Il caso (di P.Buttafuoco). La Fondazione Feltrinelli modello Don Abbondio e l’incontro con de Benoist saltato

Alain de Benoist
Alain de Benoist

In quarantacinque anni d’esistenza del Front National in Francia, Alain de Benoist – politologo, prolifico saggista, esponente di punta della Nouvelle Droite – il partito che era di Jean Marie, prima, e di Marine dopo, non l’ha mai votato. Ma non è questo il punto.
Esponente di un’area culturale legittimamente presente nel dibattito delle idee, de Benoist – noto anche in Italia, spesso in dialogo con Massimo Cacciari – s’è visto annullare un incontro previsto martedì prossimo alla Fondazione Feltrinelli, a Milano, a seguito di una mobilitazione di intellettuali decisi a impedire la sua presenza.
Con una grottesca lettera aperta scritta a tutela “dei migranti, della comunità LGBT e dell’antifascismo”, gli intellettuali, ci sono riusciti. Avevano inviato il testo anche a Jean Yves Camus, direttore dell’Osservatorio delle radicalità politiche alla fondazione Jean-Jaurès che ha fatto loro marameo ma alla Fondazione, invece, hanno trovato degni don Abbondio. Annullato l’incontro.
“Le persone che hanno firmato la lettera”, ha detto de Benoist a Davide Allegranti che lo ha intervistato sul Foglio, “non mi leggono, hanno chiesto la soppressione della conferenza perché hanno sentito questo o quello”.
Non lo leggono, non vogliono sapere chi sia, non ne accettano la presenza in ragione di un antico tic. E’ quello della superiorità antropologica propria della Fattoria degli Animali dove il porco raccontato da George Orwell è più che un porco perché tra gli uguali è il più uguale.
Una vicenda simile, proprio a Milano, accadde molti anni fa quando una mobilitazione di illustri illuminati chiese la cacciata di Paolo Isotta, storico della musica, dal Corriere della Sera. Ottennero l’allontanamento del reprobo e dunque il punto della questione è proprio questo: gli intellettuali, non cambiano mai. Restano uguali tra i più uguali.

Il Maestro Paolo Isotta ci ha annunciato telefonicamente di aver inviato una lettera a Pietrangelo Buttafuoco. Che proponiamo qui ai nostri lettori (ndr)

 

Caro Pietrangelo,

                           per il tramite di un “avvisatore” ho visto che ieri, parlando della vergognosa esclusione di de Benoist dalla Fondazione Feltrinelli, hai voluto citare il mio caso quale altro esempio di libertà della cultura conculcata.

                            Te ne ringrazio; tu fai riferimento a una vicenda di trentanove anni fa, quando un manifesto di 120 intellettuali italiani insorse perché ero stato assunto al “Corriere della Sera”.  Per i firmatarii non è un capitolo onorevole. Peggio per loro, tutti macchiatisi di cupiditas serviendi. Di tanti si può dire: “Parce sepulto”. Gli altri firmatarii viventi, poi, si precipitarono, insieme con molti oggi sepolti, a chiedermi scusa sostenendo di essere stati subornati. Fra i morti effettivi e quelli viventi non faccio molta distinzione.

                              Tuttavia tu dovresti essere più preciso: quando scrivi hai sempre quella maledetta fretta! “Ottennero l’allontanamento del reprobo”, affermi. Se ciò fosse vero, come avrei fatto a essere stato il critico musicale del “Corriere” fino al 2015?

                               Ti prego di pubblicare questa mia precisazione: anche perché vorrei tuttora capire se lo svolgimento positivo della vicenda sia stato per me una vittoria o una sconfitta.

                              Un abbraccio.

Paolo Isotta

Pietrangelo Buttafuoco

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