Libri. “Il giorno in cui fallì la Rivoluzione”: Sergio Romano e la storia russa del ‘900

L'ultimo saggio di Sergio Romano
L’ultimo saggio di Sergio Romano

Negli ultimi due anni sono stati pubblicati molti volumi dedicati alla celebrazione della rivoluzione d’Ottobre. Indubbiamente, nell’anno mirabile 1917, nello sconfinato paese che lega e divide, al medesimo tempo, l’Europa dall’Asia, si realizzò un evento che ha inciso profondamente sulla storia del XX secolo. La rivoluzione leninista, da larga parte della storiografia ufficiale, è stata presentata quale evento fatale, inevitabile, data la struttura della Russia zarista, sia pure di un’inevitabilità in contraddizione rispetto a quella prevista dalla vulgata marxista. La dimensione ‘necessitarista’ della rivoluzione d’Ottobre è, al contrario, messa in discussione da Sergio Romano nella sua ultima fatica letteraria. Ci riferiamo a, Il giorno in cui fallì la rivoluzione. Una controstoria della Russia rivoluzionaria dal 1917 al 1991, da poco nelle librerie per i tipi dell’editrice Solferino- I libri del Corriere della Sera (euro 14,00, pp. 154).

   Romano, giornalista, storico e già ambasciatore a Mosca, ricostruisce le vicende russe che vanno dal 1905 alla caduta di Gorbačëv nel 1991. Il narrato è avvincente in quanto l’autore, facendo conto su una prosa affabulatoria, coinvolge il lettore nel narrato. Ricorda, preliminarmente, che la cultura russa del secolo XIX attendeva di fatto l’evento storico redentivo capace di proiettare l’estrema propaggine orientale d’Europa nella storia moderna. Del resto, fu Tolstoi a scrivere che la rivoluzione del 1905, successiva al conflitto russo-nipponico, conclusosi in modo disastroso per l’esercito e la flotta zarista, non era che l’inizio di un evento: «che si annuncia in tutto il resto del mondo» (p. 16). A sua volta Gor’kij, nel romanzo Confessione, aveva divinizzato il popolo, solo soggetto ritenuto atto a determinare cambiamenti epocali. L’apparente democrazia della Duma, instaurata nel 1905, non era di certo stata in grado di pacificare gli animi in un paese attraversato da contraddizioni sociali ed economiche profonde. Tra il 1906 ed il 1907, l’«organizzazione di combattimento» afferente al partito socialista rivoluzionario mise in atto circa 4400 attentati terroristici, segno di un diffuso malessere.

La partecipazione alla Grande guerra non fece che aggravare tale situazione esplosiva. Nessuno si stupì che nel febbraio del 1917 venisse messa in scena la prima fase della rivoluzione, ispirata dal principe L’vov, che divenne Primo ministro, e dal partito Costituzional Democratico. Gli obiettivi dei rivoluzionari erano legati all’occidentalizzazione della Russia, avrebbero voluto insediarvi una democrazia rappresentativa europea ma, dietro le quinte, operavano a favore di Lenin i Servizi segreti tedeschi. Questi, grazie all’aiuto di un ebreo suo connazionale ma residente a Berlino, Lazarevič Gel’fand, noto nel milieu rivoluzionario con lo pseudonimo di Parvus, ottenne dallo stato maggiore tedesco aiuti economici, oltre al vagone piombato che lo condusse, protetto e tutelato, alla stazione di Finlandia di Pietrogrado. Appena sceso dal treno, Lenin diffuse le «tesi di Aprile», sintetico programma del bolscevismo. Il 29 giugno il leader rivoluzionario si allontanò dalla città, ritirandosi a Vyborg, città finlandese, in seguito al diffondersi della voci che lo dicevano legato alla Germania.

   Rientrò in patria il 4 luglio e tenne un comizio per i marinai di Kronštadt consigliando loro di «stare a vedere», in attesa di eventuali sviluppi. Il suo attendismo favorì il governo che superò la fase più critica legata al tentato colpo di mano attuato nel mese di luglio, tanto che Lenin confidò a Trockij di temere per la loro stessa vita. Ciò non accadde: i bolscevichi, preso atto dei contrasti che separavano Kerenskij, subentrato a L’vov nella guida del governo, dal generale Kornilov, ordirono il putsch del 24 ottobre. La presa del Palazzo d’Inverno, non aveva messo definitivamente fuori gioco gli avversari di Lenin. Per questo, Romano scrive una storia con i «se», controfattuale, ipotizzando soluzioni diverse rispetto a quella che effettivamente si realizzò nel paese dopo la chiusura dell’Assemblea Costituente a maggioranza socialista rivoluzionaria. Sostiene che Kornilov, appoggiato dalla Divisione «selvaggia», un corpo di cosacchi e una divisione del Caucaso, avrebbe potuto agire rapidamente contro l’insurrezione bolscevica a Pietrogrado, così come in altre città.

    Avrebbe, quindi, potuto, destituire delle sue funzioni politiche il Soviet di Pietrogrado e difendere i poteri dell’Assemblea Costituente, all’interno della quale Lenin e i suoi rappresentavano una forza di minoranza. L’Assemblea avrebbe lavorato ad una Costituzione sul modello di quella americana, che avrebbe segnato in modo diverso, non solo la storia della Russia, ma quella del mondo intero nel corso del secolo XX. Ogni evento storico è sospeso alla dimensione del possibile. La rivoluzione d’Ottobre più degli altri, in quanto essa fu: «una caotica successione di tentativi falliti, mosse sbagliate, disegni incompiuti, appuntamenti mancati» (p. 10), che avrebbero potuto determinare un ‘cammino’ diverso della storia. É necessario liberare l’esegesi dell’Ottobre rosso dall’afflato religioso-politico di cui ancor oggi è ammantato. Del resto, la stessa fine dell’URSS è avvenuta nella più estrema incertezza, sotto il segno del «possibile».

    Romano ripercorre, da cronista, in quanto testimone oculare di quegli anni convulsi in Russia, gli eventi che portarono al potere Gorbačëv, il suo tentativo di riforma, i contrasti con El’cin che, alla fine, ebbe la meglio. Ricorda che due catastrofi misero in luce la debolezza strutturale del sistema sovietico, preannunciandone l’inevitabile implosione: l’incendio del reattore nucleare di Černobyl’ e il disastroso terremoto dell’Armenia del 1988. La fine era evidente anche sotto il profilo culturale come mostra il racconto dell’intervista che l’autore fece a  Sergej Zalygin, direttore della prestigiosa «Novyj Mir» che, con la liberalizzazione, aveva visto diminuire drasticamente i propri abbonati.  Negli anni della «rivoluzione di Gorbačëv» tutto sarebbe stato possibile, ma anche il contrario di tutto. Romano osserva che l’Unione Sovietica non fu semplicemente il «paradiso comunista», ma anche: «una grande potenza euroasiatica, erede della Russia prerivoluzionaria […] Di questo patrimonio Putin vuole essere il restauratore e il conservatore» (p. 126).

   La lettura di questo libro è significativa: induce a pensare alla storia in termini di inesausta apertura. Cosa di rilievo, visto che la cultura dominante sostiene l’invalicabilità, l’insuperabilità, dello stato presente delle cose. Uno stimolo ad agire per il cambiamento. 

*Il giorno in cui fallì la rivoluzione. Una controstoria della Russia rivoluzionaria dal 1917 al 1991, di Serio Romano, Solferino- I libri del Corriere della Sera (euro 14,00, pp. 154)

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Giovanni Sessa

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