Il caso (di P. Isotta). Vesuvio, Ischia e omicidi in discoteca: come si è sgretolata una nazione

Vesuvio00L’eruzione del 79 p. Ch.  spaccò in due il vulcano, e ora abbiamo il Vesuvio e il Monte Somma. Prima c’era una montagna conica e verdissima: un affresco pompeiano conservato al Museo Nazionale di Napoli la mostra. In primo piano un grande serpente; uccelli e vegetazione; le pendici e le balze sono terrazzate a vigna. Ai piedi, colla sua pantera, Dioniso. Il Dio regge il tirso e il suo abito è fatto di acini d’uva. La terra lavica, col suo umore e le sue radiazioni, nutre la vite in modo particolare; i vini nati dal terreno vulcanico sono superiori agli altri: i migliori del mondo sono campani, laziali, siciliani.

   I miei balconi hanno di fronte Capri e la Penisola: il Vesuvio incombe a sinistra. Luglio è stato un incubo. Ogni giorno la colonna di fumo intorbidava la vista, si spingeva verso Castellamare e Sorrento, fino al Faito; e ogni giorno mi levavo sperando di non vederla più. C’era sempre. La cenere arrivava sino al mio terrazzo, l’odore acre non lo avvertivo nemmeno più. Quel che s’è distrutto di vegetazione e di animali nemmeno lo riavremo mai più; intanto andavano e vanno a fuoco la collina di Posillipo, il parco naturale degli Astroni, i Camaldoli, la Campania, la Calabria. Non arde soltanto il paesaggio e l’ambiente naturale: va in fumo, con la capacità di proteggerli e prevenirne la distruzione, l’idea stessa di nazione. V’è una ratio perversa in tutto questo: “il Dio fa uscire di senno coloro che vuol perdere”, ammonisce Sofocle.

   Gli incendi sono dolosi e provocati dalla camorra. Un dolo ancor più grande è il fatto che la gente usa le pinete del Vesuvio, le macchie di ginestre producenti quel giallo-verde ch’è fra i più bei colori esistenti, i castagni, gli aceri, i lecci e gli ontani, quale immondezzaio. Le infinite tonnellate di deiezioni e schifezze che a ogni passo si trovano sono la premessa per la distruzione. Un ambiente così degradato favorisce il fuoco. Gli incendi accesi da coloro che per vari motivi hanno interesse a che il Vesuvio bruci si sposano a quelli spontanei, dei quali il caldo è solo la causa efficiente, giacché in un ambiente curato l’inevitabile si potrebbe disciplinare.

   È stato spiegato che la manutenzione preventiva eviterebbe i danni principali. Da decenni non esiste più. Il Parco Nazionale del Vesuvio, ottomila ettari, ha quindici dipendenti. Poi i famosi aerei sono arrivati in ritardo e in numero insufficiente. Non sapevano dove attingere l’acqua. Il nostro corpo forestale è stato smantellato e ora dipende dai Carabinieri. La somma di tutto questo si concreta nel nostro non esser più una comunità nazionale, ma un’accozzaglia di conviventi che si detestano.

   L’incapacità dello Stato si è congiunta, a pari demerito, a quella del Comune di Napoli e della Regione Campania. Lo stesso abbiamo poi visto per le costruzioni abusive di Ischia, che quasi vengono rivendicate come un titolo di merito. E questi tre mi hanno fatto l’impressione che dico: in un paragone non paradossale. Nei giorni scorsi, abbiamo letto di due delitti avvenuti in discoteche, spaventosi luoghi ove migliaia di decerebrati vanno a intontirsi da mezzanotte alle dieci del mattino facendo ricchi i gestori e i trafficanti di droga (in parentesi: uno dei personaggi dell’immaginario nazionale, che del nostro paese è un ritratto, è diventata disk-jockey a Ibiza: si chiama Nicole Minetti). Ebbene, mentre gli assassini massacravano a calci le loro vittime, i cosiddetti “buttafuori”, che dovrebbero assicurare il “servizio d’ordine”, stavano a guardare; e gli avventori riprendevano il crimine col telefonino; e farsi un “selfie” con un cadavere da mettere su “facebook” sarebbe per loro più d’ una laurea.

*Da Il Fatto Quotidiano

 

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Paolo Isotta*

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