Il caso. Il “pacifista” Benzema e la Marsigliese, l’ultimo cortocircuito dei più buoni

benzemaKarim Benzema ha sgretolato la retorica del multiculturalismo, prendendosela con l’inno sulle cui note la Francia rivoluzionaria profanò le icone dei re, annegò popolani in Vandea e tagliò teste più o meno coronate. La Marsigliese non piace all’algerino di ritorno, puntero del Real Madrid, che – in un’intervista a Vanity Fair – ha spiegato di non volerne cantare i versi feroci “che se tu leggi bene, incitano alla guerra”.

Non c’è nulla da indignarsi, è tutto perfettamente incastonato in quel processo di lenta e inesorabile “Decadenza” cui ha dedicato un bel tomo il filosofo francese Michel Onfray. Forse è il caso di analizzare quello che è successo prima di partire, lancia in resta, contro questo o quel mostro.

Benzema ha compiuto, inconsapevolmente, un capolavoro. Centrando, uno per uno, tutti i capisaldi dello Zeitgeist, a prescindere dalle differenze di orientamento politico. Da dilettante (i professori sono così noiosi, gli intellettuali sono così supponenti: hanno sempre torto, loro) animato di ottimi sentimenti e di una inattaccabile visione del mondo (“abbasso la guerra!” una cosa ovvia e banale quanto il “viva la vita!” o il sempreverde “sono solare e un po’ pazza”) s’è lanciato in una filologia dell’inno-simbolo dell’Occidente illuminato e lo scopre, udite udite, bellicoso e guerrafondaio.  Ha centrato il vulnus dell’Algeria, che per i francesi è stata peggio del Vietnam, richiamandoli al senso di colpa per essere stati tutto ciò che sono stati: proprio loro che rovesciavano corone e scrivevano solennissime dichiarazioni di libertà e di pace sulle note di quel canto di guerra (ipse dixit).

C’è da dire che l’inno algerino, la Qassaman (“Giuriamo”), non è che sia così pacifista: “Siam soldati in nome della giustizia che si rivoltò\ per la nostra indipendenza si sollevò la guerra.\ non ne parlammo con nessuno che non volesse ascoltare\ prendemmo i tamburi delle pistole com’ nostro ritmo \ il suono dei fucili com’ nostra melodia”. A ben guardare, nessun inno nazionale lo è davvero. Persino quello di Mameli, musicato malissimo, è tutta una poesia insurrezionale anti-asburgica.

Nemmeno Stars and Stripes, l’inno globale degli Usa, lo è: “E il bagliore rosso dei razzi e le bombe che esplodevano in aria/ hanno dato prova, nella notte, che il nostro stendardo era ancora là./ Di’ dunque, sventola ancora la nostra bandiera adorna di stelle/ sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi?”.

E non scordiamoci di God Save The Queen che, citando la Bibbia (testo notoriamente guerrafondaio!), s’augura che: “O Signore, nostro Dio, sorgi,\ disperdi i suoi nemici,\e falli crollare. \Confondi i loro intrighi,\ ostacola le loro manovre disoneste,\ in te riponiamo le nostre speranze,\ Dio salvi tutti noi”.

Manco i cinesi sono più calmi: “Alzatevi! Gente che non vuole essere schiava!\ Con carne e sangue nostri, costruiamo la nostra nuova Grande Muraglia!”.

Perciò non è che ci vuole un pozzo di scienza per capire che Benzema ha detto una sciocchezza clamorosa. Certo non è dal centravanti del Real Madrid che uno s’aspetta una cultura tale da riconoscere che gli inni raccontano il momento della nascita delle nazioni che, per lo più sono state partorite da eventi straordinari, come appunto le guerre. Che non piacciono a nessuno, sia chiaro. Ma che fanno parte della storia. Ecco, bisognerebbe rispolverare Terenzio: “Homo sum, nihil umani a me alienium puto”. Così si eviterebbero cortocircuiti, brutte figure e falsi profeti.

Chiaro che il problema non è Benzema, ragazzotto un po’ tonto (Mourinho dixit!) deluso perché non andrà ai mondiali con la Francia che non lo convoca più dal 2015. Il guaio è chi gli va dietro.

Careca

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