PalloneAnnoZero (di R. Perrone). Tavecchio salva-tutti? Nel calcio non avanza il nuovo

Tavecchio

A due mesi dal tonfo di San Siro contro la Svezia, avviamo un ciclo di interventi sullo stato di salute del paziente calcio. Calcio d’inizio affidato alle considerazioni di Roberto Perrone, scrittore e firma prestigiosa del giornalismo sportivo italiano 

Mi accorgo di scrivere a due mesi esatti dalla notte dello sprofondo azzurro: 13 novembre 2017-13 gennaio 2018. Italia-Svezia 0-0 a San Siro, stadio Giuseppe Meazza, eravamo mesti allo stadio quel dì. Chissà, magari se avessero giocato a Torino sarebbe andata meglio; è di questi giorni la notizia che la Juventus, per i ricavi da stadio, in 19 partite casalinghe di campionato incassa più di Inter e Milan insieme in 38. Ricordate i giorni successivi al disastro? Assistemmo a un grande classico della commedia all’italiana. Si edificò una ghigliottina mediatica e si pretesero le teste di Gian Piero Ventura – e ci mancherebbe altro, se ne doveva andare lui subito dopo la gara ma per un pugno di dollari non lo fece – e di Carlo Tavecchio. Sulla seconda, io avevo e mantengo seri miei dubbi. Dopo un avvio da gaffeur, l’ex democristiano brianzolo ha lavorato bene. Volle Conte e mai scelta fu più azzeccata. Ha sbagliato Ventura, ma col senno di poi. Anche questo c.t., anche con una generazione non di fenomeni, doveva qualificarsi ai Mondiali.

Comunque una federazione non va giudicata solo per il risultato della Nazionale maggiore, anche se l’eliminazione dal Mondiale è un fatto enorme. La Federcalcio è molto ben amministrata, ha un ottimo direttore generale, Michele Uva, che si è circondato di gente capace, tra cui, in un ambiente notoriamente maschilista, di alcune donne preparate e intelligenti. Ha varato politiche di crescita dei settori giovanili, ha rivitalizzato il calcio femminile, ha ottenuto importanti riconoscimenti in campo politico-internazionale. Ha i conti a posto, con 50 milioni di euro di liquidità. Secondo me, un giornalismo serio tutto questo lo doveva segnalare, rimarcando che, con la cacciata di Tavecchio, esclusivamente punitiva e politica, una libbra di carne pretesa dalle tricoteuses che albergano in tutti noi, si metteva in discussione non solo la fallimentare campagna della Nazionale, ma anche tutti questi risultati.

Ho sentito i soliti commenti grondanti di richieste di sangue, ho letto, anche su quotidiani che si vantano di essere i cani da guardia dell’informazione, soverchie stupidaggini. Ma soprattutto, come temevo, e come, con uno scatto che me l’ha fatto salire in classifica, aveva previsto Tavecchio, tutti quelli che erano con lui nel consiglio, tutti quelli che gli sedevano accanto, dopo aver rifiutato di seguirlo nelle dimissioni, come se non fossero anche loro corresponsabili dello sfascio del calcio italiano che ha portato al tracollo della nazionale, sono qui, oggi a farsi la guerra per sedere sulla poltrona rimasta vacante.

Che tristezza vedere anche il presidente del Coni accanirsi su Tavecchio per motivi politico-elettorali. E’ stato Giovanni Malagò a convincere il senatore Sibilia, capo dei dilettanti, a togliere il fondamentale appoggio all’ex sodale. E’ Malagò che ha cercato di gestire politicamente la faccenda, ma alla fine ha contribuito solo alla cacciata di Tavecchio, non ad un effettivo rinnovamento.

Lo spettacolo è deprimente. Ma come temevo, i 60 milioni di presidenti della Federcalcio che sul momento si riempivano la bocca di riforma, rifondazione, rivoluzione, sono spariti. Le loro ricette per far uscire il calcio si sono liquefatte. E che cosa è rimasto? Il nuovo che avanza sono Gabriele Gravina, Cosimo Sibilia e Damiano Tommasi? Tavecchio aveva cercato di riformare i campionati, di riportare la serie A e la B a 18 squadre di cambiare Lega Pro e Dilettanti. E poi le rose, taglio anche qui, non più di 25 elementi. I veti incrociati lo hanno fermato. Anche quello di Tommasi sulle rose. Ma qualcuno lo ha raccontato? Nessuno. “Dimissioni, dimissioni” l’urlo banale e scontato ha seppellito tutto. Compresa l’assenza del calcio che conta, del calcio più importante, del calcio che trascina realmente tutto il resto, della Lega di serie A e della Lega di serie B, al momento della caduta di Tavecchio senza guida. La B nel frattempo l’ha trovata, la A non ancora. Quando il nostro movimento era competitivo a decidere presidenti e c.t. era la Lega di via Rosellini. Nella vita e ancor di più nel calcio, uno non vale uno. E così il futuro del calcio italiano verrà deciso dalla Lega Pro, dai Dilettanti e dai calciatori. Chi è causa del suo mal pianga se stesso e quindi i club più importanti non possono lamentarsi. Noi sì, noi ci lamentiamo, noi denunciamo il teatrino, l’assenza di una lettura critica del problema, oltre le nebbie della banalità dei giornaloni e delle tv. Se qualcuno ci sente, batta un colpo.

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Roberto Perrone

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