Il fatto. Vivere fino a 140 anni? Ma il mito ci insegna a diffidare degli stregoni

1200px-Ilioupersis_Louvre_G152La nuova promessa è quella di vivere fino a centoquarant’anni. Sissignori. L’epoca degli algoritmi, delle statistiche, del dato aggregato e scomposto ha deciso di alzare ancora l’asticella. Fino a pochi anni fa, la promessa era quella di garantire a tutti si superare la soglia dei cento anni. L’augurio più dolce e fantascientifico (dovete campare cento anni, detto al Sud sempre in segno di gratitudine) sarebbe stato presto rottamato. Dovete camparne centoventi. Oggi, (almeno) centoquaranta.

Quello che non quadra, però, è come. Probabilmente, agli stregoni della Silicon Valley, agli imbonitori delle magnifiche sorti e progressive piacerebbe che questa generazione campasse fino a trecento anni. E vi immaginate, voi, di arrivare a centodue anni con l’ansia dell’ennesimo stage aziendale? Compiere centoquattro anni e vedersi assegnare la pensioncina da trecento euro al mese? Soffiare su centotredici candeline solo per dare al sindaco la soddisfazione di fare foto e comunicato stampa e, se magari va bene, uscire per qualche minuto nel salottone tutto rosa e profumato di Barbarella d’Urso?

Il miraggio della vita lunga ben oltre i limiti che sono imposti dalla natura – che sulle statistiche vale a testimoniare presunte superiorità di un sistema politico sull’altro – è qualcosa che va sfatato al più presto. La tradizione ci consegna, nel mito, gli strumenti utili a superare indenni le paturnie golose delle sirene che promettono una (falsissima) vita eterna.

Titone fu il più bello tra i mortali. Di lui s’innamorò Eos, la dea dell’Aurora. Resa folle e audace dall’amore, lei ottenne da Zeus che anch’egli divenisse immortale. Si scordò però di chiedergli l’eterna giovinezza, privilegio degli dèi. Rinsecchì, il fortissimo Titone, fino a tramutar l’amore della sua Eos in pietà. Che ottenne per lui la trasmutazione in cicala.

Ancora più raccapricciante fu il destino della Sibilla, amata da Apollo. Anch’ella ottenne l’immortalità senza l’eterna giovinezza. E pian piano si fece prima vecchia, poi iniziò a rimpicciolirsi e a disfarsi, più decrepita di una cicala, iniziò letteralmente a sparire. Di lei rimase solo la voce, che dava oracoli dal suo antro, a Cuma.

Non si può andar contro la propria natura che, essendo umana, contempla il fatto che un giorno, si spera il più lontano possibile, si debba rendere l’anima. Né si può credere che una vita (solo) lunga possa essere meglio di una che sia stata vissuta.

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Giovanni Vasso

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