Mondiali/Argentina. Perché Messi (nonostante il destino e il fantasma di Diego) tornerà grande in albiceleste

 

Messi

Lionel Messi ha iniziato nel peggiore dei modi i Mondiali, fallendo la realizzazione dagli 11 metri e condannando l’Argentina ad un magro pareggio. E’ partita in salita quindi l’operazione rilancio del numero 10 argentino, che ha nel Mondiale in Russia l’unica occasione di riprendere l’eterno rivale Ronaldo, riconfermatosi a maggio sul tetto d’Europa per la terza volta consecutiva con il Real.

Un dominio che sembrava inscalfibile

Una situazione come questa, tornando indietro nel tempo allo scorso Mondiale, nonostante la finale persa da Messi contro la Germania e il Pallone d’Oro assegnato a Ronaldo, sembrava difficilmente pronosticabile. Lionel Messi era dal 2009 la massima espressione del calcio mondiale: tecnica, rapidità e senso del gol lo rendevano unico al mondo per la facilità con cui mandava in porta i compagni, saltava l’uomo o realizzava gol da cineteca. Tali doti hanno permesso al rosarino di inanellare record su record: da quello di gol in un anno solare ben 96 nel 2012, al numero di realizzazioni in Champions, per non parlare dei 5 palloni d’oro messi in bacheca dal 2009 al 2014, contro i 2  palloni d’Oro vinti da Ronaldo in quegli anni sui 3 totali. Anche il conteggio delle Champions sembrava sorridere a Messi, che si apprestava a vincere la sua quarta Champions League, la terza da protagonista contro le 2 di Cr7, oltre al quinto Pallone d’Oro, con il quale distanziava il suo rivale, facendo capire al mondo del calcio che il suo dominio non era finito.

Dalla sua Lionel, aveva il vento in poppa per l’ennesimo riconoscimento della sua superiorità ed una squadra in grado di lottare per vincere tutto, oltre che malleabile a cambiamenti tecnico-tattici, come la staffetta tra Guardiola ed Enrique e l’inserimento di una vera e propria prima punta come Suarez, con Messi e Neymar. Insomma il dominio del genietto blaugrana sembrava inscalfibile e invece, come da sceneggiatura di una perfetta tragedia greca, il Destino gli ha voltato le spalle, innalzando il suo peggior nemico.

Infatti, da dicembre del 2015, è approdato sulla panchina del Real Zinedine Zidane, un uomo che è risultato decisivo nel sorpasso Ronaldo-Messi e Real-Barca nelle logiche del calcio mondiale. La causa della crescita esponenziale del rendimento di Ronaldo infatti, va ricercata oltre che nelle qualità del numero 7 anche nella sagacia di Zidane, abile nell’intuire che il ruolo di prima punta avrebbe garantito una seconda giovinezza all’astro portoghese, devastante sotto-porta. A sostenerlo una squadra maestosa ed allo stesso tempo umile, fini palleggiatori Modric, Isco e Kroos ha dimostrato di saper lottare anche nei momenti di estrema difficoltà e di non incappare, al contrario del Barcellona, in una sorta di narcisismo. Ad aggravare la situazione per i blaugrana la mancanza di un erede di Neymar, per i continui infortuni di Dembelè e Coutinho e la scarsa esperienza di Deolofeu nelle partite di coppa. Il risultato sono 3 Champions consecutive, che fanno salire a 5 le Champions vinte da protagonista di Cr7, contro le 4 di Messi, di cui “appena” 3 da protagonista assoluto.

Il fantasma di Diego

Un altro grande nemico di Messi continua ad essere il “fantasma di Maradona”, la paura ossessiva di non essere all’altezza dell’illustre predecessore, paura che lo ha paralizzato nei momenti decisivi, come testimoniano le  3 finali perse con l’Albicelseste tra Copa America e Mondiali. Molti, hanno accusato il fuoriclasse blaugrana, di spegnersi lontano dal Barcellona. In realtà l’asso argentino ha segnato come nessuno con l’Albiceleste, regalando momenti di vera e propria magia. A partire dai primi gol “mondiali”, fino al pallonetto con il quale a 19 anni umiliò il numero 1 messicnao Sanchez allo stadio Azteca, fino ad arrivare ai tre gol con i quali ha risollevato le sorti della sua nazionale, salvandola dall’onta di una mancata qualificazione mondiale. Messi, il talento cristallino, ha avuto più momenti di gloria, ma quella partita che travalica ogni numero e record, il Dio del Calcio l’ha donata all’uomo del destino: Diego Armando Maradona.

D10S  infatti, ha dispensato  pochi momenti di magia, ma ha avuto il privilegio di agire in un contesto più propizio, riscattando l’ansia di rivincita degli argentini dopo la Guerra de las Malvinas, grazie a due capolavori eterni, con i quali stese l’odiata Inghilterra: la mano de Dios e il gol del siglo, la leggendaria progressione palla al piede con la quale dribblò ben 6 giocatori, portiere compreso, prima di depositare il pallone in rete. Pensate, viene ricordata più questa partita che la successiva, quella del trionfo mondiale, ad enfatizzare l’epos di quella partita ha inoltre contribuito la sinfonia del telecronista Victor Hugo morales. Quindi non bisogna chiedere a Messi di replicare Maradona, perché sarebbe impossibile proprio per l’epoca in cui “la Pulga” è chiamata ad agire. Infatti, solo liberandosi di questo che paragone, fardello e non stimolo per l’argentino, Messi potrà finalmente esprimere al meglio le proprie qualità e tentare l’assalto al trofeo più importante di tutti.

Il destino ora bacia l’uno ora l’altro

Su Messi ora se ne dicono di tutti i colori: che è finito, che è sopravvalutato, che Ronaldo è molto meglio di lui. Le stesse identiche frasi che venivano spese fino a pochi anni fa per descrivere Cristiano Ronaldo. E invece ora la sorte bacia l’uno ora l’altro, ora il vento della gloria inebria l’uno ora l’altro. Ma il vento girerà e Messi ed il suo Barcellona torneranno a giocarsela alla grande contro gli acerrimi nemici del Real, che, nel frattempo  dovranno scontare un periodo di transizione dopo l’addio di Zidane e di alcuni senatori. Nel frattempo ha registrato un’altra prestazione incolore contro la Croazia, non supportato da un allenatore che sembra lì per caso (Sampaoli, che ha avuto l’ardire di tenere in panchina Di Maria e concedere poco più di una manciata di minuti a Dybale e Higuaìn, il più pericoloso ieri sera) ed una squadra che non lo ha supportato a dovere Caballero in primis. Invece la paura di non farcela, la paura di non essere all’altezza delle aspettative, di non entrare nelle grazie di un paese che ha lasciato da bambino, ma che porta nel cuore, lo ha bloccato.

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Giacomo Bonetti

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