Tennis. Il (mesto) crepuscolo delle dee, salvate Serena Williams da se stessa

Triste è imboccare il viale del Tramonto. Feroce è dover accettare la sconfitta. Ridicolo è appigliarsi al nulla per giustificarsi davanti al tempo che passa. Salvate Serena Williams da se stessa, che è meglio.

La tennista americana ha perduto, in finale, gli Us Open contro la nippo-haitiana Naomi Osaka che tra poco più di un mese compirà ventuno anni.

Non l’avesse mai fatto: la Williams s’è scagliata contro l’arbitro, l’ha chiamato “ladro” e poi s’è offesa quando le ha tolto un punto. Ha rincarato la dose bollandolo di “sessismo”. Come se lei avesse perso la finale contro un uomo. S’è esibita in un comizio, urbi et orbi. Nel nome della libertà e della dignità delle donne ha costretto alle lacrime la sua avversaria che lealmente l’aveva battuta sul campo. Così non va.

Lo ha detto anche Adriano Panatta, uno che non è proprio un bacchettone e che a Repubblica ha dichiarato: “Discriminata lei? In cosa? Non siamo ridicoli. Può succedere che gli arbitri sbaglino, e non è questo il caso, e comunque un campione deve saper cancellare l’ eventuale errore arbitrale e andare avanti a giocare. Il fatto è che una come lei che ha giocato centinaia di finali, non ha retto. Non al warning, ma al fatto che stesse perdendo”. Ça suffit.

Careca

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