Basket. Da Trump a Kim Jong Un, Rodman e le pallonate al politicamente corretto

“Tra le dieci persone più identificabili al mondo io sarei alla posizione numero 5: davanti a me Dio, Gesù, Muhammad Alì e Barack Obama”.

Dennis Rodman

 

Conoscete quella leggenda secondo il quale i gatti abbiano sette vite?

Vero o meno che sia, per quanto strano possa essere, ci sono invece degli uomini che vivono otto, nove, dieci vite delle nostre.

Dallas, 22 novembre 1963, ore 13 circa.

C’è un bambino che, in braccio a sua madre, si agita. Si agita, perchè scorge le macchine dell’FBI che, a sirene spiegate, si dirigono verso un cinema e lo circondano. Perchè?

Perchè lì dentro, c’è Lee Oswald che ha appena sparato a JFK. Il bambino poi, una volta cresciuto, tenterà due volte il suicidio, lavorerà all’aeroporto di Dallas, dove si fa arrestare per un colpo in gioielleria e sarà protagonista di una breve ma rovente storia di amore con una studentessa del Michigan che ballava discretamente,  Veronica Ciccone, dai più conosciuta come Madonna. Si sposerà anche con se stesso, travestito da donna. Quando anni dopo gli chiederanno quale indumento gli fosse dispiaciuto non aver indossato, la sua risposta sarebbe stata:”il preservativo”. Vi lascio immaginare il personaggio.

Ah, nota a margine: il “Verme” (questo il suo soprannome) giocherà anche in NBA, passerà alla storia come uno dei più grandi rimbalzisti e vincerà cinque titoli. Il suo nome?

Dennis, Dennis Rodman.

 

Il contesto

Dennis Rodman nasce a Trenton, in New Jersey, il 13 maggio 1961. Il padre, che a dir la verità abbandona consorte e figli piuttosto presto, metterà al mondo ventisette figli. Il nonno, si dice, addirittura novantanove. Praticamente Re Priamo di Troia. Famiglia strana i Rodman ma forti, fieri, mai domi. Ecco, Dennis non esattamente. Quando la madre Shirley gli assegna un fucile in quanto unico “uomo di casa”, con cui dovrà andare sempre a dormire, Dennis ha paura. Dennis è uno che, non di rado, si nasconde sotto il tavolo di fronte al minimo fruscio. Il fucile poi, viene assegnato alla sorella Debra. Il giovane Rodman, oltre a soffrire di non banali disturbi comportamentali non ha nulla di speciale, nulla che lo faccia assomigliare ad un giocatore di basket. Sennonchè nei due anni successivi al liceo, nel periodo in cui “lavoricchia” e viene anche arrestato, cresce esponenzialmente arrivando fino ai 201 centimetri. Contestualmente si avvicina al basket. Avrebbe l’altezza per giocare da guardia o quantomeno palla in mano , ma il suo tiro non eccelle. Anzi, con un eufemismo, diciamo che i suoi polpastrelli non dimostrano certo un’accurata sensibilità. Nei suoi anni al college, a Southeastern Oklahoma State University State (un college minore dove però  praticamente lo salvano dalla vita di strada), Rodman si ritrova dunque a giocare come ala forte. Pur giocando in un college di secondaria importanza, e sebbene alto “solo” due metri, al Draft 1986 viene scelto con la chiamata ventisette da Detroit. Non male dopo tutto.

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Il grande palcoscenico

Ai Detroit Pistons, nella splendida squadra di Isaiah Thomas dove gioca dall’86 al 1993, vince due titoli. Anno dopo anno Rodman si ritaglia uno spazio sempre maggiore. Pur segnando poco (il suo record sono gli 11.6 a partita della stagione 1987-1988), Rodman affina e migliora la sua dote principale: quella di rimbalzista. Su ogni palla vacante infatti, Dennis, lotta, si butta, non si arrende. Forse l’essenza dei Rodman, in questo uomo, riesce soltanto ad esprimersi attraverso il gioco. Punti (pochi), rimbalzi, dinamismo ma anche tanta, tanta difesa, altra sua grande prerogativa. A Detroit però, le cose finiscono nel modo peggiore: una sera, verso la fine della stagione 1992-93, Rodman viene trovato con un fucile carico (evidentemente certa paura era passata) nel parcheggio dei Pistons. Dennis sosterrà poi, in una delle sue autobiografie, che in quella notte aveva ucciso il vecchio Dennis per lasciar affiorare il nuovo Dennis. Viene ceduto a fine stagione ai San Antonio Spurs in cambio di Sean Elliott. Anche a San Antonio, sebbene tecnicamente sia indiscutibile, i suoi comportamenti avariano lo spogliatoio. Addirittura nel 1995, non si presenta con il resto della squadra alla quinta partita delle finali di Conference, perse poi da San Antonio per 4-2 contro Houston.

 

Bulls: vicino a sua maestà Jordan

Per gli “Speroni” tutto questo è davvero troppo: Rodman viene scambiato per Will Perdue e finisce a Chicago, alla corte di Re Jordan. Allena Phil Jackson, che per Rodman è perfetto. Infatti, più il giocatore cambia colore di capelli (proverà di tutto, dall’arcobaleno, al fucsia, al rosa), più l’allenatore lo ignora. Intanto però anche qui il buon Dennis coglie tutti i rimbalzi che si possano prendere. Dal 1992 al 1998, Rodman primeggia nella speciale classifica dedicata a questa specialità. Jordan, pur non amandolo, i due uomini sono, diciamo, in contesti diversi, non può prescindere dalla sua presenza in campo. Il “Verme”, pur con tutti i suoi limiti e i suoi disturbi, sviluppa nel tempo una finissima ed  incredibile l’intelligenza corporeo-cinestetica. E’ veramente un prodigio, sa sempre dove finirà la palla e vi arriva sempre per primo. Dopo ogni rimbalzo, tra l’altro festeggia, festeggia come se avesse vinto a Wimbledon. Certo, ci sono anche le risse, gli sberleffi ma tutto questo passa in secondo piano di fronte all’apporto costante dato durante le partite, soprattutto quelle decisive.

Rodman con le sue azioni, la sua grinta, la sua tenacia, si conquista un posto fisso in quintetto che non lascia più, potendosi fregiare di aver giocato da protagonista, in una delle migliori cinque squadre della storia del basket americano. Ai Bulls, dal 1995 al 1998, vince tutti e tre gli anni il titolo.

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Epilogo e attualità

Tutte le cose però, soprattutto le favole, hanno una fine. Quando dopo il titolo 1998, Chicago decide di smantellare la squadra per ricostruirla, per Rodman non c’è più posto. Ormai stanco e logorato anche nel fisico, fa ancora in tempo a giocare una quarantina di partite tra Lakers e Dallas Mavericks per ritirarsi nel 2000, salvo poi fare qualche comparsata successivamente in campionati minori. Del Rodman giocatore, come visto, c’è poco da eccepire: d’altronde se si finisce nella Hall of Fame pur non avendo raggiunto la doppia cifra nelle medie realizzative, un motivo deve pur esserci. Senza ombra di dubbio siamo di fronte al miglior rimbalzista degli anni ’90, sebbene in questo periodo abbia affrontato giocatori più abili tecnicamente e fisicamente di lui. Tra questi, solo per citarne qualcuno,  Shaquille O’Neal, Alonzo Mourning, Shawn Kemp, Karl Malone e Charles Barkley.

Sull’uomo invece, qualcosa da dire ci sarebbe: non tanto per il suo aspetto, per i suoi orecchini e per le dichiarazioni sempre oltre le righe. Neanche sul fisico che, a quasi 57 anni, continua ad essere in più che discrete condizioni. E allora?

Allora quanti uomini sulla Terra possono, dopo aver fatto pubblici “endorsement” per Donald J. Trump, dichiararsi migliori amici di Kim Jong-un? Così, su due piedi, uno solo. Sembra incredibile ma l’ex cestista, regolarmente, si reca a Pyongyang dove, con il suo “amico” trascorre delle giornate spensierate, spesso a commentare gli allenamenti delle varie selezioni cestistiche locali. Kim infatti, è un grande appassionato di basket. Avendo studiato in Svizzera, il “brillante compagno” poteva tramite satellite seguire le gesta dei campioni dell’NBA. Dove non arriva la diplomazia, lo sport fa sempre breccia. Per concludere, cosa si può dire, se non lunga vita a Rodman. Un uomo così, capace di impressionare, far discutere, farsi amare o odiare, tanto in campo quanto fuori. Certo è che, nell’era del “politicamente corretto” ovunque, di fronte a tipi del genere e a giocatori di tale caratura e di tale grinta, non ci ci può che levare il cappello. Li si può solo ammirare, in religioso silenzio. Sempre e comunque.

@barbadilloit

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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