Marine Le Pen, luci e ombre dell’antimondialismo transalpino

Sembrano lontanissimi i tempi in cui l’Italia sonnolenta della domenica la vide conversare con Lucia Annunziata. Eppure, la strana coppia chiacchierava amabilmente appena dieci mesi fa. Oggi, Marine Le Pen – tratti marcatamente gallici non privi di una certa gradevolezza, classe 1968, avvocato, europarlamentare dal 2004 e leader del Front National da poco più di un anno –, almeno qui da noi, non la ospiterebbe nessuno. A poche ore dalle presidenziali francesi, il Fronte fa paura. Forse perfino di più che ai tempi del vecchio Jean-Marie.

Chiariamoci, anche con Marine in sella, le premesse rimangono quelle di sempre. Il FN è un partito profondamente e intimamente francese. Ancorato a un nazionalismo tricolore e patriottardo, ossessionato dai problemi di cittadinanza, sempre più laicista in funzione anti-islamica, è figlio dei Lumi in tutto e per tutto. Senza timore di osare, si potrebbe sostenere che esso abbia assorbito, fatto proprie e conservato tutte le conquiste progressiste di due secoli fa, quando si dava battaglia agli imperi e alle aristocrazie in nome di quegli ideali modernisti che, in un secondo momento, la sinistra avrebbe rottamato sulla via dell’Internazionale prima e della globalizzazione poi. Nulla di nuovo sotto il sole di Francia.

Il punto centrale è infatti un altro. La vera pericolosità del FN, nonché l’unico motivo per cui varrebbe la pena votarlo, scaturisce dalle sue posizioni geopolitiche che così si potrebbero sintetizzare: uscita della Nato, ripudio dell’euro ed avvicinamento alla Russia del “sovranista” Putin. In sostanza, la fine del mondo così come lo conosciamo. Se un paese come la Francia dovesse innescare un simile meccanismo, un effetto domino straordinario spariglierebbe completamente il fronte occidentale. È, in fondo, il tallone d’Achille della globalizzazione: appare invincibile nella sua estensione planetaria, ma è proprio la sua trama di fitte interconnessioni (e interdipendenze) a semplificare l’azione di chi vorrebbe liquidarla. Basta togliere un tassello rilevante ed il mosaico si sfregia in modo irreparabile.

Normalmente, tutto questo non sarebbe un grosso problema. Tali posizioni radicali verrebbero declassate a mere grida disperate di chi si affanna a sparala grossa per ottenere una qualche visibilità. Ma l’ultimo quinquennio ha generato un clima inedito. La crisi galoppa, l’Europa soffre, il capitalismo vacilla, l’America è una cambiale scaduta, le tecnocrazie sono state costrette a metterci la faccia e, finalmente, sono entrate nel mirino. Insomma, la baracca scricchiola sinistramente e a qualcuno potrebbe venir voglia di darle il colpo di grazia. Barrando una semplice casella.

Hans Peter Briegel

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