Libri. “Maravigliosamente” di Anna K. Valerio per planare dalla Campo a Gentile, passando per Heidegger e Gómez Dávila

Maravigliosamente e Anna K. Valerio

Lo si condivida o meno, l’assunto secondo cui oggi sono i poeti a marciare con più slancio sulla via indicata da Gustav Meyrink per il superamento della meschina dimensione esistenziale ha un suo vigore e un suo fascino, ed è esposto da chi lo ha formulato col consueto vigore e una fitta serie di riferimenti, che coinvolge tuttavia anche figure non riconducibili in senso stretto alla poesia ma capaci di fare della loro esistenza artistica o filosofica un capolavoro, anche se le loro vite sono spesso impoetiche. Mentre queste brevi note sono stese il caso ha voluto che si proponesse alle cronache la notizia di uno sfortunato giovane, atrocemente ferito in un incidente di moto e cui la struttura pubblica non può più garantire le cure, e che il figlio di un amico carissimo compisse l’ultimo tentativo di uscire da una analoga, terribile situazione, con un intervento chirurgico: queste due realtà hanno naturalmente reso più viva e immediata l’immagine di Pierluigi Cappello, la cui scrittura Anna K. Valerio in uno dei suoi tanti “esercizi di ammirazione” non esita a definire eroica, e di cui ricorda la prima, come giustamente definisce, robusta raccolta di versi, Assetto di volo, di cui l’aggettivo “robusta” documenta appunto il vigore e il protendersi oltre i propri limiti fisici. Versi severi, classici, e non sembri crudele o irriverente questo riferimento al volo, al librarsi, se si pensa che in questo stesso volume, passando dalla poesia alla prosa cruda della vita, l’autrice sottolinea che porre regole chiare e infrangibili ai ragazzini è l’unico modo per impedirgli di volare dalle finestre, non avendo altri cieli dove farlo. 

Ma la cronaca entra solo marginalmente in questo manuale di esercizi di ammirazione, e se vi compare di passaggio lo stesso Matteo Salvini si può quasi subito uscire dalla quotidianità ritrovandosi nell’ubiquità di quella Amsterdam che da scenario reale del meyrinkiano Il viso verde diviene spazio ubiquo e virtuale, e plurale, come nel caso dei versi di Letizia Dimartino. Questo non deve esser visto come un riferimento solo metaforico al romanzo di Meyrink: Valerio è ben consapevole del vigore letterario e soprattutto iniziatico dell’opera, e se ciò non le impedisce di cercare analogie anche forti con la poetica di Antonio Moresco, la porta comunque a sottolinearne il suo essere un libro di risposte, e ad affermare che la sua grande intuizione è che “la sete di conoscenza debba radicarsi in una sincera, radicale magnanimità, quale l’amore sa esprimere”.

Maravigliosamente è anche un pre-testo per toccare temi diversi e recuperare alcune prese di posizione, o per ricordare autori oggetto di grande passione. Il Giappone del XVI secolo viene così evocato nei versi del samurai e daimyō Uesugi Kenshin, il Giappone eterno nel suo ritenere il massimo delitto soffocare la bellezza in una matassa di circostanze veniali, eterno nell’auspicio dei suoi eroi di poter soltanto cadere puri e luminosi come fiori di ciliegio in primavera. La nostra realtà tuttavia non consente di indugiare a lungo sui mondi ideali o sulle ere gloriose, e tocca occuparsi anche di cose concrete, come una fiera libraria, o meglio la sua crisi: anche questo però consente all’autrice di dialogare con l’Hagakure, con Mishima e il suo “pazzo morire”, per spiegarci che esso consiste nello slanciarsi verso il punto più vivo della fiamma, dove vengono meno le morali ideologiche drogate di contingenza”, per vivere davvero, per fare spazio intorno a sé. 

È quindi soprattutto, questa serie di scritti, un protendersi sempre in avanti, un rompere convenzioni letterarie e mentali, quasi un sottoporsi a un test del DNAdella scrittura e del pensiero, che rivela, con grande frequenza, il cromosoma dell’amore, sotto qualunque forma, e che porta Valerio a una costante maraviglia di fronte alla bellezza, sempre più respinta dal mondo eppure presente, se solo si sappia coglierla: amore d’altronde, e diversamente che in copertina, compare accanto alle parole vita e politica nell’indice della collana il Cavallo alato. Le vengono in aiuto naturalmente, in questa ricerca, tutti i suoi amati poeti, gli immortali, come Leopardi e Montale, o quelli che vuole sotrarre all’oblio, come i già citati Cappello e Dimartino, Antonia Pozzi o Milo De Angelis. 

La maraviglia, o ammirazione, è sincera e smisurata anche per scrittori come Sciascia, Verga, Bacchelli, o il Pennacchi a suo tempo vincitore dello Strega con Canale Mussolini, romanzo dal titolo definito splendido da Anna K. Valerio, e all’epoca sorprendentemente vittorioso, contenendo e presentando le vicende di un popolo vero, e reso grande dalla volontà di chi lo guida. E qui sta il punto, almeno rispetto alla questione del δήμος, quando ci viene ricordato che non ci vuol molto perché si scateni, con la libertà, ogni bestialità, come avvenne al processo Caruso col linciaggio dell’innocente Donato Carretta1. Risulta, forse, questo, uno dei maggiori pregi di questa agile e sintetica raccolta, il porre accanto l’esaltazione della bellezza, dell’amore, accanto a quelle riflessioni sul tragico cui ci hanno abituato, da secoli, i filosofi, che sono di casa in queste pagine, da Cristina Campo a Gentile, da Heidegger a Gómez Dávila, a Carlo Michelstedter. Ma accanto alle questioni filosofiche, in Maravigliosamente, si incontrano quelle di costume e dell’eros: cosi Valerio sottolinea come in un saggio di Teresa De Monte2 siano fornite in modo inoppugnabile le ragioni del rifiuto di quell’abominevole pratica modernistica che va sotto il nome di utero in affitto, e propone il quesito se i suoi figli somiglino a chi era lei quando li portava dentro di sé o se piuttosto siano stati i suoi umori di allora a plasmarli. La sua protesta non le impedisce, naturalmente, di condividere quella delle ragazze esposte alle piccole violenze professionali, o di interrogarsi su quella sorta di rottamazione del desiderio che è spesso l’effetto conclusivo della nostra condizione di polli di allevamento, di normali per forza, come recitava il titolo di una commedia di Cesare Ferri, una condizione che può sembrare disperante ma non dev’essere accettata passivamente, piuttosto è da tentare di superarla proprio nello slancio verso la Bellezza. 

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Attilio Cucchi 

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