Focus. Enzo Ferrari, lo Stradivari dell’auto italiana

Enzo Ferrari

Enzo Ferrari muore il 14 agosto del 1988, nel suo appartamento modenese, dopo una lunga malattia. A febbraio c’era stata la festa in fabbrica per i suoi 90 anni, con i 1800 dipendenti. Viene sepolto, quasi segretamente, come voleva, nel cimitero di San Cataldo di Modena, accanto al figlio Dino, la moglie Laura, ai genitori ed al fratello Alfredo. I funerali – grazie alla ‘complicità’ del Sindaco – si terranno la mattina presto, col sole che ancora si stava alzando. 

Poche persone, oltre ai familiari: quelle che Enzo Ferrari aveva elencato su un foglio di carta lasciato nel cassetto del comodino. L’ultimo suo appunto. Più beffardo che funereo, considerando un personaggio che per tutta la vita non aveva fatto altro che annotare, cancellare, aggiungere, tirare righe su un nome o l’altro, fare elenchi di buoni e cattivi. E sempre con l’inchiostro viola, fosse una penna stilo, una biro o un pennarello. Uno degli innumerevoli vezzi di un uomo oltre il tempo, capace di creare un miracolo che è dinanzi agli occhi di tutti. Tanto che diventa persino superfluo ricordarne prodigi, meriti, leggende

(Pino Allievi, Ferrari, uomo oltre il tempo che ha creato un mito, in La Gazzetta dello Sport, 14 agosto 2008).

“Che cos’è la vita?” – gli aveva chiesto poco tempo prima uno dei rari intervistatori – “Io penso che la vita sia una smisurata galera”, aveva risposto, da Ferrari qual’era, sincero o meno. L’aneddotario sul personaggio è altrettanto vasto, come ampia la bibliografia sul mitico Drake dei bolidi da corsa, l’italiano più conosciuto al mondo, definito in cento modi diversi, geniale e cocciuto, sincero e bugiardo, disarmante e furbo, onesto e pirata, umano, ma con un gran  “pelo sullo stomaco’, contraddittorio (coraggioso, eppure non salì mai su di un aereo per paura, non prendeva né treni, né ascensori!), amato ed odiato, duro, diretto e, ove necessario, suadente e diplomatico. 

Gino Rancati (1923-1998), un noto e stimato giornalista cremonese che ha dedicato la propria vita al mondo dell’automobile, per anni cronista sportivo del TG1 Rai, curando le rubriche dedicate ai motori, con  un file rouge particolare con l’avvocato Agnelli e con Enzo Ferrari (fu lui a suggerirgli il nome dell’F-40 nel 1987, uno dei modelli più cult), ha scritto, tra ricordi e notazioni argute, in un agile libro, “Ferrari, l’unico”, uscito per i tipi di Nada Editore, a Milano nell’88, proprio alla vigilia della morte di Ferrari, un volumetto che io comprai allora durante un breve ritorno in Italia, da aggiungere ai 6-7 che già avevo sulla Casa di Maranello ed il suo fondatore:

“Ma chi è questo Ferrari, quest’uomo che urla, impreca, minaccia e poi cade nel dubbio quando deve scegliere la macchina che lo porti a Bologna per la Laurea? (n.d.r. 1960). Ma chi è questo Ferrari così duro, scostante, imperioso, pieno d’orgoglio, tanto da restarsene a Modena e a Maranello e attendere nel suo feudo l’omaggio del resto del mondo?  È un uomo che, prima di tutto, è riuscito a fare ciò che voleva, a raggiungere il traguardo sognato per anni…Malizioso, arguto, sottilmente polemico. Ostile e cordiale a seconda dei momenti. Caparbio, inflessibile, coraggio, spirito quasi profetico. Gianni Brera ha scritto: ‘ma chi, di grazia, è oggi il più grande italiano? Io per me risponderei deciso. Enzo Ferrari, lo Stradivari del motorismo che un giorno ha detto: I motori hanno un’anima’ ”.

Dietro e dentro ogni mito, e l’inevitabile retorica,  c’è sempre un uomo, magari nascosto dal fascino della leggenda. Chi era veramente Enzo Ferrari, il ‘Grande Vecchio’, a 30 anni dalla sua scomparsa? Un uomo difficile, scontroso, implacabile, a volte cinico, come parecchi lo hanno descritto? Oppure dietro la sua freddezza si nascondeva una personalità complessa e molto più sfaccettata di ciò che la gente pensava, quella di un gigante scorbutico, costretto a scontare la propria grandezza e visionarietà con la solitudine delle sue scelte? Ciò che lo differenziava da tutti era il carisma, in ogni caso, quel fascino misterioso che lo elevava rispetto agli altri.

Se oggi il Cavallino Rampante è uno dei marchi più celebri e celebrati del nostro Paese nel mondo il merito è soprattutto suo, “lo Steve Jobs italiano con cento anni di anticipo”. Come il padre della ‘Apple’, il costruttore modenese aveva voglia d’inventare il domani. La Ferrari di Ferrari questo ha rappresentato: il desiderio di scampare alla mediocrità. Quel formidabile “agitatore di uomini” è stato il pioniere di un nuovo mondo tra la via Emilia ed il West, il profeta in patria più cosmopolita di tutti: “Più famoso di me – diceva solo Cristoforo Colombo”.  Sono passati 70 anni da quando il Drake – non il drago, ma l’omonimo corsaro dell’epoca elisabettiana, il temuto capitano dando ordini perentori dalla tolda di comando uscì dai cancelli della fabbrica di Maranello al volante della prima Rossa. Quelle macchine, vagheggiate da Enzo Ferrari durante la guerra ed il bombardamento della sua fabbrica, hanno segnato il passaggio dell’Italia da Paese contadino a potenza industriale ed hanno liberato i sogni di una rinascita collettiva, con buona pace dello scrittore Dino Buzzati, secondo cui al volante della Ferrari c’erano solo “giovani ricchi con facce curiosamente inespressive”. 

Ferrari 125 Sport, 1500 cc., V12, Carrozzeria Touring Milano, 1947

                                                            

La velocità, il culto del motore tanto emiliano e della competizione sfrenata, il trasporto per le donne. Un’estetica in fondo dannunziana e futurista, quella del Drake, che risalta nella passione per le imprese dello sfortunato eroe dei cieli della Prima Guerra Mondiale, Francesco Baracca. “Metta sulle sue macchine il cavallino rampante di mio figlio. Le porterà fortuna”, gli chiese la madre del caduto, la contessa Paolina. E quello stemma si fece romanzo popolare. L’Italia deve a Ferrari se per decenni fu vista nel mondo come qualcosa di migliore e diverso rispetto a stereotipati mandolini, mafie, imbrogli, doppiezze, politici guitti.

                                           

‘Enzo Anselmo Ferrari (Modena, 18 febbraio 1898 – Modena, 14 agosto 1988) è stato un imprenditore, dirigente sportivo e pilota automobilistico. Ferrari fondò la Scuderia Ferrari nel 1929 a Modena. Fino al 1932 la squadra motoristica ricoprì il ruolo di filiale tecnico-agonistica dell’Alfa Romeo, mentre a partire dal 1933 ne divenne il reparto corse e cominciò a occuparsi di progettazione e gestione delle vetture da competizione. Tale impegno proseguì con successo fino alla fine del 1937, quando la scuderia fu sciolta e l’Alfa Romeo allestì un nuovo reparto corse con a capo Ferrari.Dopo avere lasciato questo incarico nel 1939, il 13 settembre dello stesso anno Ferrari fondò a Modena l’Auto Avio Costruzioni, nello stesso luogo dove fino a due anni prima aveva sede la scuderia Ferrari. Non fu usata la denominazione Ferrari a causa di clausole contrattuali che legavano Ferrari all’Alfa Romeo e che gli impedivano di utilizzare il proprio cognome sulle automobili da lui prodotte fino a tutto il 1942. La prima vettura, la 815, fu costruita nel 1940 in soli due esemplari. Tuttavia con l’avvento della seconda guerra mondiale l’attività automobilistica venne sospesa e le commesse dell’azienda divennero principalmente la costruzione di componenti per velivoli. Nel 1943 la sede fu spostata a Maranello e, dopo che venne bombardata dagli Alleati nel 1944, fu ricostruita nel 1945. Finita la guerra, Ferrari fondò l’Auto Costruzioni Ferrari, all’inizio del 1947, a Maranello. La prima Ferrari fu la 125 S, che debuttò in gara l’11 maggio dello stesso anno. A Piacenza, guidata da Franco Cortese, primo pilota e collaudatore Ferrari, ottenne la sua prima vittoria alla seconda corsacui partecipò. Nel 1960 l’impresacambiò denominazione in SEFAC (Società Esercizio Fabbriche Automobili e Corse), divenendo semplicemente Ferrari nel 1965. Nel 1969 entrò a far parte del Gruppo Fiat, ma mantenne comunque la propria autonomia nel settore della gestione sportiva. Alla scomparsa di Enzo Ferrari nel 1988, il pacchetto azionario divenne per il 90% del Gruppo Fiat, mentre il restante 10% andò al figlio Piero Lardi Ferrari (…). Nel gennaio 2016 essa fu scorporata da Fiat Chrysler Automobiles (FCA), il gruppo automobilistico nato dalla fusione tra Fiat S.p.A. e Chrysler Group’.

(Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrari; Oscar Orefici, Ferrari: romanzo di una vita, Milano, 2007; Leo Turrini, Enzo Ferrari.Un eroe italiano, Longanesi, 2002).

Ricordiamo ora alcune delle celebri frasi di Enzo Ferrari, per cercare di capire o sondare il pensiero e la personalità (fin dove possibile) di chi fu il creatore di un prodigio industriale e sportivo che ha conquistato estimatori in ogni angolo del pianeta. 

Secondo il regista Roberto Rossellini, che la guidò anche alla ‘Mille Miglia’, non esisteva emozione più bella al mondo di correre con una di quelle automobili a 240 Km. all’ora. E lo affermò con Ingrid Bergman seduta al suo fianco. “Il motore di questa macchina esprime un’armonia così perfetta che nessun maestro potrebbe mai interpretarla”, sosteneva il grande direttore d’orchestra Herbert von Karajan.

Le frasi celebri di Enzo Ferrari

“Ho trovato uomini che indubbiamente amavano come me l’automobile. Ma forse non ne ho trovati altri con la mia ostinazione, animati da questa passione dominante nella vita che a me ha tolto il tempo ed il gusto per quasi ogni altra cosa. Io non ho alcun diverso interesse dalla macchina da corsa”; “ Spesso mi chiedono quale sia stata la vittoria più importante di un’autovettura della mia fabbrica e io rispondo sempre così: la vittoria più importante sarà la prossima”; “Io non ho mai fatto un viaggio turistico, non sono mai andato una volta in vita mia in vacanza; per me le più belle ferie sono quelle di restare nella mia officina quando vi sono rimasti pochi collaboratori; è il momento in cui ci si può concentrare in programmi di studi e modifiche”; “Non abbiamo petrolio e miniere ma possiamo primeggiare nel mondo con la fantasia”; “Non sono mai stato né progettista né calcolatore. Sono sempre stato un agitatore di uomini e di talenti”; “Quando le mie macchine vincono solcando il traguardo, mi assale un grande orgoglio nell’essere italiano”; “Sono i sogni a far vivere l’uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani, sempre che sappiamo chiaramente quel che vogliamo e siamo decisi ad ottenerlo”; “I motori sono come le donne, bisogna saperli toccare nelle parti più sensibili”; “Non si può descrivere la passione, la si può solo vivere”; “L’automobile è un’espressione di libertà, ed il rischio che stiamo correndo è quello di ammazzarci perché ce n’è troppa. 

Del resto, ci sono due modi classici di morire: di fame e di indigestione”; “Io sono indispensabile a tutti voi giornalisti, perché se non aveste avuto un Ferrari dovreste inventarlo, perché avreste meno da scrivere. Avete bisogno di Ferrari. D’altra parte quello che fate voi non mi stupisce, perché gli italiani perdonano tutto, ai ladri, agli assassini, ai sequestratori, a tutti, ma non perdonano il successo”; “Sono tranquillo, anche se non sereno, anche se così terribilmente imperfetto. Non mi sono mai pentito. Rammaricato, spesso, pentito mai, perchè ripeterei le stesse azioni, comportandomi però in modo completamente diverso. Nella mia vita ho fatto quello che mi faceva piacere, non ho credito con nessuno. Mi sono limitato a fare quello che ho fatto, ma forse nell’altro Pianeta avrò più successo”; “Un giorno io non ci sarò più. Spero che le rosse vetture che portano il mio nome continueranno ad esserci anche dopo di me ed a farsi onore su tutti i circuiti del mondo”.

Dino Ferrari sepolto in camicia nera

Il carattere di Enzo Ferrari si forgiò in una vita difficile, costellata di disgrazie, tra le quali, lacerante, la malattia dell’unico figlio legittimo Alfredo Ferrari, Dino (Modena, 19 gennaio 1932 – Milano, 30 giugno 1956), affetto da distrofia muscolare generalizzata, deceduto a soli 24 anni, interrompendo una promettente carriera di ingegnere meccanico. Una piccola digressione. Dino avrebbe voluto iscriversi al Msi. Vi aveva rinunciato per riguardo all’Azienda, date le circostanze di luogo e di clima politico (Ferrari doveva anche contribuire alle Feste dell’Unità). Vicino a morire aveva chiesto al padre d’essere sepolto con indosso la camicia nera e di avere al funerale il labaro della Gioventù missina. Così fu, senza un segno né una voce di dissenso, in una terra di comunistoni.

Non ci furono solo corse, progetti e sentenze, ma pure pensieri e comportamenti: “Grande affarista-comunicatore, enorme fascino, fiuto per le persone. Ferrari è diventato Ferrari senza aver mai viaggiato, salvo qualche sporadica sortita fuori dal regno emiliano. Quando si accordò con Pinin Farina, che poi avrebbe disegnato alcune delle sue più celebri granturismo, s’incontrarono in una trattoria vicino a Piacenza. Nessuno dei due, per orgoglio, si era voluto spingere sino a casa dell’altro”, scrisse Pino Allievi. 

Nella sua prima e pregevole autobiografia, Le mie gioie terribili (Rocca San Casciano, Cappelli, 1962) – seguita da Piloti, che gente, San Lazzaro di Savena, Conti, 1985 – Ferrari ha raccontato di quella volta che incrociò Pavarotti e venne colpito dalla “pacata semplicità” del tenore, “insospettabile in un uomo di tanto successo”. Mastroianni fu attentissimo ad ogni particolare della vettura. Ad Anna Magnani fece da autista, ma Nannarella si prese paura e lo invitò a rallentare. A Little Tony, che gli confessò aspirazioni da pilota, augurò con sarcasmo di avere il successo ottenuto col canto, mentre a Rosanna Fratello consegnò le pagelle sulle signore della musica (“Mina non è male, ma a volte sembra una lavandaia, la Zanicchi somiglia in eccesso a una rezdora emiliana”). “Sono troppo vecchio per apprezzare i versi e la musica di Bruce Springsteen, ma spiegagli che non si è inventato niente”, disse testuale a Michele Alboreto che gli stava raccontando come, a partire dal dialogo fallimentare tra un imprenditore ed un reduce di guerra, il Boss aveva costruito la canzone “Born in the Usa”. Un idealista senza illusioni, un uomo libero da ogni schema politico. Enzo Ferrari si mantenne fuori dalla politique politicienne.  

“Nel 1920 cominciavo soprattutto a far sentire con istintiva prepotenza la mia vocazione di agitatore di uomini e di problemi tecnici” scriverà poi. “Volevo essere un grande pilota, e non lo sono stato”, confesserà ad Enzo Biagi, ricordando di aver smesso nel 1931, con l’arrivo del figlio Dino. Egli non era né un progettista, né un grande conoscitore di auto, paradossalmente. Amava i motori ed aveva fiuto. Neppure soggiaceva ad inutili orgogli. Quando la Lancia smise di correre, nel 1955, egli rilevò (gratis e con un contributo poliennale della Fiat) tutte le vetture ed il materiale e mise volentieri in pista la raffinata, leggera ed innovativa D50 – progettata da Vittorio Jano, l’italo-ungherese, massimo creatore di auto da corsa – per altre due stagioni, vincendo il Mondiale 1956 con Fangio, come se fosse propria, cambiandone l’emblema e non molto di più…Nel dicembre 1976 Bernie Ecclestone, già padrino della F1, dirà di Enzo Ferrari:

“È l’uomo più incredibile che abbia mai conosciuto, e di gente ne ho conosciuta veramente tanta. È una leggenda, è come Winston Churchill. Si parlerà sempre di lui e mi auguro che possa vivere fino a 200 anni”.

Aveva una moglie piemontese, ingombrante ed impicciona, Laura Garello (1900-1978),  forse già una ballerina, sposata nel 1923, in pessimi rapporti con la madre di Enzo, che, in qualche occasione, schiaffeggiò i collaboratori del marito, provocandone le dimissioni… dopo la morte della moglie, Ferrari potè riconoscere il figlio Piero Lardi, nato nel 1945, figlio di una segretaria, Lina Lardi degli Adelardi (1911-2006), di nobili origini, con la quale egli ebbe una relazione, secondo la donna, di ben 59 anni, e farlo suo unico e ricchissimo erede.  

Il corpulento Enzo seminò Mussolini, alla cui auto faceva una volta da battistrada, sui tornanti dell’Appennino: ”Lei mi ha dato una lezione di guida”, ammise il Duce. Nel Dopoguerra ospitò il segretario del Pci Togliatti e gli chiese perché lo chiamassero ‘il Migliore’: “Perchè sono circondato da mediocri”, rispose l’onorevole. “In fondo e lei ci somigliamo – ribattè il costruttore – io sono il migliore per la mia azienda, lei lo è per il suo partito, non abbiamo usurpato nulla a nessuno”. Con Berlinguer parlò dei meriti del modello industriale emiliano, “dove non c’è posto per sfaticati e assenteisti”. Sentì amarezza quando l’Osservatore romano, nel 1958, lo paragonò al Saturno di un’industria che partoriva creature per poi divorarle. Con Craxi discusse di Garibaldi e di patria e si stupí quando Pertini, da capo dello Stato, poco amato, gli inviò un telegramma per complimentarsi dopo una vittoria della Rossa. O quando gli telefonò Giovanni Paolo II.

In morte del Grande Vecchio, Indro Montanelli accusò la classe politica di non aver mai onorato un personaggio tanto importante con la nomina a Senatore a vita. Ma Ferrari non sapeva cosa farsene dei titoli, era un uomo del fare, animato da un sentimento quasi risorgimentale, un po’ enfatico: “Sono un italiano orgoglioso di essere tale, nonostante i difetti miei e del mio popolo”. Quando Paul Newman gli disse che a Hollywood pensavano ad un film sulla sua vita disse: “Non ce ne è bisogno, la mia vita è già un film”. A Lauda, che nel 1977 preferì passare al Parmalat Racing Team, disse bruscamente che era un ‘ebreo’ e che si era venduto per 30 salami! 

Enzo Ferrari ha messo Maranello sulle cartine geografiche della Storia. Capi di Stato e star di Hollywood hanno fatto a gara per farsi fotografare vicino alle sue macchine più belle. Ferrari non ha mai voluto far sistema: il sistema era lui. Affermava che “la società ideale ha un numero dispari di soci e sempre inferiore a tre”. Per le Feste di Natale soleva regalare lambrusco e zampone: “per poter dare del maiale a tutti ed essere pure ringraziato!” Anche a Gianni Agnelli. E nonostante non si sia quasi mai mosso da Maranello, è stato il mondo ad affrontare gli esami davanti alla sua scrivania. Un uomo, un industriale solitario, istrionico, sarcastico, buon scrittore dallo stile asciutto e stringato, scettico ed appassionato. Un padrone nato. Ha detto Fiamma Breschi (Firenze, 1934-2015), attrice, bella donna fiorentina che spesso appare nelle foto con i capelli con meches, occhialoni, jeans a vita bassa, “capace di vestire la Ferrari di rosso tango, verde germoglio, nero Cina e giallo flame“: 

“Con la vita aveva un rapporto da divoratore e occupava tutto lo spazio delle persone che gli erano intorno, fossero i suoi piloti, i suoi figli o le sue donne. È stato un costruttore di macchine ed un distruttore di uomini, ma se entravi nella sua orbita avresti dato qualunque cosa per non uscirne. Un uomo meraviglioso, intuitivo, con un carattere difficile…  So come si comportava con i piloti. Li metteva gli uni contro gli altri perché si stimolassero a vicenda, perché scattasse fra loro la competizione. Per Ferrari i piloti in un certo senso erano robot che guidavano le sue macchine. E quando gli dicevo qualcosa sul suo modo di fare ruvido mi zittiva: ‘Mi ritengo peggiore degli altri, ma non so quanti siano migliori di me’. Enzo Ferrari era un uomo sopra il naturale: io un’intelligenza così non l’ho mai incontrata”.  (Cfr. Francesco Persili, Enzo Ferrari, lo Steve Jobs italiano, 2017).

La donna diede un nuovo look al Ferrari uomo ed inventò altri colori per l’auto più desiderata al mondo. Assessore all’immagine della Scuderia Ferrari durante anni. Enzo, il commendatore, l’ingegnere, il Capo autocratico e perfezionista, donnaiolo, ha chiesto alla Braschi di sposarlo fino all’anno della sua morte. Un amore impossibile. Lei era un’amica, non era innamorata di lui: il suo vero amore era morto il 6 luglio del 1958: si chiamava Luigi Musso ed era un pilota di Ferrari. Fiamma, giovane ed attraente, era la compagna di Musso,  disposto a lasciare moglie e due figli pur di averla accanto ogni giorno, sino all’ultimo, quando uscì di strada al famigerato virage du Calvaire di Reims: un’epoca di reiterate stragi in pista, culminate nella tragica Monza del ’61, quando morirono il conte von Trips, ad un passo dal Mondiale, e 13 spettatori alla curva parabolica. 

A settembre 2017 la Ferrari ha celebrato, a Maranello, i suoi 70 anni, ma senza il resuscitatore del sogno e del mito: Luca Cordero di Montezemolo. Quest’ultimo ha lasciato la Presidenza, dopo 23 anni, nel 2014. Poteva essere un naturale avvicendamento, si è rivelato qualcosa di diverso: l’epilogo di un duello con un vincitore, Sergio Marchionne (dal 2004 Amministratore Delegato Fiat e poi molto di più), ed uno sconfitto, Montezemolo. Il taglio netto con il passato voluto dalla nuova gestione ed una vistosa stonatura: il perdente non era fra gli ospiti della festa, pur avendo guidato la Ferrari oltre venti dei settanta anni per cui la si celebrava. Una mancanza di stile, che il rispetto ora dovuto ad un defunto non può far sottacere: 

‘È impossibile parlare dei settant’anni della ‘Rossa’ nello sport prescindendo dal fondatore, ma anche dal resuscitatore, scelto personalmente dallo stesso Enzo Ferrari nell’estate del ’73… Tant’è vero che trascorsi due anni, con Lauda, la Ferrari era tornata campione del mondo dopo un digiuno lungo 11 stagioni. Sommati insieme, quarant’anni alla guida della propria creatura Enzo Ferrari, e ventitré come numero uno della Rossa, Montezemolo, hanno portato a casa 15 mondiali piloti, 16 titoli costruttori vinti, il tutto ripartito come segue: 9 campionati piloti Ferrari e 6 Montezemolo, parità otto a otto nei costruttori e 221 successi: 103 sotto il fondatore, 118 con il resuscitatore’.

Con i 12 di Vettel sotto il successore Marchionne fanno 233, aggiornati al 31 luglio 2018. 

‘Splendidi e mitici i piloti di Ferrari: da González al poco sopportato, però sempre ammirato, Juan Manuel Fangio, dall’amato Ascari a quelli da cui si sentì tradito, John Surtees in primis e poi Lauda, fino agli sfortunati Luigi Musso e Peter Collins le cui morti in sequenza scatenarono contro di lui la Chiesa. Senza dimenticare Lorenzo Bandini, Gilles Villeneuve, Michele Alboreto e gli ultimi scelti personalmente: Gerhard Berger e Nigel Mansell. Fra i piloti di Montezemolo a entrare nel mito è invece uno solo: Michael Schumacher. Cinque mondiali di fila e 72 vittorie regalate a sé stesso e alla Rossa. Enzo Ferrari, l’uomo che diede il via al sogno il 12 marzo 1947 uscendo dai cancelli della fabbrica di Maranello al volante della prima auto, la 125… (Benny Casadei Lucchi, Al compleanno della Ferrari resta fuori solo Montezemolo, in “Il Giornale”, 10/09/2017).

Il 21 luglio scorso sono stati convocati, al Lingotto di Torino, CdA straordinari per la successione a Marchionne, già ricoverato da fine giugno nell’Ospedale Universitario di Zurigo. Le cui condizioni di salute si erano rapidamente aggravate, fino a determinare “uno stato di coma irreversibile”. Detto Consiglio ”ha deciso di nominare John Elkann presidente e proporrà all’assemblea degli azionisti di nominare Louis Carey Camilleri amministratore delegato, ed ha attribuito al medesimo le deleghe necessarie a garantire continuità all’operatività dell’azienda”. Louis Camilleri nato nel 1955 ad Alessandria d’Egitto, da una famiglia maltese, ha svolto gran parte della sua carriera manageriale in Philip Morris e già faceva parte del board Ferrari. Porteranno a casa, finalmente, un altro mondiale? 

È rimasta incompiuta, con la sua scomparsa (è deceduto il 25.7.2018), la rivoluzione che Sergio Marchionne si apprestava a pianificare, quella che avrebbe probabilmente visto l’introduzione di modelli  mai esibiti dalla Casa del Cavallino, come il Suv e l’avvento di vetture ibride ed elettriche. Fino a che punto Marchionne ne fosse intimamente convinto credo rimarrà un mistero. Nel 2019 Sergio Marchionne avrebbe lasciato gli incarichi operativi in FCA, ma dopo aprile 2019 sarebbe rimasto presidente di Ferrari.

Ferrari F40, per il 40mo della marca, V8, 2,9 litre, 478 hp, Pininfarina, 1987)

Nel 2014 la classifica di «The Brand Finance Global 500» ha incoronato il marchio italiano, Ferrari, come il «marchio più forte del mondo». Il marchio del Cavallino Rampante ha superato quello della Coca Cola (seconda) ed addirittura Google, finito al quinto posto. La classifica riguarda i 500 marchi più influenti al mondo ed era già stata capeggiata dalla Ferrari l’anno precedente. Secondo Brand Finance «il Cavallino rampante su sfondo giallo è immediatamente riconoscibile in tutto il mondo anche dove non ci sono ancora le strade. Nel suo Paese natale e tra i suoi molti ammiratori in tutto il mondo la Ferrari ispira molto più della lealtà al brand, più di un culto ed una devozione quasi religiosa». Eccellenza che si mantiene nel 2018, anche se, in termini assoluti, il brand occupa solo, in quanto a valore, la 350ma posizione: 

‘Though Ferrari is the world’s most powerful brand, being a niche, luxury brand with an officially capped production, it is perhaps unsurprising that it is some way off being the world’s most valuable. Its US$4 billion brand value puts it 350th in brand value terms’. 

Per i 70 anni della Scuderia, nel 2017, non è stata lanciata una vettura ufficiale,  ma informalmente ha bene recitato la sua parte la 812 Superfast. La Ferrari di serie più potente della storia, con 789 CV, sintesi di tradizione ed innovazione tecnologica: e non è una frase fatta.

Ferrari 812 Superfast, V12, 6,5 litri, 789 hp, 2017

Per il dopo-Marchionne, iniziato con una caduta in borsa del titolo, ma con una “trimestrale” positiva, in quanto a volumi di vendite e ricavi, l’utile netto è stato pari a 160 milioni di euro, +18,1% rispetto all’analogo periodo 2017. L’auto già presentata nell’epoca Marchionne, ma non ancora commercializzata, è la Ferrari Portofino.

@barbadilloit

Gianni Marocco

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