La lettera. Il riscatto italiano passa dalla riscoperta della missione di civiltà

Foro italico
Foro italico

La più ferrea delle leggi che regolano la Storia afferma che un accadimento non possa mai ripetersi. Tuttavia questa legge dichiara assai meno di quanto suggerisce. Se infatti è evidente che ogni peculiare acadimento storico è tale proprio in virtù della propria unicità; e se è altrettanto evidente che una certa combinazione di peculiari accadimenti storici è altrettanto unica ed irripetibile; ciò non esclude tuttavia la plausibile somiglianza a posteriori di certune combinazioni, così che una combinazione precedente possa fornire elementi utili per vaticinare gli sviluppi di una successiva. D’altronde, se la Storia può essere considerata effettivamente come un continuum di circostanze evenemenziali irripetibili; cionondimeno, come evidenzia l’alto magistero di Marc Bloch, ne resta sempre invariabilmente protagonista l’Uomo. La sua costante ed attiva presenza nell’avvilupparsi dei fatti, fa sì che questi siano da mettere sempre in relazione con lui, ovverosia con la sua sensibilità, con la sua razionalità e con la sua esperienza – che sono gli strumenti coi quali l’Uomo interpreta gli accadimenti e attribuisce loro un significato ed un senso. Pertanto,  direi che potremmo prenderci la licenza d’affermare che sia possibile mettere a confronto combinazioni storiche simili, allo scopo di ricavarne preziose risorse per meditare sull’avvenire.

Questo preambolo era indispensabile per giustificare una provocazione che vorrei lanciare ai lettori. C’è stato un tempo in cui l’Italia era unita solo idealmente, perché nei fatti era divisa; in cui era praticamente disarmata difronte ai molteplici pericoli che la assediavano da ogni parte, e che la costringevano per motivi di forza maggiore ad affidarsi alle armi altrui, ovverosia a potenze straniere per la sua protezione; in cui complesse e farraginose e inadeguate erano le leggi, che poi non riuscivano a valere proprio per tutti; in cui infine folte schiere di potenti si arroccavano nelle fortezze dei propri privilegi, godendo egoisticamente dei loro vantaggi immeritati a detrimento della comunità in generale e dei più umili in particolare, che venivano vessati malamente. Questa era la situazione dell’Italia a cavallo tra i secoli XV e XVI che si presentava davanti agli occhi di chi era in grado di osservarla. All’epoca tuttavia, a fronte dell’irrilevanza politica e militare, la prosperità economica e la lungimiranza culturale di alcune enclave aristocratiche, avevano permesso uno sviluppo davvero straordinario in ambito intellettuale ed artistico: infatti quella divenne l’epoca dei grandi mecenati e dei grandi uomini d’arte e di pensiero, che riuscirono a riscattare con la loro opera l’onore d’Italia. Non credo d’essere il solo a sperimentare una sorta di deja-vù mentre vado elencando una tale combinazione di circostanze. In effetti quanto possiamo dire a proposito di quel tempo lontano, non mi pare in sostanza così diverso da quanto sta accadendo – sebbene in sembianze ovviamente diverse –  ai nostri giorni, se ci compiacessimo ad osservare la situazione senza pregiudizi ideologici e con onestà intellettuale. Dunque prego i lettori d’accettare questa mia provocazione, così poco ortodossa storiograficamente, e di domandarsi che cosa e impiegata in che modo, potrebbe riscattare altrettanto la prostrazione politica dell’Italia.

Siccome non m’intendo d’economia, lascio volentieri ad altri più competenti l’arduo compito di dimostrare se effettivamente di ricchezza in Italia ce n’é, e di illustrare come potrebbe eventualmente essere impiegata in senso virtuoso.

Lo stato di cultura e arti

Ciò di cui vorrei invece occuparmi, riguarda lo stato della cultura e delle arti, che sono ahimé costretto a dipingere a tinte fosche. Apparentemente sembrerebbe andare tutto benone: anche se altri paesi stanno facendo ancora meglio, tuttavia anche noi abbiamo finalmente imparato a prostituire bene le ricchezze culturali ed artistiche di cui l’Italia è scrigno e lo Stato serratura; e se da una parte vendiamo volentieri ai barbari la nostra bellezza, dall’altra siamo ancora in grado di spremere sangue dal genio creativo della nostra stirpe, realizzando prodotti ammirati in tutto il mondo. Ma se alzassimo un po’ lo sguardo provando a guardare oltre la punta dei nostri piedi, ci accorgeremmo che l’orizzonte si è fatto incerto e sfumato. Ciò è dovuto al fatto che in Italia è andata smarrendosi quella misteriosa capacità di progettazione e costruzione dell’avvenire che soggiace alle fondamenta di ogni civiltà. L’impressione che si ha è quella di una sorta di abdicazione della tradizione culturale del nostro paese a vantaggio dell’esterofilia, che avrebbe disposto gli italiani ad accogliere perfino con un certo entusiasmo i doni degli assedianti, che puntualmente si rivelano essere altrettanti cavalli di Troia. Naturalmente il popolo in tutto ciò reclama solo quanto il ceto dirigente è disposto a concedere: purtroppo proprio il ceto dirigente, ovverosia il gruppo di coloro che dovrebbero rappresentare sinteticamente l’essenza di una civiltà, è proprio la parte della società più assuefatta alle droghe ideologiche d’importazione.

Qui non si tratta di attribuire al concetto di civiltà italiana un certo significato piuttosto che un altro, e nemmeno risolvere il dubbio gaberiano se essere italiani sia una fortuna o meno; semmai si tratta di prendere atto della sussistenza di una situazione critica, che deve quantoprima essere risolta: l’Italia è oggi anzitutto uno Stato moderno – e tale sembrerebbe destinato a rimanere ancora per qualche tempo – e chi si ritrova a viverci deve decidere come farlo. In definitiva, al netto di una situazione politica avvilente e di una economica incerta, occorre domandarci se sia possibile cercare il riscatto dello Stato stesso nel mimetismo culturale: ovvero quali vantaggi possa effettivamente apportare la devotissima sottomissione al pensiero unico globalizzato, piuttosto che un’orgogliosa rivendicazione di una certa tradizione culturale.

Alcuni paesi in Europa hanno già fatto una scelta in quest’ultimo senso, così da gettare delle fondamenta solide sulle quali costruire l’avvenire. Il mio auspicio è quello di vedere anche in Italia la volontà di prendere atto della possibilità di scegliere, per scuotersi dal torpore dell’assuefazione, e intraprendere il percorso verso il riscatto.

@barbadilloit

Niccolò Mochi-Poltri

Niccolò Mochi-Poltri su Barbadillo.it

Exit mobile version