Libri. “Essere comunità” di Scatarzi: indirizzi per cuori incendiari

"Essere comunità" di Marco Scatarzi
“Essere comunità” di Marco Scatarzi

Nel suo “Trattato del Ribelle”, Ernst Jünger scriveva:

“Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono ad un pastore per le sue greggi. Ma le cose stanno diversamente, poiché tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto questi lupi sono forti in sé stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in un branco. È questo l’incubo dei potenti”.

E un branco di lupi sono presenti, non a caso, anche nella copertina di questo testo edito per le nuove Edizioni di “Passaggio al Bosco”. Marco Scatarzi, l’autore del libro, in un’intervista di qualche settimana fa, spiega anche la scelta della copertina:

“La provocazione è voluta e riguarda la realtà nella quale viviamo. Sebbene, infatti, si dia per valida quella fratellanza di spirito che accomuna persone del medesimo rango e della stessa tempra, non si deve abbandonare il richiamo ai legami di sangue, che necessitano di essere difesi dalle degenerazioni di una società multietnica fondata sull’ibridazione e tesa alla mescolanza. Perché la Comunità non è soltanto quella delle nostre idee, ma anche quella del nostro Popolo: e questo, piaccia o meno ai cultori del meticciato, possiede anche una propria identità etnica. Affermare questa verità, che è perfettamente naturale, è diventato addirittura pericoloso: non dobbiamo dimenticare, però, che il mondo non lo fanno le buone intenzioni, ma i popoli e le stirpi. Oggi siamo preda della follia dell’intercambiabilità: non si è più uomini, donne, madri o padri, perché perfino il genere sessuale è diventato un odioso retaggio, che chiunque può rimuovere o cambiare a seconda dell’umore. Non si nasce più in un certo modo, ma si sceglie di essere ciò che ci piace: l’ideologia gender– ci ricorda Alain de Benoist – afferma che il genere non abbia alcun legame con il sesso inteso nell’accezione biologica del termine. Le evidenze biologiche e naturalistiche, quindi, vengono cancellate in nome di un pericoloso sradicamento. Un approccio identitario al mondo non implica la discriminazione dell’altro da sé ma, al contrario, l’intimo rispetto delle differenze e dei limiti che configurano le identità: io mi definisco anche grazie a ciò che mi è diverso, ma definendomi traccio una linea di demarcazione. Oltre quella linea, superato quel limite, non sono più me stesso. Quel confine, da sempre, è dettato anche dal sangue”.

Ricordiamo anche, che il lupo, sin dall’antichità e da epoche arcaiche, ha avuto differenti significati ed è stato associato a diverse simbologie. Non solo lo troviamo come fulcro della nostra Tradizione Romana e come simbolo di fecondità, nel caso dell’allattamento di Romolo e Remo, ma lo possiamo notare anche nelle antiche saghe norrene come simbolo di vittoria quando viene cavalcato da Odino e dalle Valchirie sul campo di battaglia e due sono anche i lupi compagni di Odino, Geri e Freki. Nella mitologia scandinava ha un ruolo centrale, di risveglio di forze primordiali e di distruzione (vedi il mito di Tyr e Fenr). Anche nella tradizione celtica, possiamo notare un branco di lupi che alleva uno dei re supremi d’Irlanda Cormac McArth, che mai volevano lasciarlo solo, in segno di protezione. Nella mitologia greca, invece, lo si poteva associare a Marte e Apollo. Anche Zeus è soprannominato “lukios”, che significa “a forma di lupo”.

Animale iperboreo, i suoi occhi possono vedere e scrutare nell’oscurità. Ma è anche psicopompo: accompagna le anime nel fiume sacro e, liberandosi dalla mondanità, arrivano nella casa ancestrale. Qui, il lupo, avendo anche un significato di rinascita lo si può trovare come testimone di un cambio da uno stato ad un altro. Lupo non solo distruttore, come già accennato per la mitologia scandinava, ma anche guida.

Ma arriviamo ad analizzare il contenuto del libro. Un libro, a mio modo di vedere, essenziale per ogni membro di una Comunità Militante, che coglie bene nel segno. Esorta e vivere qui ed ora, analizzando molto bene lo spirito del nostro tempo, dando validissimi spunti per quella resurrezione interiore che da troppo tempo è attesa. E quella resurrezione, per prima cosa, deve essere incarnata da membri di un Ordine di milizia che possa fingere da esempio per tutti, incarnando principi senza tempo. Vengono in mente le parole di Nietzsche:

“Arrivano come il destino, senza motivo, senza ragione, senza riguardo, senza pretesti, esistono come esiste il fulmine, troppo terribili, troppo convincenti, troppo “differenti” per essere anche soltanto odiati”.

Il testo si divide in tre parti: si parte dalla definizione sociologica della Comunità e di come è messa in relazione ai processi economici e politici della contemporaneità; nella seconda parte, invece si parla, appunto, di “fisionomia del Cuib” (chiaro riferimento alla Guardia di Ferro rumena). Qui si parla di metodi operativi (gerarchia, organicismo, vincolo di servizio, cameratismo). Nella terza e ultima parte si parla della figura del militante, come singolo all’interno di un organismo. Del suo percorso di crescita e di lotta interiore ed esteriore.

La cosa importante, che subito viene precisata dall’autore è che “questi spunti non sono affatto neutrali. Essi racchiudono una precisa volontà: quella di costruire e presidiare delle splendide fortezze in mezzo alla desolazione delle paludi, nella speranza che il fuoco custodito in quei bastioni, alimentato da sogni senza tempo, divampi all’ombra di mille anime incendiarie”.

Si mette subito in chiaro, insomma, quello che questo libro vuole trasmettere. E più avanti si ribadisce il concetto:

“Noi neghiamo il neutralismo asettico che accompagna questo tempo infame: siamo consapevoli che chi smantella la propria identità non si apre al diverso, ma rinuncia a se stesso”.

Ma che cos’è e che cosa deve essere per un militante la Comunità? Anche qui si va oltre le definizioni sociologiche:

“Per noi la Comunità è il terribile desiderio di una vita autentica.
È la nostra liberazione spirituale dai falsi miti di un mondo che non ci appartiene; è la tensione verticale del sacro che si contrappone alla materialità del futile e del banale; è il patrimonio senza tempo che si trasmette di generazione in generazione; è l’orgoglio del senso di appartenenza in un contesto liquido che ha smarrito ogni riferimento; è la certezza di gerarchie spontanee che non si piegano al livellamento dell’egualitarismo; è aristocrazia dello spirito e socialismo di trincea; è la condivisione scanzonata delle follie contro le solitudini apatiche delle folle; è l’organicismo di chi riconosce il proprio rango oltre la febbre rivendicativa dei diritti per tutti; è la ricerca di una solidarietà concreta dove impera l’interesse individuale; è l’ostinata volontà di compiere un destino che insorge contro la fatalità della rassegnazione; è l’arcaica intransigenza del dovere che oltrepassa la moderna decadenza del piacere; è il contatto con l’essenzialità della natura e del cosmo oltre i grigi orizzonti del cemento e dell’artificio; è il rispetto della parola data dove regna la menzogna”.

All’interno, vi possiamo trovare anche ampie citazioni e commenti ripresi da diversi autori, momenti storici e figure fondamentali, che per tracciare un solido e illuminante cammino non fanno mai male: dall’esempio di Sparta, Julius Evola, Maurice Bardèche, dal Capitano Codreanu a Yukio Mishima con l’esempio del Tate-No-Kai, Lèon Degrelle, gli scritti della Mistica Fascista, arrivando ad autori più contemporanei come Marcello Veneziani, Gabriele Adinolfi, Adriano Scianca, Dominique Venner e molti altri. Questo libro, insomma  va letto, fatto nostro e incarnato. Ci esorta all’azione – della quale soprattutto nei nostri tempi non possiamo fare a meno- e all’avventura. Perché, come è scritto in maniera molto poco sofista in queste pagine, c’è una sola ed unica via rimasta:

“La Comunità e la società. Noi e loro. Un’antitesi contrassegnata da un confine invalicabile, di quelli che si oltrepassano con la sola conseguenza di tradire se stessi. Non esistono zone franche: se questo mondo ha dichiarato guerra all’avventura, la sola avventura che ci è rimasta è fare la guerra a questo mondo”.

*Essere Comunità: Orientamenti per il militante identitario di Marco Scatarzi, Passaggio al Bosco edizioni, luglio 2017, pp. 227, euro 12

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Nicola Sgueo

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