Libri. “La dotta lira” di Isotta e la simbiosi magica tra musica e letteratura

Quale descrizione del carattere e delle qualità morali (gli antichi la chiamavano «etopea») si può fare di quest’uomo capace di meticciare letteratura e musica, eccellendo nella consapevolezza dell’una e dell’altra sino a raggiungere con l’ultimo trattato La dotta lira (Marsilio editori, euro 22.00) le colonne d’Ercole che le separano e le uniscono in un sinallagma genetico e funzionale?

Passato dalla condizione privilegiata di unico e sovrano critico musicale del Corriere della Sera a quella, ancor più privilegiata, di libero pensatore e scrittore, Paolo Isotta ha donato al grande pubblico (ma anche all’inclita guarnigione) alcune opere formative, sulle quali sarebbe bello vedere cimentarsi giovani menti destinate alla musica e alla letteratura, come La virtù dell’elefante, Altri canti di Marte, Il canto degli animali (una coinvolgente antropomorfizzazione della comunicazione animale, tal quale l’ascoltiamo nelle foreste e la percepiamo nella grande musica), De Parthenope, musices disciplina sino a questo La dotta lira, che con e in Ovidio trova la chiave di trasmissione del canto lirico al compositore. Dalla poesia crocianamente intesa, alla musica maggiore, quella che rimane nei secoli e si afferma nel buio come la luce del faro di Capo Miseno.

Se ci sono tre fasi nella creazione artistica del poeta di Sulmona (elegiaco-amorosa, epica e dall’esilio) esse si rispecchiano nella musica e, soprattutto, nelle parole dell’ermeneuta Isotta, capace di collazionare spunti e indicazioni letterarie. Così nel primo capitolo («In principio fu la fronda peneia» la corona di alloro sacro che cingeva il capo di Peneo, padre di Dafne) il carnal connubio si consuma tra, appunto, Ovidio («… Quel mi son’io che su dotta lira/Cantai le fiamme de’ celesti amanti…» versi di Ottavio Rinuccini) e Jacopo Peri, l’autore della «Dafne» a cavallo del Cinquecento, il secolo manierista, e il Seicento, il secolo mercantile e della donazione di Michel Angelo Merisi da Caravaggio. E continua il felice rapporto con l’«Euridice» (Rinuccini versus Peri e Caccini) e il mito di Orfeo e con il romanzo La morte di Orfeo di Stefano Landi e le sue metamorfosi sino a raggiungere nell’Ottocento Offenbach (Rossini: le petit Mozart des Champs-Élisées) con Orphée aux Enfers.

Vengono in rilievo le «Eroidi», le 15 lettere di eroine della tradizione greca, a parte Didone e Saffo, cui si accompagnano sei epistole Elena-Paride, Ero-Leandro, Cidippe-Aconzio, cui attinse di nuovo Rinuccini legando il suo testo alla musica di Monteverdi (Il lamento di Arianna, la più celebre delle sue opere). Con il che si apre una pagina profonda, immensa, quella di Arianna (innamorata di Teseo giunto a Creta per uccidere il Minotauro nel Labirinto, gli dette il gomitolo di lana per segnare la strada in modo di uscire agevolmente dalla trappola di Dedalo) e Medea, che ci porta avanti e indietro nella storia del teatro musicale e non, partendo dai grandi autori della Grecia classica.

Singolare il rito celebrato da Händel a Roma e Napoli per la scoperta di Ovidio e la nascita dell’Orfeo germanico, cui seguì una messe di suggestioni. Insomma, gli incontri sono innumerevoli e magistralmente narrati. Segnano le varie stagioni dell’età moderna, a partire dal Cinquecento. In ognuna di esse, Ovidio ha avuto, come uno dei giocatori (lo immagino seduto al tavolo de I bari di Caravaggio del 1594, oggi al Kimbell Art Museo di Forh Worth, Texas) la sua parte essenziale, una presenza immanente e convincente con il transfert della sua ispirazione, variamente intesa a seconda delle sensibilità e l’epoca di chi la coglieva.

Per queste specifiche ragioni, La dotta lira è un’opera unica, come le altre di Isotta, nel senso che ogni suo lavoro ha una propria autonomia, un proprio ethos (in senso aristotelico), una propria conclusione, parola quest’ultima che, nel caso di Paolo Isotta, è un ossimoro, giacché già domani tornerà a stupirci con nuove esplorazioni culturali e letterarie, vivendo il suo tempo come umana avventura che travalica le minuzie della caduca contemporaneità e si iscrive nella Storia.

*Da Italia Oggi

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Domenico Cacopardo*

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