Fumetti. “Sergio Ramelli. Quando uccidere un fascista non era reato” tra coraggio e militanza

La copertina della graphic novel
La copertina della graphic novel

L’Unità del 17 marzo 1987 così descriveva l’inizio del processo per l’omicidio di Sergio Ramelli: “Il processo Ramelli si è aperto senza manette. Forse per la prima volta nella storia delle aule di giustizia del nostro paese, dieci imputati di omicidio volontario premeditato, più nove imputati di tentato omicidio plurimo, più altri sei loro compagni accusati di tatti minori di quella violenza di piazza degli anni Settanta, fatta di spranghe e chiavi inglesi, sono comparsi davanti a una Corte d’assise senza catene ai polsi, senza cellulari né scorta di polizia. Sono giunti alla spicciolata, ciascuno da casa sua, quelli in libertà provvisoria e quelli agli arresti domiciliari mescolandosi al pubblico, non riconoscibili tra amici e familiari che si stringono attorno a loro. Ai pochi carabinieri di servizio resta il compito (ma non è un compito invidiabile) di ‘regolare il traffico in quell’aula”. Un clima senza tensioni in aula scriveva la giornalista. Turbato, capiamo, da quei neofascisti che sotto la casa dell’assassinato avevano compiuto il rito del “ presente” “con  tanto di saluto romano”.

Nella prefazione a “Sergio Ramelli. Quando uccidere un fascista non era reato” il magistrato Guido Salvini, che nell’ambito dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Milano fu incaricato di seguire le indagini su quel delitto, rievocale difficoltà incontrate e il clima di conformismo protettivo verso i rei  in cui si svolsero.

Ora ricostruisce quell’assassinio questa graphic novel che ha vari pregi oltre a quelli insiti nella specifica forma narrativa testimoniati in opere come “Palestina, una nazione occupata” di Joe Sacco (edizioni RCS) premiato, a suo tempo, con l’ American Book Award da parte della Before Columbus Foundation.

Il pregio di una ricostruzione accurata innanzitutto. Una ricostruzione che ci presenta Sergio Ramelli non come un’icona ma come un giovane uomo a tutto tondo. Militante politico certo, ma anche affettuoso figlio e fratello, giovane impegnato nella vita di parrocchia, ragazzo partecipe della passione sportiva sia come giocatore di calcio che come tifoso.

Il pregio di una forma visiva di grande impatto che rende un clima orrido in cui l’odio ideologico “chiude” la visione dell’altro in uno stereotipo privo di sostanza umana. Cosicchè in un racconto che, ribadiamolo:con grande fedeltà all’accaduto, ci mostra non solo l’odio belluino  di alcuni ma anche  la vigliaccheria di troppi che non vollero intervenire (uno per tutti: il preside del Molinari) appare come segno di positiva contraddizione il rapporto amichevole di Ramelli con un suo compagno di squadra frequentatore di ambienti di estrema sinistra lo avverte di “brutte voci”.

Nell’ambito della già sottolineata rigorosa ricostruzione dei fatti sono da ricordare le circostanze del funerale di Ramelli esemplari non solo del “clima” ma anche dell’opera di travisamento dei fatti operato dalla “grande “ stampa che nelle sue cronache sembra non essersi accorta delle cariche della Polizia per impedire agli amici dell’assassinato di portare a braccia la bara in Chiesa.

Ancor meno si accorsero (stampa e Polizia ) che dalla vicina Università erano effettuate riprese fotografiche e televisive dei funerali. Riprese poi ritrovate nel 1985 nell’archivio di Controinformazione di Avanguardia operaia. Organizzazione cui facevano parte gli assassini.

*“Sergio Ramelli. Quando uccidere un fascista non era reato” (Ferrogallico)

@barbadilloit

Maurizio Bergonzini

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