Calcio. Dopo le bocciature, si levano i peana ma Pellegri non è già un fenomeno

Pellegri

Se non fosse stato per Ciro Immobile – non ce n’è per nessuno quando O’ Ciro decide di salire in cattedra -, lo scettro della rocambolesca partita tra Genoa e Lazio sarebbe andato – o forse è giusto che vada comunque – a Pietro Pellegri, gigante di sedici anni che, con la sua doppietta, ha battuto il record di Silvio Piola.

Uno sporcato e fortunoso, l’altro elegante movimento da rapace d’area piccola: i gol fanno chiaramente capire che al ragazzo di Genova i colpi non mancano. Predestinato per i più, è già stato eletto prodigio e campeggia su tutte le prime pagine. Sacrosanto, ma forse è meglio andarci piano: i media italiani, così come a volte le società stesse, incensano e bruciano i prospetti migliori. Gridare al fenomeno perché è prassi consolidata è pericoloso e avventato.

Pellegri era nemico della stampa (d’estate)

L’opinio communis è ondivaga per natura, il vento della stampa soffia dove conviene. Tre mesi fa Suning era sul punto di chiudere la trattativa che avrebbe portato in nerazzurro Pellegri e Saicedo (suo sodale di miracoli, pare). Una folata di critiche unanimi (“milioni e milioni per due della generazione duemila che non hanno mai dimostrato un granché”), unite alla cifra dell’operazione evidentemente esagerata – ma questo è un altro discorso – hanno minato il buon esito dell’affare.

Seedorf: “Pellegri è patrimonio, ma non esaltatelo”

Ci ha visto bene il saggio Seedorf che, invitato ad unirsi al coro delle lodi sperticate, ha tenuto i piedi per terra: “Nella vita ci vuole anche un po’ di fortuna. Questo ragazzo di soli 16 anni ha fatto due gol ed è una speranza importante per il futuro dell’Italia. Per il suo bene vi dico di non esaltarlo troppo ora. È un patrimonio del vostro calcio e anche se segnare è importante non ha ancora fatto nulla, la strada è lunga”.

Il precedente Paloschi e il caso Rugani

Proprio Clarence servì Paloschi per il suo primo gol con la maglia rossonera, al suo esordio contro il Siena: indossava il numero 43 ed era entrato in campo da appena venti secondi. “Il nuovo Inzaghi, il nuovo Inzaghi” era il mantra che aveva pervaso il Diavolo. Paloschi non è mai entrato davvero nel giro della Nazionale maggiore, è finito a galleggiare tra Chievo, Genoa, una parentesi infelice allo Swansea, Atalanta e ora Spal. Non convince neanche a Ferrara. Se si vuole, una sorte non molto diversa, solo circondata da premesse opposte, è toccata e tocca a Daniele Rugani, approdato alla Juve dopo una stagione impeccabile ad Empoli. Dopo essere stato tenuto ai margini, di fatto, per due campionati, ora Allegri gli affida le chiavi della difesa, pretendendo pure che supplisca Bonucci nel ruolo di play basso. Ma Daniele non è né promessa, né maturo. E’ solo l’immagine della generazione azzurra prima guardata con attenzione e poi accartocciata come le prime pagine di oggi.

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