Storia. Bari, dicembre 1943: guerra e veleni nell’Adriatico meridionale

Chissà perché gli attacchi aereo-navali peggiori capitano tutti in inverno: Taranto night (11-12 novembre 1940), Pearl Harbour (7 dicembre 1941) e Bari (2 dicembre 1943). i primi due misero a serio rischio la potenza navale italiana nel Mediterraneo e americana nel Pacifico, il terzo segnò indelebilmente la storia (e la salute) del capoluogo pugliese e delle sue genti.

Scenario In seguito alle vicende armistiziali, Bari diventa un importante centro militare e strategico per gli Angloamericani: è da qui, ad esempio, che vengono pianificati i bombardamenti sul Nord Italia e sulla Germania ed è sempre nella città di San Nicola che gli inglesi e gli americani tengono alla fonda molte delle loro navi. Vascelli da guerra, dunque, ma non solo perché ormeggiate ci sono anche le Classe Liberty, i grandi trasporto truppe e materiali simbolo della marineria alleata e fra gli obiettivi della grande formazione di Junker Ju 88 che, nel pomeriggio del 2 dicembre 1943, volando a bassa quota per evitare di essere intercettati dai radar, converge sul porto pugliese.

L’incursione Come a Pearl Harbour, anche a Bari gli statunitensi sono colti di sorpresa, poiché in fondo nessuno può immaginare che, alle soglie del 1944, la Germania disponga ancora di una potenza aerea capace di scatenare offensive. Eppure il raid su Bari non sarà l’unico “colpaccio” dell’Aeronautica germanica nel territorio occupato dagli Angloamericani: a marzo, ad esempio, è Napoli ad essere colpita. Ma in quel pomeriggio di dicembre le bombe non sono l’unica sorpresa…

Veleni Gli ordigni piovono sulle navi che bruciano e affondano in una tempesta di fiamme. Sono 17 in tutto i vascelli affondati, 8 quelli danneggiati e più di 1000 i morti. Cibo, vestiario, carburante qualsiasi merce sia nella pancia delle Liberty ship si disperde e va distrutta… compreso il gas che, malgrado i divieti delle convenzioni internazionali, è stipato nella stiva della Harvey uno dei battelli colati a picco. I sintomi di esposizione al veleno non tardano ad essere scoperti dal personale medico: 622 i militari colpiti da dermatite e un numero imprecisato quello dei civili baresi morti o intossicati dall’iprite.

Malgrado la presenza dell’aggressivo chimico sia evidente (ne parlano anche i tedeschi alla radio), Londra e Washington attenderanno gli Anni ’80 prima di ammettere ufficialmente che le loro marine detenevano armi tossiche nel porto di Bari.

Protocolli Nel 1922 e nel 1925 gli Accordi di Washington e il Protocollo di Ginevra vietano l’uso delle armi chimiche (per il divieto di sviluppo e di stoccaggio bisognerà attendere il 1972), ma sono molti gli eserciti che hanno continuato (e continuano) a possedere proiettili all’iprite. Poi, il fatto che non vengano impiegati direttamente sulla linea del fuoco non esclude che essi non possano comunque nuocere alla salute: come successo a Bari nel 1944 e, più di recente, in Siria nel 2017 basta che una bomba cada su un deposito perché le conseguenze siano devastanti.

Oggi Il problema di fondo, però, non risiede tanto nel possedere o meno depositi di aggressivi chimici quanto nell’attenzione che la potenza belligerante ha nel conservarli. La Harvey altro non era che una nave cargo esposta, in porto, a qualsiasi minaccia proveniente dal mare e dal cielo, priva di protezioni e camiffata come una semplice e “innocua” Liberty Ship. L’eccesso di segretezza, dunque, ha fatto sì che nessuno adottasse le necessarie misure per il contenimento dei gas i quali, una volta fuoriusciti, hanno profondamente segnato un tratto di costa mediterranea fra le più suggestive e pregne di storia dell’Adriatico, causando  un serio danno ambientale e non pochi, gravissimi problemi di salute agli innocenti cittadini pugliesi nel corso dei decenni successivi.

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