Ritratti. Arne Naess e l’ecologia profonda come filosofia per leggere il mondo

Arne Naess

Per la giornata mondiale dell’Ambiente presentiamo ai lettori un ritratto di un “ecologista profondo”, Arne Naess, teorico dell’ecosofia

Alpinista provetto (all’età di 17 anni aveva già scalato le centosei vette più alte della Norvegia), appassionato di musica classica ed eccellente pianista, professore di storia della filosofia (unico in tutta la Norvegia dal 1939 al 1954), attivista ambientalista, Arne Naess (Oslo 1912 – Oslo 2009) è noto al grande pubblico per essere stato tra i maggiori fautori e teorizzatori dell’ecologia profonda. Risale al 1973 il famoso articolo in cui Naess distingueva tra ecologia profonda (che si interroga circa il perché della crisi ecologica, ponendo domande radicali e cercando di andare al cuore dei problemi) ed ecologia superficiale (che si limita a proporre correttivi all’interno del sistema, cercando di conciliare alla bell’e meglio sviluppo e ambiente). Principio fondamentale dell’ecologia profonda è che tutto è collegato. Ne consegue quella che Naess definisce piattaforma dell’ecologia profonda, su cui sono d’accordo tutti i sostenitori dell’ecologia profonda al di là delle loro diverse concezioni filosofiche o religiose, e che si può riassumere nei seguenti punti: tutte le varie forme di vita hanno un valore in sé e debbono poter prosperare; la loro ricchezza e diversità va preservata e difesa dal modello dissennato e distruttivo sociale ed economico oggi dominante; è necessario cambiare stile di vita, limitando la crescita della popolazione umana e il saccheggio delle risorse ed agendo per modificare la politica, l’economia, la tecnologia. Naess ritiene importante dare all’ecologia profonda una fondazione filosofica: “Uno dei punti più importanti dell’ecologia profonda è la profondità dell’argomentazione, ossia, l’argomentare a partire dalle premesse ultime (filosofiche, religiose)”. (*) L’ecosofia è per l’appunto la risposta elaborata dal filosofo norvegese alla crisi ecologica globale: “Col termine ecosofia intendo una filosofia dell’armonia o dell’equilibrio ecologico”. L’ecosofia si presenta come una visione totale della vita, che muove dalla gravità della situazione (ambientale ed esistenziale) per proporre un cambiamento dello stile di vita. Sotto certi aspetti l’ecosofia può considerarsi un rilettura attuale del pensiero di Spinoza, cui Naess dedicò vari saggi: “nessun altro grande filosofo ha tanto da offrire, sulla via della chiarificazione e dell’articolazione dei comportamenti ecologici essenziali, quanto Baruch Spinoza.” Alla filosofia di Spinoza può aggiungersi l’influenza della personalità di Gandhi: “Come discepolo e ammiratore, fin dal 1930, delle imprese non violente e dirette di Gandhi nei conflitti sanguinosi, sono inevitabilmente influenzato dalla sua metafisica”.  E, last but non least, il rapporto particolare con la sua terra e con un posto d’elezione Tvergastein, che come dichiarava Kit-Fai Naess, sua terza moglie in un’intervista del 2015: “era il posto cui più apparteneva: nonostante Oslo non sia molto grande come città, percepivo che Arne non si sentiva a suo agio con la vita cittadina, mentre a Tvergastein si sentiva bene, si sentiva a casa.” Il concetto di appartenenza ad un luogo è d’altronde un altro punto saliente dell’ecologia profonda: “Se le persone vengono trasferite o, meglio, trapiantate, da un luogo scosceso, montagnoso, ad uno pianeggiante, si rendono anche conto, ma troppo tardi, che la loro casa è stata parte di loro – che si sono identificate con le caratteristiche del luogo. E la modalità di vivere nella piccola località, la densità delle relazioni sociali, hanno formato le loro persone.” Obiettivo primario dell’ecosofia è quello di rileggere l’esperienza e contrastare la visione filosofica- scientifica del mondo affermatasi nel XVII secolo a partire da Cartesio, Galileo e Newton, per giungere fino a Kant, che si fonda su una radicale dicotomia tra oggettivo e soggettivo, tra cosa in sé e cosa per me, tra qualità primarie dei corpi e qualità secondarie e terziarie. Ricordiamo che le qualità primarie (= struttura geometrico-matematica della natura) sono la grandezza, la figura, il movimento. Le qualità secondarie sono il colore, il calore, il gusto, ecc., che erano considerate nient’altro che sensazioni soggettive. Le qualità terziarie comprendono stati d’animo come doloroso, bello, minaccioso, patetico, gioioso. La teoria scientifica, che pretende di descrivere l’oggetto come è “in se stesso” a prescindere dal modo in cui esso è percepito, impoverisce il mondo, non ci restituisce né la natura né il mondo, ma solo una struttura astratta. Le scienze, con il loro modello oggettivo di realtà, ci offrono solamente dei punti di riferimento (come nel caso della fisica le coordinate di spazio e tempo), ma questi punti non sono luoghi reali, non esistono come realtà fisiche: “L’identificazione delle proprietà primarie con quelle degli oggetti stessi conducono ad una concezione di natura senza nessuna delle qualità che esperiamo spontaneamente. (…) Ogni appello a salvare parti della natura, basato sul riferimento alle qualità sensibili di ogni tipo, diventa senza significato.  Ogni appello passionale che rivela sentimenti profondi, empatia, e persino identificazione con i fenomeni naturali, deve essere escluso in quanto irrilevante. La sfera dei fatti reali vien ristretta a quelli della fisica matematica. Ancor peggio: alla domanda su come le qualità secondarie e terziarie vengono ad essere irreali, si risponde spesso facendo riferimento ad una – veramente miracolosa – capacità dei sensi umani e della mente umana di creare i colori e la bellezza. Un poeta, dice A.N. Whitehead ironicamente, non dovrebbe lodare le rose, ma se stesso, che rende le rose rosse e belle.” Bisogna allora, secondo Naess, modificare la nostra percezione della realtà, distinguendo tra “strutture astratte”, o entia rationis, ovvero tutti quei concetti più o meno scientifici, che utilizziamo per organizzare la realtà, e i “contenuti concreti”, la nostra reale esperienza spontanea del mondo. Al modo astratto in cui la scienza considera la realtà Naess contrappone dunque l’esperienza “spontanea” della realtà, cioè non mediata dalle categorie concettuali-astratte del pensiero. Nella nostra esperienza spontanea non sussiste alcuna frattura tra oggettivo e soggettivo, tra uomo e natura. Concetto chiave dell’ecosofia è quella che il filosofo norvegese definisce ontologia della gestalt, cioè il modo in cui le cose sono nella loro totalità organica: “ciò che facciamo nell’ontologia della gestalt è praticamente, insistere solamente su – e non solo suggerire – una differenza tra i contenuti del reale e delle strutture astratte del reale. (..) Ciò porta ad un rifiuto di una differenza troppo acuta tra ciò che chiamiamo “soggettivo” e ciò che chiamiamo “oggettivo”. Tale ontologia della gestalt è caratterizzata da una reazione a quella che è ritenuta essere l’opinione di Cartesio, di Newton, e di altri. Il fiume in sé non può essere identificato con la sua chimica o la sua fisica, neanche con un x, il fiume come Cosa in sé. Ciò che fa l’ontologia della gestalt è ricordarci l’inevitabile complessità e unità del fiume, in quanto esperito spontaneamente.” Per Naess, in altre parole, la realtà non è né soggettiva né oggettiva, ma relazionale. Ma vediamo di capire meglio il termine centrale dell’ontologia di Naess, la Gestalt, attraverso il quale egli dà conto della nostra esperienza spontanea e del modo in cui il reale è strutturalmente “relazionale”: “Se una persona sente una parte di una melodia ben nota, l’esperienza spontanea è connotata dagli atteggiamenti verso la melodia come un tutto e da molte circostanze passate e presenti. (…) Invece di affermare che il tutto è più della somma delle sue parti, sono rilevanti altre massime: “La parte è qualcosa di più di una parte”. Ossia, se la melodia è ben conosciuta, la parte è parte-della-melodia; il carattere dell’intera melodia colora l’esperienza della parte. Più schiettamente, non esiste esperienza spontanea della parte concepita meramente come una parte. La parte è internamente connessa alla melodia come un’unità.” Ed ancora: “Hallingskarvet è una montagna in Norvegia, una piccola parte della quale può essere vista dal treno che collega Oslo a Bergen. Molte persone conoscono bene questa montagna ed essa gioca un ruolo nelle loro vite. Un vasto set di esperienze spontanee potrebbe essere chiamato giustamente “esperienze di Hallingskarvet”. Strutturalmente (e astrattamente) essa è definita attraverso mappe; quando le persone concordano sul fatto che sono state a Hallingskarvet esse si riferiscono a mappe. Le mappe catturano la struttura visibile del reale, ma l’esperienza spontanea è molto di più (riguarda una consapevolezza più profonda della montagna e dei suoi pericoli, ad esempio).”  Potremmo aggiungere un nostro esempio gastronomico, quello dei maccheroncini alla Norma, dove ogni elemento, la pasta, il pomodoro, la melanzana, i condimenti vari, senza perdersi nell’indistinto, ricevono dall’intero l’inimitabile sapore e profumo tipico di questo piatto mediterraneo. La realtà è talmente ricca che hanno pari dignità sia l’albero gioioso che vediamo alla luce del mattino, sia l’albero malinconico che vediamo di notte, “anche se nella loro struttura astratta, sono (fisicamente) identici.” Un’ontologia di questo tipo, che trova connessioni sempre più inclusive fino a giungere alla Gestalt di ordine supremo, la Natura con la N maiuscola, supera ogni separazione, ogni dicotomia tra soggetto e oggetto, tra fatti e valori, tra “cosa in sé” e “cosa per me”. In questo senso, l’ecosofia è innanzitutto un tentativo di offrire un’ontologia più vera, più autentica, rispetto a quella offerta dalle concezioni atomistiche e meccanicistiche dominanti. 

Il modo in cui l’ecologia profonda guarda al reale, in termini di totalità anziché di frammenti, contrasta dunque con il modo dominante di concepire la realtà, che Naess ironicamente paragona ad “un supermercato fornito di cose individuali estrinsecamente correlate.” E mette in guardia contro la concezione oggi dominante: “Più le persone si sono adattate alla concezione del supermercato, più dannoso è il fascino della correttezza dell’opinione della maggioranza.”  Ecco un esempio del suo argomentare: “esiste una proposta di costruire una strada all’interno di un grande bosco. I conservazionisti rifiutano la proposta. Tuttavia i proponenti dicono onestamente che l’area rovinata dalla strada sarà meno di una millesima parte dell’area del bosco. I conservazionisti rispondono che il cuore del bosco, o il bosco come un tutto, viene degradato (il bosco, in quanto esperito spontaneamente, non è lo stesso, se ti trovi nel profondo del bosco e incontri una strada. La grandezza e lo splendore, la dignità e la purezza, vengono perdute, ecc.). Tuttavia ciò è solo soggettivo. Oggettivamente il bosco è una molteplicità di alberi, ecc., e una strada costituisce una piccola intrusione (ancor più oggettivamente, come la microbiologia e la chimica ci insegnano, l’intera area è un grande complesso di molecole senza colore correlate esternamente, e noi, come soggetti, immaginiamo che tutto ciò sia là fuori, nel mondo esterno) Il conservazionista ammetterà che nel bosco ci sono alberi. Queste sono gestalt subordinate, come sono molte altre caratteristiche del bosco. Ma il bosco come un tutto è una gestalt sovraordinata, estremamente preziosa e chiaramente vulnerabile allo sviluppo, qualsiasi sia la frazione di area che viene distrutta.”  Nel pensiero di Naess l’ontologia fonda l’etica ambientale. La norma etica fondamentale dell’ecosofia di Naess, che si riassume nel principio della realizzazione di sé, segue naturalmente dalla particolare ontologia relazionale appena delineata. Segue “naturalmente” nel senso che non si tratta di una mera norma etica, ma della naturale conseguenza dell’aver assimilato una certa visione del mondo. Per illustrare il principio dell’autorealizzazione il filosofo norvegese introduce il concetto di Sé ecologico, cioè di un Sé più ampio e profondo rispetto al ristretto io personale. Contro “la concezione occidentale moderna dell’io definito come ego isolato che si batte in primo luogo per una gratificazione edonistica o per un limitato senso di salvezza individuale in questa vita o in quella futura”, Naess sostiene che il Sé ecologico è solidale con ogni altra forma di vita (in senso ampio, non strettamente biologico): “il senso di sé dell’ecologia profonda richiede ulteriore maturità e crescita, un’identificazione che oltrepassa l’umanità per comprendervi il mondo non umano”. Non a caso il movimento ecologista “chiede una profonda identificazione degli individui con tutta la vita.” L’autorealizzazione non è in fondo che un tentativo di armonizzare continuamente il sé individuale e il Sé ecologico. La realizzazione del Sé implica in qualche modo un trascendimento del sé individuale, ma senza dissolverlo in un tutt’uno informe e indifferenziato. Il Sé ecologico è esperienza dell’unità nella diversità, ovvero del carattere relazionale della realtà intera, attraverso la salvaguardia del valore intrinseco di ogni vivente. Il Sé ecologico si attua attraverso un continuo processo: “Io ritengo che questo processo sia insieme di maturazione e di apprendimento (..) la norma “realizzazione del Sé” riassume un insieme unitario di ipotesi di natura sociale, psicologica e ontologica: una maggiore maturità della personalità umana garantisce un comportamento bello”. La formulazione più calzante di tale processo continuo è l’espressione spinoziana perseverare in suo esse. Ora, ciò che è proprio della natura umana, è l’essere parte integrante di una rete di relazioni: “E’ specificamente umano sia vedere che formulare dei limiti al ruolo dell’essere umano nell’ecosfera e fare esperienza della propria identificazione con il tutto.” Il processo di realizzazione del Sé ecologico conduce alla gioia, che è fine e conseguenza dell’azione. Vi è un nesso strettissimo fra gioia e autorealizzazione: “qual è ora l’importanza pratica di questa concezione di un sé ecologico allargato e approfondito? Gli oppositori spesso affermano che difendiamo la natura nella nostra ricca società industriale al fine di assicurare la bellezza, lo svago, lo sport, e altri interessi non vitali per noi stessi. Ciò ci rafforza, se, dopo un’onesta riflessione, troviamo che siamo minacciati nel nostro sé più intimo. Se è così, difendiamo in maniera più convincente un interesse vitale, non solo qualcosa là fuori. Siamo impegnati nell’autodifesa.” Di fronte all’aggravarsi della crisi ecologica globale Naess, a differenza di altri ecologisti, non ritiene l’uomo un animale nocivo: “la nostra specie non è destinata ad essere la piaga della Terra. Se l’uomo è destinato ad essere qualcosa, probabilmente è colui che, consapevolmente gioioso, coglie il significato di questo pianeta come un’ancor più grande totalità nella sua immensa ricchezza.”  

(*) tutte le citazioni sono tratte dal volume Introduzione all’ecologia edizioni ETS, che raccoglie una serie di saggi di Arne Naess tradotti e introdotti da Luca Valera.

Sandro Marano

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