Referendum. La destra abbia il coraggio di ridisegnare il concetto di nazione

9079521[1]Di fronte ai risultati dei referendum per l’autonomia di Veneto e Lombardia, è giusto che una destra nazionale che si rispetti, capace di trovare vie nuove per declinare il concetto di Patria, abbandonando la troppo semplicistica retorica scolastica da libro Cuore,  si ponga in modo costruttivo rispetto ai sentimenti localisti e autonomisti sorti negli ultimi anni.

Va notato in primo luogo che l’evocazione di uno scenario catalano è frutto di letture grossolane, che non tengono conto della composizione sociale del nord Italia e non tengono neanche conto della realtà catalana stessa. Come infatti è fallita la secessione della Catalogna per via della presenza nella regione di milioni di spagnoli provenienti da altre regioni, anche in Lombardia fallirebbe ogni tentativo simile, per via della presenza di milioni di pugliesi, calabresi, siciliani, campani con relativi discendenti, mogli e mariti, di ogni età e classe sociale. Questo la Lega Nord lo sa perfettamente, sin dall’inizio. Le boutade secessioniste sono sempre state, per la dirigenza del partito, boutade. Evidentemente nella testa di qualcuno sopravvive l’idea che qui al nord prevalga una sorta di conservazione della limpieza de sangre, senza tenere conto di decenni di migrazioni interne. D’altronde chi parla del nord Italia senza averci mai messo piede rischia di incorrere in certi equivoci.

Spazzata via quindi ogni esagerazione invereconda, torniamo a chiederci perché la destra nazionale debba per forza confrontarsi con la richiesta di autonomia territoriale. Qui si va ad indagare la deriva che negli ultimi anni tutto l’ambiente della destra, in generale, ha preso. Da destra sociale si è passati di fatto ad una destra socialistoide e quindi il principio di sussidiarietà ha ceduto il passo al socialismo centralista d’impronta giacobina che, ricorderei, dovrebbe essere però combattuto, essendo tipicamente “di sinistra” e foriero di grossi guai. Non da ultimo, quello della prevaricazione costituita dalla distribuzione sul territorio nazionale, senza guardare in faccia a nessuno, di “profughi”. I prefetti hanno agito come funzionari dello stato centrale, in molti casi senza neanche avvisare i sindaci di ciò che sarebbe accaduto nei loro paesi. Agire senza tenere conto delle esigenze di territori e comunità, è degno di una destra che voglia dirsi sociale e nazionale? Decisamente no. Eppure qualcuno non si accorge che il centralismo è proprio il prodromo di ogni prevaricazione.

Il principio di sussidiarietà dunque dovrebbe essere il faro d’azione della destra nazionale, essendo l’Italia la somma di tante storie e di tante situazioni. Si può forse affermare che le problematiche di chi vive e lavora nelle campagne cremasche siano le stesse di chi vive e lavora nel Salento? Dunque perché non si può prevedere l’applicazione di politiche, anche fiscali, diverse, di fronte a situazioni diverse? Il ragionamento è talmente logico da risultare imbarazzante.

Certo, è comodo urlare contro la secessione immaginaria, parlare di egoismo fiscale e dipingere il 60% dei Veneti che ha votato per la richiesta di autonomia, come dei perfidi industriali ottocenteschi ma il rischio è di allontanarsi, senza possibilità di ritorno, da una regione di cinque milioni di persone, che fino a prova contraria è uno dei motori del Paese.

Lo stesso discorso può essere fatto per la Lombardia, dove comunque il risultato è stato ragguardevole, anche se più diluito per via della bassa affluenza del milanese. Confrontando però i dati parziali, si possono notare percentuali di tutto rispetto in province che costituiscono fette importanti di Pil. Certo, mi si dirà che da lombardo la butto sui soldi, ma in realtà più che sui soldi qui la si butta sul lavoro. Una destra nazionale che si dimostra sorda alle istanze di questi territori, dà l’impressione di voler disprezzare altezzosamente la gente che lavora.  Si finisce per lasciare credere ai ceti produttivi di essere soli di fronte a dei moloch come fisco e burocrazia, laddove invece si dovrebbe essere loro area politica di riferimento.

Inoltre sembra un cortocircuito il celebrare il dato basso del voto della metropoli, dopo essersela presa con la tanto vituperata Ile de France che ha affossato la Le Pen in Francia, per avvalorare l’idea di un flop lombardo.

Che dire? Chi ha scelto la via breve di arroccarsi su posizioni centraliste nei confronti del referendum, lo ha fatto in maniera forse troppo precipitosa, finendo per creare più tensioni che confronto e dibattito. Recuperare si può e si deve, ma per farlo occorre tornare a sporcarsi le mani, a scendere tra la gente, dal basso.

@barbadilloit

Francesco Filipazzi

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