La storia. Alberto Ascari, asso italiano dell’automobilismo, nasceva 100 anni fa

Alberto Ascari, Fangio e Farina

Dopo Nuvolari, Ascari è stato il più grande e popolare pilota italiano di automobilismo. Si correva con enorme, oggi inimmaginabile, sprezzo del pericolo, senza cinture né tute ignifughe, su monoposto dalle ruote sottili, facili ad infiammarsi o decapottare, ed in circuiti quasi privi di protezioni e, contemporaneamente, in diverse categorie. Cosa ora impensabile. Louis Chiron vinse, ad esempio, il G.P. di Monaco ed il Rally di Monte Carlo! Era uno sport ancora abbastanza elitario nei favolosi Anni ‘30, l’epoca di Tazio Nuvolari, Achille Varzi, ma anche di Campari, Borzacchini, Brilli Peri, Trossi, Fagioli, Bordino, Nazzaro, Arcangeli, Rudolf Caracciola, Bernd Rosemeyer, von Brauchitsch e tanti altri. Talora i piloti acquistavano l’auto sulla quale poi correvano. Corse lunghe, sfibranti, cruenti, per eroi che cadevano spesso ad ogni tenzone o che scendevano poi dalle loro ‘bare volanti’, lordi di polvere e di residui delle combustioni, al termine di epiche imprese. Per molti versi quell’epoca rinasce dopo l’immane conflitto e dura quasi sino alla fine degli anni ’50, affiancando i vecchi indomiti, come Nuvolari, Farina, Varzi, Biondetti, a leve fresche di straordinario talento, italiani, tedeschi, francesi, inglesi, ed ai leoni argentini dell’era peronista, Fangio, González, Mieres, Marimón, Gálvez. 

Tra la nuova generazione d’italiani, talora non giovanissimi a causa dell’interruzione dovuta alla guerra, il più famoso fu sicuramente Alberto Ascari, del quale ricorre il 13 luglio il centenario della nascita, a Milano. Vincitore del titolo di Campione del Mondo di Formula 1 nel 1952 e nel ’53. Il suo debutto su quattro ruote fu nel 1940. Era un pilota talentuoso, un asso ed un genio del volante. Nella massima categoria automobilistica disputò trentadue Gran Premi, vincendone tredici. Ottenne quattordici pole position. È l’ultimo conduttore italiano ad avere vinto il titolo mondiale piloti.

Quando ero bambino gli italiani erano già grandi appassionati di corse, poveri generalmente, ma sempre nazionalisti. Non c’era bisogno di tariffe doganali: le nostre auto avevano trionfato prima della Guerra nei circuiti più famosi, da Monza al Nürburgring, da Montlhéry a Brooklands, de Monte Carlo all’Avus, da Tripoli a Pescara, con le rosse Fiat, Itala, OM, Ansaldo, poi con le Alfa Romeo e Maserati di Nuvolari e Varzi, sbaragliando le frecce argentate teutoniche Mercedes-Benz ed Auto Union, i Caracciola, Lang, Rosemeyer, le blu francesi Bugatti, Talbot, Delage, Delahaye, le verdi britanniche Bentley ed Aston Martin… Senza parlare delle nostre moto maravigliose che lo stesso Duce del Fascismo era solito condurre a velocità inaudite, nei giorni di sole e di canti della patria perduta. Alfa Romeo, Cisitalia, Maserati, Ferrari, Lancia negli Anni ‘50 riassumevano l’orgoglio italiano per i motori potenti e rombanti, le vittorie nelle corse. E non solo per stordirsi o ubriacarsi con glorie svanite…

Mi ricordo, come se fosse ieri, di quando l’asso del volante Alberto Ascari su di un terrificante, assordante bolide rosso – costruito vicino alla casa dei miei parenti di via Caraglio in Borgo San Paolo, il quartiere torinese cresciuto intorno alla Lancia – la  D50 disegnata da Vittorio Jano, vinse la sua penultima corsa nel “Gran Premio del Valentino”, a Torino, nel marzo 1955.  Era un tracciato cittadino improvvisato che si snodava, in un punto, in Corso Massimo d’Azeglio, ad appena un isolato dal mio edificio. Per anni sull’asfalto della partenza, presso il Castello del Valentino,  si potè leggere il suo nome, verniciato di bianco. Gli restavano due mesi di vita prima del tragico, inspiegabile incidente di  Monza, con la Ferrari 750 Sport dell’amico Castellotti, al termine delle prove.

Il 26 maggio 1955 Ascari è nella sua casa di Milano, con la moglie Mietta. Gli amici e colleghi, dall’anno precedente nella nuova avventura con Lancia, Luigi Villoresi e Eugenio Castellotti, lo chiamano a Monza: stanno testando una nuova Ferrari 750. E’ un giovedì, ora di pranzo. La domenica si corre il ‘Gran Premio Supercortemaggiore’ per Sport prototipi. Alberto giunge all’autodromo. Si fa prestare la Ferrari da Castellotti, che ha giá concluso la sua prova,  per farci qualche giro ed anche un po’ d’equipaggiamento: lui è elegantemente vestito, in giacca e cravatta. Sale in auto e lascia i boxes con il motore ruggente e la cravatta svolazzando. È senza i suoi indumenti, il suo casco, i suoi guanti, i fedeli amuleti. Abdica a tutte le abitudini scaramantiche: una fra tante, non prendere mai in mano un volante il giorno 26. Dopo tre giri, si sente un boato. Nessuno lo vede, apparentemente, nessuno sa cosa sia accaduto. È uscito come un siluro fuori controllo da una curva del circuito, la curva del Vialone, che poi, da quel giorno, prenderà il suo nome. 

Ascari decede sul colpo, sotto il peso della vettura. Gli amici sono sgomenti ed increduli. Sull’asfalto c’è il segno di una frenata, inspiegabile. Forse un malore, forse una manovra causata dalla percezione di un pericolo, chissà il destino cui era sfuggito a Monte Carlo e che lo aveva seguito a Monza. Là era volato in acqua. Il rocambolesco incidente era accaduto solo quattro giorni prima, durante il Gran Premio di Monaco, domenica 22 maggio: Ascari, alla guida della Lancia, è secondo dietro la Mercedes di Stirling Moss. All’ottantunesimo giro, Moss abbandona la gara a causa di un problema al motore. Ascari non lo sa. Accelera fino all’uscita del tunnel, si distrae forse perché vede il pubblico esultante. Perde il controllo dell’auto, sfonda le barriere e vola in mare, nel porto. Buona ricostruzione qui :

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=l7E2o04I6eg[/youtube]

Ascari si libera dalla vettura finita dieci metri sotto l’acqua del Mediterraneo e ne esce quasi incolume (solo una frattura al naso). E’ illeso, ma scioccato. Un presentimento gli vela lo sguardo nei giorni seguenti. Teme di subire il destino del padre, dibattendosi tra fatalismo ed ineluttabilità.

 

G.P. Monaco. Ascari su Lancia D50, 22 maggio ’55

Il corpo di Alberto viene sbalzato Monza a quindici metri di distanza. E’ morto sotto la Ferrari 750. Sull’asfalto c’è il segno di una frenata, inspiegabile. Forse un commissario imprudente che attraversa la pista. O semplicemente il fato.Trent’anni prima, sempre il 26, ma di luglio, era toccato al padre. Vittima di un incidente automobilistico a Monthléry, in Francia, presso Parigi, Antonio Ascari era morto il 26 luglio 1925, a 36 anni, guidando un’Alfa Romeo P2. Un giorno maledetto, il 26. Il figlio non riesce a spezzare il filo di un destino fatale. Il 26 maggio 1955 Alberto pure ha 36 anni, è cinque volte campione d’Italia, due del Mondo ed ha già corso al volante di Alfa Romeo, Maserati, Ferrari e Lancia. Ha vinto numerosi trofei, tra cui la ‘Mille Miglia’ del 1954.

 La famiglia Ascari tra gloria e tragedia, fu scritto. Ambedue, Ascari figlio ed Ascari padre, avevano vinto 13 Gran Premi; ambedue morirono quattro giorni dopo soffrire un grave incidente; ambedue ebbero l’incidente fatale ad alta velocità in una curva a sinistra poco accentuata; ambedue lasciarono una vedova e due figli. Tutta Italia sentì nel profondo e pianse la sua scomparsa. Fin troppo facile leggervi un’ansia di riscatto, dopo anni di sconfitte, occupazioni militari, umiliazioni, che andava ben al di là di un fatto meramente automobilistico e sportivo. A Milano un milione di persone in silenzio (a quei tempi non si applaudiva cafonescamente come oggi), prese congedo dall’eroe caduto, segno dell’immenza popolarità dello scomparso. Occorsero quindici camion per portare le corone di fiori e la grande carrozza funebre era trainata da impennacchiati cavalli neri. Telegrammi di cordoglio vennero spediti da tutto il mondo. Alle colonne della chiesa di San Carlo al Corso, dove si svolse il rito religioso, furono appesi drappi neri e venne posta un’enorme scritta: “Accogli, o Signore, sul traguardo l’anima di Alberto Ascari”. 

Per i suoi funerali la piazza del Duomo, il cuore pulsante di Milano, era invasa da gente commossa. La piazza più rumorosa d’Italia fu quel giorno così silenziosa che si potevano sentire i telefoni squillare a vuoto nelle case. Il casco azzurro, da tutti conosciuto, fu appoggiato sulla bara nera. Nel Cimitero Monumentale di Milano, Alberto Ascari riposa al lato del padre. Tre giorni dopo le esequie la Lancia sospese ogni attività agonistica. 

Nel 2016 furono rubati i bronzi con le effigi dei due corridori.

‘26 luglio 1955. Gli italiani sono tutti raccolti nei bar e nelle poche case private che hanno già la televisione, in attesa della nuova puntata di “Lascia o raddoppia” dove l’eccentrico professor Marianini risponde con dovizia di particolari alle sempre più difficili domande di Mike Buongiorno. Ma prima c’è il Telegiornale delle 20.30 che dà le notizie del giorno: ( … )

“Stamane nel reparto corse della Lancia, i dirigenti della Casa torinese hanno consegnato a quelli della Ferrari le vetture di Formula Uno. La cessione fa parte della donazione che, sotto gli auspici dell’Automobile Club d’Italia, Lancia ha deciso a favore della Casa di Maranello. Sui furgoni, oltre alle vetture, sono stati caricati motori, carrozzerie e materiale vario. Sono partiti per Modena anche tecnici e meccanici che illustreranno ai colleghi della Ferrari le macchine realizzate da Vittorio Jano. La Ferrari potenziata con il concorso delle maggiori industrie italiane, potrà dare al nostro Paese, assieme alla Maserati ed altre Marche, quelle affermazioni che per tradizione ci spettano”. Quest’ultima notizia letta con evidente commozione dal noto giornalista televisivo Gino Rancati, accompagnava le immagini di una delle scene più tristi nella storia dell’automobilismo italiano. Quel giorno i  lancisti, allora parecchi, avevano sentito una stretta al cuore. Era la fine di una splendida avventura che aveva visto le monoposto torinesi primeggiare’. (Da: Alfio Manganaro, Lancia D-50, l’incredibile storia “dell’auto perfetta”, in www.repubblica.it/motori/sezioni/classic-cars/2014/11/24/news/lancia_d50_che_storia).

Gianni Lancia, figlio del fondatore Vincenzo, aveva infatti dovuto cedere l’impresa, anche per la sua grande passione per le corse – ereditata dal padre – che aveva prosciugato le magre risorse aziendali dopo i bombardamenti della guerra, l’occupazione, l’irrequietezza politico-sindacale precedente le elezioni dell’aprile 1948, le ridotte disponibilità di una clientela impoverita, sullo sfondo di un Paese da ricostruire, le difficoltà di un’industria automobilistica che fabbricava prodotti di qualità, ma a costi  più elevati di quelli della concorrenza. 

La biografia del campione meneghino

Alberto Ascari era nato a Milano il 13 Luglio 1918. Suo padre Antonio era stato il più grande pilota italiano dei suoi tempi e aveva l’abitudine di portare spesso suo figlio con sé alle corse cui partecipava. Due settimane prima che Alberto compisse sette anni, Antonio Ascari rimase ucciso mentre stava conducendo il Gran Premio di Francia a Montlehry. Da quel momento il desiderio di Alberto fu quello di diventare un pilota di macchine da corsa proprio come il padre. Fu così preso da questo suo sogno che scappò ben due volte da scuola e appena poté si comprò una motocicletta. La sua prima gara fu la Mille Miglia del 1940 e la macchina che guidò una Ferrari. Nel 1940 sposò una ragazza di Milano ed ebbero due bambini. Il maschio venne chiamato Antonio, in ricordo del nonno, e la femmina Patrizia. Ascari era molto legato alla famiglia. Alberto riprese a gareggiare nel 1947. Comprò una Maserati 4CLT dai nuovi proprietari, la famiglia Orsi. Racimolò tre milioni di lire e il suo caro amico Gigi Villoresi lo aiutò dandogli altri due milioni. Ascari e Villoresi corsero con successo sui circuiti del Nord Italia, e la folla milanese soprannominò Alberto “Ciccio” (n.d.r. non era proprio filiforme!) Il 1948 si rivelò un altro anno di successi per la coppia di amici alla guida delle più evolute Maserati San Remo. Ascari gareggiò su un’Alfa 158, finendo terzo nel Gran Premio di Francia a Reims, dietro ai compagni di squadra Wimille e Sanesi. Enzo Ferrari, che era stato un amico e compagno di squadra del padre di Alberto, si era appassionato ai successi di Alberto e aveva messo sotto contratto Ascari e Villoresi nel 1949. Quell’anno Ascari vinse sei volte, una delle quali a Buenos Aires nel Gran Premio di Peron. Nel 1950 ottenne nove vittorie con la Ferrari e nel 1951 sei, nonostante la Ferrari rivestisse un ruolo di secondo piano rispetto alle più rodate Alfa Romeo 158/159, ma fu il 1952 la sua stagione più ricca con addirittura 12 vittorie. La prima gara alla quale non partecipò fu nel 1952, il Gran Premio di Svizzera, essendo impegnato nelle qualificazioni di Indianapolis con la Ferrari 45OO, con la quale forò una gomma nella 500 miglia, ma per quanto riguarda le altre gare ebbe vita relativamente facile in quanto Fangio, della squadra rivale Maserati, fu messo fuori gioco per gran parte della stagione in seguito ad un incidente nel Gran Premio di Monza, a Giugno. Ascari vinse tutte le 6 gare a cui prese parte e il Campionato del Mondo. Si ripetè nel 1953, vincendo le prime 3 gare, stabilendo il record di vittorie consecutive: 9 (Da http://www.formula1news.it/miti/ascari.htm).

La Lancia D50 per la Formula Uno era nata nel settembre del 1953. In gran silenzio, l’ambizioso Gianni Lancia, che aveva portato vittoriose sulle strade mondiali le vetture di categoria Sport, non aveva saputo resistere alla tentazione di creare una macchina da Gran Premio per i migliori piloti italiani. Il progetto era stato affidato a Vittorio Jano, uno dei più geniali creatori di auto da corsa, il papà dell’Alfa Romeo P2 al cui volante era morto Antonio Ascari. Il 22 gennaio del ’54 i giornali annunciavano che Alberto Ascari, Campione del mondo ’52 e ’53, Gigi Villoresi ed Eugenio Castellotti avevano firmato per la Lancia. La decisione per i primi due, che da anni erano legati al Cavallino Rampante, era stata molto sofferta. Ma il 1954 era stato un anno molto deludente per il Campione del Mondo del ’52 e del ’53. 

Nella scuderia Ferrari non tutto era armonia. La convivenza tra Nino Farina – vincitore del primo Mondiale nel 1950 – ed Ascari, in particolare, era ogni giorno più difficile, riflettendosi su tutta l’équipe di tecnici. Allora non c’erano ingegneri e meccanici per ogni vettura.  Da un lato la classe limpida e la carica agonistica di Ascari, che a 35 anni era ancora considerato “il giovane”. Dall’altro i 46 anni di Farina, figlio di Giovanni, il fondatore degli “Stabilimenti Farina”, e nipote dell’ancor più famoso carrozziere Pinin Farina, che si trovava al tramonto della sua traiettoria sportiva. Sicuramente per Farina, irruente (abbonato alle fratture ed alle degenze in ospedale), uomo di “un coraggio inverosimile”, spavaldo di natura, ma anche allegro e leale, sportman in diverse specialità, laureato, ufficiale di cavalleria e poi di carri armati nel conflitto, ricco ed irresistibile tombeur de femmes, un “cavaliere senza macchia e senza paura”, era abbastanza arduo assistere in secondo piano, come un buon compagno di team, ai sonanti, reiterati successi dell’astro nascente Ascari.   

Nel ’53, ad esempio, in occasione del Gran Premio di Svizzera,  Farina si trovava in testa alla gara; con le Ferrari sicure della tripletta, dai box venne impartito l’ordine di mantenere le posizioni: Farina, Mike Hawthorn ed Ascari. Ma Alberto si ribella e va a prendersi la vittoria ed il titolo mondiale! Verso fine di marzo del 1955 è in programma a Torino il VII Gran Premio del Valentino,  ricordato all’inizio. Le Lancia alla partenza sono tre. Dopo una complessa messa a punto, la prima vittoria: Ascari è primo, Villoresi terzo e Castellotti  quarto. E nella sua Torino, finalmente! 

1 6  Alberto Ascari,  Lancia D50            2h40:21.2 

2 32  Roberto Mieres, Maserati 250F             + 27.1 

3 30  Luigi Villoresi, Lancia D50                 + 1:44.2 

4 22  Eugenio Castellotti, Lancia D50         + 1:44.8

Il mese dopo Ascari vince il G.P. di Napoli, un’altra gara extra-campionato di Formula 1 (allora numerose), svoltasi l’8 maggio, 1955 sul circuito di Posillipo. Secondo è Luigi Musso su Maserati 250F, terzo Gigi Villoresi sull’altra Lancia D50.

La “D50” è ormai quasi perfetta, si commenta con soddisfazione in Borgo San Paolo.  Raffinata, leggera, ben equilibrata, ancora con motore anteriore V8 con inclinazione di 90º, 2.4 litri. Si può presentare a Monte Carlo con tutte le credenziali in regola per lottare per il titolo mondiale. La gara è avvincente, le quasi imbattibili Mercedes del grasso Alfred Neubauer (potente direttore dal 1926) la fanno da padrone, ma Ascari non molla e va in testa, purtroppo si deconcentra, sbaglia una curva e finisce in mare, come detto. Erano tempi duri e straordinari, nei quali poteva accadere anche questo! Poteva significare l’inizio di una nuova stagione di successi, ma fu solo il canto del cigno.

Alberto Ascari era un uomo ed un campione simpatico indubbiamente, ma severo e distante con i due figli. Ferrari, stupito, un giorno gliene chiese la ragione: “preferisco trattarli con durezza perchè non mi vogliano troppo bene. Così soffriranno di meno quando io mi uccida”. Alberto Ascari era ossessionato, ed attratto morbosamente allo stesso tempo, dalla morte in un circuito. Era molto attento con la sua sicurezza (almeno secondo gli standard dell’epoca) e superstizioso: non sopportava la vista di gatti neri, evitava i numeri con “cattiva fama” e non permetteva a nessuno di toccare la valigia dove trasportava il casco azzurro della “buona sorte”, i guanti, il vestiario da corsa. 

Anche Nuvolari era stato superstizioso: correva con un giubbetto di pelle nera sopra una maglietta gialla, con vistoso monogramma, e pantaloni azzurri: la sua divisa. Ed al collo la spilla con una tartaruga d’oro realizzata dal gioielliere Mario Buccellati. Amuleto e simbolo, regalo di Gabriele D’Annunzio nel 1932: “all’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento”. E così “Nivola”, il leggendario “mantovano volante”, vorrà essere sepolto alla morte, i polmoni consunti dai troppi gas di scarico respirati, nel 1953. Tutti i piloti che l’avevano conosciuto non potevano sottrarsi al suo inimitabile stile, se non nella guida almeno come abile gestore del proprio mito!

Come pilota Ascari era straordinariamente veloce. Il suo compagno Hawthorn diceva che “Alberto era il pilota più rapido mai conosciuto. Anche più di Fangio”. Enzo Ferrari nel suo libro Piloti che gente ricalca: “Quando Alberto era davanti a tutti il suo stile era così puro che nessuno poteva stargli dietro. Ascari era più tranquillo quando si trovava in testa alla corsa e, diversamente da molti altri piloti, sembrava non dare il suo meglio quando stava dietro”. Come più tardi ricordò: “Quando guidava non poteva essere sorpassato tanto facilmente, anzi di fatto era impossibile farlo”. Non era, però, un conduttore sereno. Con la sua smorfia e lo sguardo fisso sembrava frustasse la sua auto e che le sue mani sensibili tormentassero il volante. Affrontava le curve con una serie di rischiose sterzate piuttosto che con un unico fluido movimento. 

Ferrari,  in  Le mie gioie terribili, 1962  (più volte aggiornato e ristampato), e  Piloti che gente…,1985, con lo stile asciutto, stringato, aforistico (celebre il suo: “Il secondo è il primo degli ultimi”), ben noto a chi lo conobbe, snocciola gustosi ricordi sui piloti che gareggiarono per lui (dall’“imprevedibile” Nuvolari all’“indecifrabile” Fangio, dal “garibaldino” Ascari allo “sconcertante” Hawthorn, fino al “puntiglioso” e “tirchio”  Niki Lauda…), ma anche intrisi di dolore e di senso dell’abbandono, come la malattia incurabile e la morte del figlio Dino.

Cesare De Agostini – nato a Mantova il 4 agosto 1941 è un giornalista, uno dei più noti autori di storia dell’automobilismo – che ai due Ascari aveva già dedicato una biografia nel 1968, e ne ha ricostruito un decennio fa le vicende alla luce di nuove ricerche, dando alle stampe la finora migliore monografia sul grande Alberto, Ascari, un mito italiano (Milano, Giorgio Nada, 2007). De Agostini si sofferma e studia l’uomo prima che il pilota, con le sue emozioni, le debolezze, le passioni. Era stato così per Tazio Nuvolari (L’antileggenda di Nuvolari nel 1972, Tazio vivo nel 1987, Nuvolari la leggenda rivive nel 2003) e poi per Gilles Villeneuve, Enzo Ferrari, Eugenio Castellotti, Gigi Villoresi, i fratelli Marzotto. Come per i precedenti titoli, la ricerca iconografica e la documentazione si devono a Gianni Cancellieri, alla pari della ricostruzione del palmarès dei due campioni, nonché di quello di Tonino (1942-2008), figlio di Alberto e nipote di Antonio, che negli anni ’60 si avvicinò al mondo delle corse, disputando alcune gare minori prima di rinunciare a seguire la strada del padre e del nonno, pur rimanendo professionalmente attivo nel mondo dell’industria automobilistica.

“Mio padre era di una tranquillità fuori dal comune, in casa come nelle corse. Hanno scritto che aveva un sistema nervoso eccezionale. Credo sia vero. Ma anche nella vita di tutti i giorni era davvero una persona serena, calmissima” dirà Tonino.

Con la tragica morte di Alberto Ascari a Monza termina l’epoca d’oro degli italiani in  Formula Uno. Un malvagio, ulteriore scherzo del destino per gli appassionati dei motori. Dal l953, 65 anni fa, un pilota italiano riuscì più a consacrarsi Campione del Mondo di F1. 

          (Da: https://www.formula1.com/en/championship/drivers/hall-of-fame/Alberto_Ascari.html;    http://formula1.ferrari.com/it/alberto-ascari;http://www.formula1news.it/miti/ascari.htm; http://ricerca.gelocal.it/gazzettadimantova/archivio/gazzettadimantova/2005/05/18/NT3PO_NT304.html; http://www.repubblica.it/rubriche/lastoria/2015/05/25/news/formula_uno_ascari_la_maledizione_del_26_alberto_mori_come_il_padre;http://motorsports.com.uy/2016/07/enemigos-intimos-nino-farina-alberto-ascari-en-ferrari-195253-parte-1.html;http://www.espn.cl/noticias/nota/_/id/2446402/las-tragicas-coincidencias-en-el-destino-de-alberto-ascari; http://www.ilgiornale.it/news/ascari-e-nuvolari-gareggiano-anche-pagine-romanzo-scuderia.html). 

 

Ascari su Ferrari tipo 500, 1952

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Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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