Libri. “Che dio perdona tutti” di Pif: la prova malriuscita del Santo Cazzaro

Pif e il suo volume
Pif e il suo volume

Se è vero “…che Dio perdona a tutti”, è anche vero che per le ingenuità letterarie di Pif servirebbe un giubileo capace di comprendere anche la Feltrinelli che l’ha pregato per scrivere. Nel percorso di riconciliazione andrebbe spiegato a Pierfrancesco Diliberto che dopo gli Squallor: la ricotta – nonostante sia l’ingrediente principale della pasticceria siciliana – col verbo amare non fa più pensare ai dolci ma alla carne, ma si vede che lui è cresciuto con i tè di Franco Zeffirelli e anche alla Feltrinelli si son persi Alfredo Cerruti. Per fortuna ci sono le indulgenze, che andrebbero parzializzate per tutti gli sproloqui che Arturo, protagonista della storia e maldestro agente immobiliare, dissemina nelle pagine e che sembrano uscire da un elettrodomestico difettoso. Una vecchia tivù che rimanda le ossessioni dolciarie di Nanni Moretti, la semplicità illuminata di Ermanno Olmi, il racconto del mondiale di Spagna ’82 da Dino Zoff a Paolo Rossi – nemmeno vincerne un altro è bastato a fermarne l’evocazione –, e molte delle cose che Pif ha già detto e ripete tra piccolo e grande schermo da tempo.

Per amore di Flora, cattolica con moderazione e ovviamente donna meravigliosa, Arturo promette di seguire alla lettera la parola di Dio – con una rigidità da Mario Adinolfi – finendo per perdere fidanzata, amici e tranquillità. Il suo essere non-eroe, l’imitazione affettuosa dell’ottusità da Forrest Gump col saio e la ricerca della lezione da dare, portano a un avvitamento che Cerruti avrebbe racchiuso placidamente in una parola sola.

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Marco Ciriello

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