Il caso (di F. Cardini). Il “pasticciaccio” delle traduzioni, storie di opposti tolkenismi

Gandalf e Tolkien

Storia semiseria di opposti tolkienismi, di una traduzione “sbagliata” per denunzia inquisitoriale, di una traduzione “corretta” per autorefenza che però deve ancora uscree, di una veemente denunzia al Salone del Libro di Torino, di una scomunica giornalistica e di una dura risposta sotto forma di querela.

…e naturalmente non finisce qui. Anzi, il bello e/o il brutto debbono ancora venire. Cari amici, quanto segue è l’inizio di un discorso che andrà avanti mesi e magari anni. Non ho né il tempo né lo spazio, qui, per esporvelo in extenso: ma ritengo indispensabile che prendiate atto della cosa, che senza dubbio alcuno interessa molti di voi.

Le vicende e l’attività del filologo e narratore John Ronald Reuel Tolkien e del composito gruppo di scrittori e intellettuali ai quali egli apparteneva, gli Inklings, sono troppo note perché valga la pena di richiamarle in poche righe. E’ nota anche la travolgente fortuna del suo capolavoro, l’oceanico Il signore degli anelli, e di tutte le opere tolkieniane che lo precedettero, lo accompagnarono e lo seguirono, nonché quelle della pletora dei suoi seguaci, ammiratori, plagiatori e continuatori. Il romanzo epico-mitico di Tolkien divenne negli Anni Sessanta uno dei più affascinanti segnacoli in vessillo della “rivolta giovanile” contro i valori dell’establishment negli Stati Uniti d’America. Dall’opposizione alla guerra in Vietnam fino al “volo magico” della droga: tutto veniva sintetizzato e simbolizzato nelle pur contraddittorie istanze volte contro il ciclo capitalistico di produzione-profitto-consumo, contro quel che Fromm definiva “società dell’Avere”, contrapposta all’”Essere”, contro il conformismo etico e politico dell’American way of life. Insomma, Tolkien divenne una bandiera contro il “sistema”.

In Italia, The Lords of the Rings fu tradotto nel 1967 per i tipi dell’Astrolabio da una giovanissima linguista-interprete-traduttrice di antica e nobilissima nobiltà siciliana, la principessa Vittoria (“Vickhy”) Alliata di Villafranca, che si cimentò in un’impresa ciclopica per la quale fu costantemente sostenuta dallo stesso Tolkien, attento ed esigentissimo revisore delle traduzioni delle sue opere, che le fornì anche una serie di direttive e di strumenti di lavoro. Tre anni dopo, il romanzo fu ripubblicato dalla Rusconi: Elémire Zolla e Quirino Principe si occuparono di rivederne il testo. Un’ulteriore revisione fu effettuata nel 2003 in coincidenza con l’uscita del film di Peter Jackson.

Va detto che su quell’opera s’impiantò un groviglio di malintesi, originato dal fatto che un gruppo di giovani e di giovanissimi studiosi e studenti, che nello scorcio tra Anni Sessanta e Anni Settanta del secolo scorso stavano uscendo dalle formazioni politiche dell’estrema destra cercando nuove vie d’azione e d’espressione, assunse con entusiasmo una propria versione del messaggio contenuto nel Signore degli Anelli. Risultato di ciò fu che, se in America il racconto dell’epica lotta degli uomini alleati con altre creature contro il malefico Sauron, l’Oscuro Signore, era stata intesa come l’insorgere di pure coscienze giovanili contro l’oppressione/repressione capitalistica, in Italia, i giovani che avevano dato vita ai “Campi Hobbit” mostravano di aver interpretato la Weltanschauung tolkieniana come una rivolta contro la soffocante dittatura della società del denaro e di quello che ancora non si chiamava il “Pensiero Unico”. In fondo, il senso era quello: ma quel che in America parve “di sinistra” in quanto veicolato da forze che in un modo o nell’altro a sinistra si collegavano, in Italia fu avvertito come “di estrema destra” perché a torto o a ragione, anche in forza di molti malintesi e di una notevole pigrizia intellettuale, i gruppi che se n’erano fatti alfieri provenivano da tale area politica: si autodenominavano e venivano denominati “Nuova Destra”, pur incamminati verso quelle che in taluni dei loro ambienti già si definivano “Nuove Sintesi”. Le loro posizioni non erano affatto interpretabili come neofasciste e non si potevano neppur propriamente definire reazionarie: erano semmai “antimoderne”, soprattutto nel senso che gli studi di Davide Bigalli hanno conferito al concetto di Modernità. Quei ragazzacci che provenivano dagli ambienti neofascisti ma non avevano nulla del sentore stantìo del nostalgismo né dell’afrore teppistico dei “picchiatori”, che si occupavano di antropologia e di etologia, che stimavano Gramsci e avevano simpatìa per il “Che”, riuscirono a preoccupare perfino l’intellighentzija di sinistra e obbligarono a guardar nella loro direzione perfino l’esclusivo tiaso di professori e d’intellettuali riunito attorno a Norberto Bobbio.

Le polemiche continuarono un po’ di tempo: ma alla fine vennero esaurendosi. Intanto naturalmente gli studi tolkieniani continuavano, e fiorivano anche le società che riunivano specialisti e aficionados del grande studioso-scrittore.

Franco Cardini

Ed ecco la bomba. Il 29 aprile 2018, sul numero 74 di “Robinson”, inserto culturale de “La Repubblica”, usciva un’intervista di Loredana Lipparini a Ottavio Fatica, presentato come il nuovo traduttore de Il signore degli anelli per conto dell’editore Bompiani, già editore anche di una nuova edizione delle Lettere tolkieniane a cura di Lorenzo Gammarelli. Il testo dell’articolo (dal titolo Vendico il Tolkien tradotto di Frodo) era preceduto dall’”occhiello” La lingua perduta (e rinvenuta) e ci andava giù pesante. La versione Astrolabio-Rusconi sarebbe infedele, approssimativa, piena di arbitrii e di equivoci, profondamente manipolata: “500 errori a pagina per 1500 pagine”. Per la verità, la descrizione di quelli che Fatica definisce (dandone per la verità scarsi esempi) come “lacune e sbagli” è poco convincente. Che un traduttore possa e sovente debba concedersi certe libertà è questione controversa, certo, ma proprio per questo non liquidabile con due svagate battute da intervista promozionale. Ottavio Fatica queste cose le sa bene; e chi tra noi abbia letto almeno Dire quasi la stessa cosa di Umberto Eco le sa altrettanto bene. E’ stato allora prudente, è stato corretto, definire l’impresa dalla Alliata “un’avventura improvvisata”?

La manovra promozionale è stata comunque ben pensata: ma forse un po’ troppo “sopra le righe”. Il 12 maggio, la nuova traduzione (tre volumi programmati, il primo in uscita a fine anno) è stata presentata al Salone del Libro di Torino dal nuovo traduttore stesso, Ottavio Fatica appunto, affiancato da Roberto Arduini presidente dell’Associazione Italiana di Studi Tolkieniani. Non ero presente a quell’avvento: mi dicono che il tono usato nei confronti di Vittoria Alliata era alquanto aggressivo. In questi casi, qualche cenno polemico può essere scontato: ma davvero l’attacco a un lavoro che ormai ha circa mezzo secolo (per quanto rimaneggiato una quindicina di anni fa) era opportuno? In questi tempi di crisi editoriale e di lotte e addirittura scismi nella case editrici, viene da sospettare che ci sia qualcosa sotto.

E in effetti chi pensa male – diceva il Divo Giulio (Andreotti) – fa peccato, ma c’indovina. Da Arduini, così caustico nei confronti di Vittoria Alliata in odore di “intellettuale di destra” (ma comunque scrittrice ammirevole: chi ha letto il suo Harem. Memorie d’Arabia di una nobildonna siciliana non lo dimentica), si risale bene a Federico Guglielmi, cofondatore con Arduini dell’Associazione Italiana di Studi Tolkieniani, che è membro del famoso “Collettivo Wu Ming” di Bologna. Egli ha pubblicato con Einaudi il “romanzo epico” Stella del Mattino, coprotagonisti del quale sono Tolkien, sua moglie Edith, Robert Graves, Clive Staples Lewis e perfino Thomas Edward Lawrence che avrebbe addirittura fornito a Tolkien l’”idea” degli anelli fatidici. La costruzione di Guglielmi è romanzesca: egli è ben lontano dal voler rendere conto sotto il profilo storico e filologico di che cosa veramente fosse la “Società degli Inklings”: ma è evidente il suo intento di fornire di quell’avventura intellettuale una versione laicista e, si può in ultima analisi dire, “materialistico-storica” nonché “dissacrante” e forse “riduttiva” per quanto riguarda l’immagine di Tolkien, presentato come un piccolo-borghese con qualche turba psichica.

Non addentriamoci, tuttavia, sul terreno di queste problematiche: semmai ci torneremo. Basti dire che, ovviamente, una principessa siciliana di nome Vittoria che ha affrontato giovanissima emiri e capi guerriglieri e che ha al suo attivo un impressionante curriculum professionale di giornalista e di traduttrice non è il tipo che si lasci facilmente né deridere, né insultare. E, difatti, ha immediatamente sporto denunzia per diffamazione indirizzata al procuratore della Repubblica del tribunale di Palermo, capoluogo della regione nella quale essa risiede.

Siamo dinanzi a una lite originata da motivi professionistici o ci sono sotto faide editoriali se non implicite ragioni politiche? Tra chi segue questo blog, i tolkieniani sono molti: e confesso che lo sono un po’ anch’io, se non altro perché faccio il medievista e Tolkien ha studiato ammirevolmente sia il Beowulf, sia il Sir Galvano e il Cavaliere Verde. Penso che di questa faccenda dovremo occuparci ancora.  

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