Il corsivo. La Legge Bacchelli tra passione e pragmatismo

Sarebbe stato il primo beneficiario degli effetti della legge omonima, Riccardo Bacchelli, ma morì due mesi dopo la sua entrata in vigore. A fronte delle recenti proteste da parte degli attori circa la loro mancanza di tutele sindacali e di stipendi che consentano loro di arrivare a fine mese (un attore esordiente può guadagnare circa 15 mila euro l’anno, quelli più famosi, invece, arrivano a 60 mila), non risulterebbe fuori luogo se si tornasse a parlare della legge Bacchelli, una legge in grado di tutelare i professionisti della cultura e dello spettacolo qualora si trovassero in condizioni di indigenza. Classe 1891 Riccardo Bacchelli si colloca in quell’universo vitalista e conservatore, che considera l’eroismo del proprio pensiero, l’epica individuale unita alle grandi narrazioni ottocentesche (e occidentali) insieme ad un po’ di ardore intellettuale e pratico, la miscela per dare un’impronta creativa al proprio destino. Scrittore e drammaturgo del novecento, autore di celebri romanzi storici, tra cui Il Mulino del Po, saga che utilizza il punto di vista di una famiglia del delta del Po, la famiglia Scacerni, per narrare un secolo di storia con le sue contraddizioni, partendo dal periodo napoleonico, attraversando la Restaurazione, il Risorgimento, il Primo Conflitto Mondiale e l’immediato dopo guerra. La Rai negli anni sessanta gira e confeziona uno sceneggiato diventato di culto per la generazione dei babyboomers, materiale interessante per chi poi si sarebbe voluto occupare di cultura popolare (il metodo della scuola di Birmingham insegna). Ancora prima, in pieno neorealismo, il geniale regista, Alberto Lattuada, ne aveva tratto un film datato 1949. Conservatore senza vergogna, Bacchelli è noto anche per Mal D’Africa, un romanzo che oggi verrebbe definito di stampo colonialista che narra le vicende degli esploratori ottocenteschi. Collabora inoltre con La Voce e con La Fiera Letteraria, come critico teatrale. Non pago dei romanzi e degli articoli, ricopre ruoli di prestigio anche all’interno del mondo accademico, divenendo anche socio dell’Accademia dei Lincei dell’Accademia della Crusca. Lo stato italiano gli ha voluto intitolare una legge, che in molti casi è servita (a Guido Ceronetti, Umberto Bindi e non da ultima ad Alda Merini). Del resto, solo una legge può tutelare la situazione economica ed esistenziale di professionisti, anche se ad una certa vulgata può sembrare un’espressione roboante. Solo una legge infatti può sopperire quelle mancanze date da una cultura che considera il lavoro artistico niente di più di un passatempo, il cui il concetto di fonte di reddito è qualcosa di etereo. Sia l’arte intesa come passatempo che come lavoro sono due dimensioni legittime e dignitose, ci mancherebbe. Ma la legittimazione a settore artistico come settore di punta dell’industria culturale garantirebbe maggiori tutele a chi vi lavora e a chi vuole tentare imprese.

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Stefano Sacchetti

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