Focus (di R.Perrone). Perché Federica Pellegrini è una leggenda italiana

Federica Pellegrini
Federica Pellegrini

“Non so cos’è successo, ma ora sono in pace con me stessa”. La settima medaglia consecutiva di Federica Pellegrini nei 200 stile libero ai Mondiali di nuoto è un oro per cui c’è libertà di aggettivo. Nella piscina di Budapest, a quasi 29 anni (il 5 agosto), la Divina, tocca davanti a tutte. E’ il terzo oro Mondiale dopo quelli del 2009 a Roma e del 2011 a Shanghai. Federica, con una prova eccezionale, supera la grande favorita per il successo, l’americana Katie Ledecky, e sorprende tutti annunciando: “Sono stati i miei ultimi 200 metri”. Ma sarà vero?

Per il settimo sigillo, parafrasando di capolavoro di Ingmar Bergman, Federica gioca a scacchi con la sua parabola discendente e, incredibilmente, vince. L’Araba Fenice forse, tra i suoi dieci tatuaggi, è quello che rispecchia di più la sua personalità, questa capacità di rinascere dalle ceneri di una sconfitta, di una situazione negativa, di un amore finito, di una polemica senza senso. Prima dei Mondiali, in un’intervista ad Alessandro Pasini, sul Corriere della Sera, aveva onestamente ammesso: “La Ledecky ballerà da sola”. Invece è lei l’étoile e la ventenne americana deve interrompere la striscia di successi mondiali: 12 ori consecutivi, ma ora è argento. Rileggendo i tre trionfi della Divina, la gara di Budapest è simile quella di Shanghai 2011, quando ai 200 aggiunse i 400 (storico bis dopo Roma), permettendosi pure di vivere la storia d’amore con Filippo Magnini, brivido caldo di quell’estate italiana. L’oro di Roma 2009 fu travolgente: Federica lasciava solo la schiuma alle altre. Nel 2011 e nel 2017 si tratta di oro perfetto. Una gara strategica, senza concedere troppo alle avversarie nei primi 100. La gestione di forze, distacchi e progressione finale è magnifica, un equilibrio senza sbavature, le avversarie risucchiate negli ultimi quindici metri: 1’54”73, davanti a Katie Ledecky e all’australiana Emma McKeon, argento ex aequo (1’55”18).

Federica siede sul cordolo, batte i pugni nell’acqua. Prima ha dovuto capire. Difficile. «Devo ancora rendermene conto. Non pensavo fosse possibile, credo di aver fatto una gara precisa al millimetro, provandoci fino all’ultimo. Non so dove ho trovato questa energia, ma volevo questa medaglia, era importante dopo Rio. Non so che farò, ma questi per me sono gli ultimi 200, adesso un altro percorso». Questo ancora bagnata, nell’euforia, nell’emozione, nello stupore del momento. Dopo attutirà, rivelando che il suo amico/mentore/presidente club e Coni Giovanni Malagò le ha sussurrato, premiandola: “Sei pazza, non dire queste cose”. Federica non ritratta.  Quasi. “Nella mia testa è così, ora vorrei fare la velocista, però mai dire mai, magari ci ripenserò”. Ha cominciato bambina, sfidando Franzi Van Almsick, idolo giovanile. Prima ha collezionato leoni di peluche e visioni di film horror, poi rivali, amatissime ma anche no: Laure Manaudou, con cui ha diviso, non nello stesso periodo, il fidanzato (Luca Marin) e l’allenatore (Philippe Lucas), poi Muffat, Franklin, Heemskerk. “Sì, ne ho viste parecchie ed è una bella soddisfazione stare ancora qui».

Ha occupato le copertine con trionfi, tonfi, capricci. Discese ardite, svenimenti, crisi di panico, risalite. Nel 2006 proprio a Budapest in un Europeo in retrovia, si legò ad Alberto Castagnetti, tecnico convinto che Federica potesse dominare, come Katie Ledecky, tutte le distanze dello stile libero, 100 e 800 compresi. Alberto, scomparso prematuramente (mai avverbio fu più azzeccato) nel 2009 la consegnò ad anni inquieti, tra allenatori pretesi, presi, licenziati (perfino in diretta tv), ripresi: Morini, Lucas (2 volte), Bonifacenti, Rossetto, infine Matteo Giunta, cugino del fidanzato (ma lo sarà ancora? mah) Magnini, promosso da preparatore atletico a tecnico per gli anni finali della carriera. Finali? Con Federica, veneta fenice, la fine non è mai nota, con lei la leggenda è dietro l’ultimo abisso. Nel 2008 a Pechino affonda miseramente nei 400 sl ma subito dopo è record mondiale nelle batterie dei 200, poi vinti; nel 2012 a Londra paga un anno di sbagli e assenza di punti di riferimento, ma nel 2013 ai Mondiali di Barcellona, arriva un argento insperato; nel 2016 è medaglia di legno a Rio, qualche mese dopo confessa di aver sbagliato il conteggio del ciclo. E ora quest’oro mitologico.

E’ cambiata, è cresciuta. Non cerca più nemici inesistenti da abbattere e non guida rivoluzioni senza seguaci. “Ho smussato molti angoli – ammette – mi sono avvicinata alla gente e la gente si è avvicinata a me”. E’ diventata un personaggio pubblico, di quelli con i paparazzi (anche improvvisati) addosso ma restando sempre una professionista esemplare. Non è per niente antipatica, ma anche lo fosse, non è rilevante. Federica Pellegrini è la più grande atleta dello sport italiano. Il resto è giù dal podio. (da La Gazzetta di Parma)

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Roberto Perrone

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