Anniversari. Cinquant’anni senza Primo Carnera il gigante buono di Sequals

Primo Carnera (qcode uff)
Primo Carnera (qcode uff)

Ho preso tanti pugni nella mia vita, veramente tanti… ma lo rifarei perché tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli.

Cinquant’anni fa ci lasciava Primo Carnera, detto anche il “gigante buono” di Sequals, pugile campione del mondo dei pesi massimi nel 1933 e divenuto famoso per la sua stazza (197 cm di altezza per 120 kg di peso) e per la sua umanità.

Ancora adolescente, infatti, emigrò in Francia dagli zii per trovare lavoro prima come carpentiere e poi come circense, venendo notato negli incontri di lotta per la sua prorompente fisicità. Questo gli permise di innalzare il suo tenore di vita e di dedicarsi, su suggerimento degli zii, alla nobile arte del pugilato.

Tanto lavoro e tanta umiltà sono state la base del suo credo come atleta e come uomo. Spicca su tutti un episodio avvenuto nel 1933, quando Carnera, proprio prima dell’incontro valevole per il titolo, voleva ritirarsi dal pugilato a causa della morte per emorragia cerebrale del suo ultimo avversario e dovuta ai colpi infertigli proprio dal gigante di Sequals. Desta quasi sorpresa un simile atteggiamento di genuina compassione nell’ambiente pugilistico dei primi anni Trenta, dominato da scorrettezze ed incontri truccati.

Tuttavia, che Primo Carnera fosse un pugile fuori dagli schemi lo si capiva dal suo sguardo mite e dallo stile di combattimento tutta potenza e poca grazia, che ad inizio carriera gli valse il soprannome di “montagna di Gorgonzola” affibbiatagli dalla critica, costretta tuttavia a ricredersi per i risultati e l’efficacia del pugile friulano.

Il caso (o forse il destino) volle che Carnera diventasse il primo campione del mondo italiano dei pesi massimi proprio il 29 giugno, stesso giorno della sua morte, mettendo KO con un terribile montante destro Jack Sharkey alla sesta ripresa di un match dominato dal “gigante buono”.

Carnera, sebbene costretto ad abbandonare giovanissimo l’Italia, dimostrerà nel corso degli anni un forte legame con la sua Patria e con l’allora instauratosi regime fascista: si impegnò a combattere gratis pur di difendere il titolo mondiale in Italia e indossò la camicia nera sotto l’accappatoio prima del match (poi vinto) contro lo spagnolo Uzcudun per l’unificazione della cintura mondiale con quella europea.

La propaganda fascista costruirà sul gigante friulano un mito, un’icona della forza e della virilità italiana, cosa che tornerà utile a Carnera quando, a fine carriera, fu costretto a mantenersi prima come lottatore di wrestling e poi con parti secondarie da attore poiché le pur sostanziose “borse” dei suoi match gli vennero “scippate” dai suoi scaltri manager.

Ma l’ultimo vero pugno in faccia, però, gli venne scagliato fuori dal ring, quando al suo ritorno in Italia nel ’45, venne accolto dalle accuse dei partigiani, che volevano giustiziarlo in quanto collaboratore di Mussolini, riuscendo a salvarsi solo dopo l’intervento del comandante Picco delle “Brigate Osoppo”, evidentemente un estimatore dell’uomo e del pugile prima che dell’icona del regime fascista.

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Carlo Lattaruli

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