Lettere. Terni, gli 800 mila euro al canile e il business della solidarietà

L’ex Premier Mario Monti con il cagnolino fra le braccia

“Caro Direttore le scrivo”. Verrebbe da ispirarsi a Paolo Villaggio e al suo ciclo di Fantozzi per affrontare lo strano caso del canile di Terni e del generale buonismo che attanaglia questa strana, lucrosa sensibilità verso gli animali.

Per carità, nessun fraintendimento: il rispetto degli amici a quattro zampe è stato un importante segno di un’evoluzione dei tempi. L’animale non merita di essere maltrattato, ucciso, usato come balocco per single e bambini capricciosi ma nemmeno può essere mantenuto e sfamato in un Paese nel quale milioni di italiani hanno difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena. Eppure una campagna mediatica, sviluppata soprattutto sui social network, ha trasformato l’animalismo in un trend sfruttato dalla politica e dal jet set per conquistare fette di elettorato e di pubblico, da Mario Monti che si lascia immortalare con un cane di piccola taglia in braccio agli scatti su Instagram di personaggi noti abbracciati ai loro “pet” fino alle campagne di movimenti ed organizzazioni che vorrebbero garantire un quotidiano “pasto” di crocchette.

Marketing finalizzato anche a creare posti di lavoro. Pensiamo ai bandi di assegnazione degli enti locali a piccole aziende, spesso con l’acqua alla gola, che pur di assicurarsi un indotto trasformano i canili in veri e propri lager, tenendoli lontani da controlli o dall’occhio indiscreto di qualche cronista. Oppure pronte a farsi immortalare dalle televisioni in appelli strappa lacrime per avere più fondi per “Fido” e “Fuffi” che patiscono freddo e fame.

Da gelare il sangue, poi, le collette militanti per destinare viveri di prima necessità agli ospiti animali, mentre al calare della sera nei piccoli centri e nelle metropoli stazioni e sagrati delle chiese diventano luogo di dimora occasionale di italiani e stranieri senza reddito, senza un tetto, senza cibo.

Scatolette e croccantini distribuite da un’associazione ad un canile

Tornando al caso ternano, un anno fa un animale ospitato al canile nelle strutture di Monte Argento e di Colle Luna costava al comune 3,64 euro al giorno, per paradosso più di un richiedente asilo (il pocket money che riceve il migranti è di 2,5-3 euro) e, malgrado i tagli, il costo complessivo della struttura era di 120 mila euro per 700. Ne è esistito anche un terzo poi posto sotto sequestro e anche oggi, a dodici mesi di distanza, la procura si sta muovendo per capire come vengano spesi i fondi comunali (1 miliardo e mezzo delle vecchie lire) in una realtà che  addirittura si appoggia alla carità di gruppi animalisti certamente in buona fede, ma poco informati. Senza vergogna, come privi di vergogna sono quegli imprenditori che propongono servizi alberghieri e ristoranti per animali: un altro modo di fare buisness sfruttando la degenerazione culturale di un’Italia irriconoscibile, nella quale il culto del superfluo ha preso il posto di una più sana attenzione ai grandi problemi del presente, dal lavoro all’instabilità internazionale, da un serio e motivato confronto sul tema scottante dell’immigrazione incontrollata al trovare soluzioni per restituire benessere e fiducia ai cittadini italiani ed europei.

Altro che crocchette…

 

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Marco Petrelli

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