quelle materie insegnate dai professori che ci hanno affascinato. Il bravo insegnante è quello che apre il cuore e cattura l’emotività dello studente. Non è vero che gli studenti non abbiano voglia di studiare: non vogliono studiare materie che vengono proposte male. 

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

La scuola dev’essere severa. Non si va a scuola a giocare, si va a scuola a far fatica. Perché chi non fatica non arriva da nessuna parte. Gli edifici scolastici però sono notevoli: dovrebbero rimanere aperti fino a mezzanotte, in modo tale che, dopo la mattinata di lezione, i ragazzi si possano frequentare, trovandosi a studiare, suonare la chitarra, fare teatro, discutere di informatica – o anche a fare l’amore, perché no, l’importante è che lo facciano in posti protetti. Le scuole quindi devono essere luoghi di socializzazione. Oggi il deficit dei ragazzi è proprio questo: la mancanza di socializzazione. Gli adolescenti si incontrano nei bar o in discoteca, dove non ci si parla nemmeno, perché non ci si può parlare. E facciamo sì anche che le scuole vengano pulite da loro, dai ragazzi. Facciamoli lavorare per il posto che abitano per cinque anni. Perché devono esserci i bidelli, le ditte di pulizia? 

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

Ci possono essere persone che sanno molte cose ma a cui manca o la capacità di comunicarle o la partecipazione emotiva a quello che fanno. Basta andare in una qualunque università italiana e vedere professori che sanno molto ma non hanno nessuna emotività vera, nessuna partecipazione a quello che fanno e che comunicano. Non possiamo chiamarli stupidi istruiti, ma sono degli istruiti a cui manca il cuore.  

silviavalerio2@libero.it 

@barbadilloit

Silvia Valerio

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