Libri. “La compagnia delle anime finte”: con Wanda Marasco nella Napoli visionaria

Una immagine dalla copertina del romanzo
Una immagine dalla copertina del romanzo

E’ uno strappo di viscere venire al mondo. Fa male sbucare dal buio profondo e acquoso di un ventre di donna. E’ sangue, lacrime, urla. Svuotare, scavare, buttare fuori. Venire alla luce, si dice. Ma la carne di donna lacerata mette al mondo altra carne, con lo stesso destino “Una grotta di carne che aveva fatto i feti destinandoli a una miseria senza fine”. L’unico destino conosciuto è il buio della morte. In mezzo c’è il passaggio, il tentativo di restare alla luce, di sfuggire le ombre. Illudersi di poter allontanare il destino, di non sprofondare nel buio del ventre.

Metafora umana, Napoli è la città nata dalle sue stesse viscere. Emergere dagli anfratti del corpo è come emergere dai cunicoli della terra. Napoli è speculare: sotto e sopra sono due organismi che si nutrono a vicenda. Napoli è l’uroboro primordiale, imprigionata nell’utero sotterraneo, dove nei secoli si è purgata, dissetata, costruita, difesa, nascosta, seppellita. La città del munaciello, di Matilde Serao e di Curzio Malaparte -superstizioni, rabbia e violenza-  è anche la città di Eduardo De Filippo, il “paese curioso: è ‘nu teatro antico, sempre apierto”. Curiosa, strana, grottesca è Napoli nel romanzo “La compagnia delle anime finte” di Wanda Marasco (Neri Pozza, finalista premio Strega). Nel teatro della strada di Wanda Marasco una finta umanità va in scena. Chi dirige sta nella buca del ventre della città.“Come dove andiamo? Ve l’ho detto, sotto la città dove c’è il mondo di una volta”.

Vanno nei cunicoli di tufo millenario le anime finte di Rosa – la voce narrante- di sua madre Vincenzina Umbriello e della nonna Adelì, della suocera Lisa Campanini, della cognata Moira e poi di Iolanda, di Mariomaria e di Ennio, di Rafele. Scendono come prima hanno camminato sopra quei tufi di cui sono fatte le case, i vicoli, le strade di Napoli perché il mondo di sotto è miserabile quanto il mondo di sopra. Sopra ci sono stupri, povertà, malattie, prostituzione, usura (il ventre di Napoli) e sotto ci stanno i morti. La finzione è nell’annullamento del limite tra vita e morte: il racconto si sostanzia nel far vivere la morta Vincenzina, resuscitarla nel racconto della sua vita . “Mia madre ha recitato il caos alla perfezione” dice Rosa che da Capodimonte, ingresso della Napoli sotterranea, guarda la madre morta, sembra parlare a quella carne disfatta invece parla a se stessa. Per trovare nella vita di Vincenzina la ragione della durezza della sua:

“Ho continuato a scavare nel tempo. Ti ho scorta affacciata a proteggere il mio ritorno, come se davvero fossi una figlia con la tua stessa natura”.

Umanità guastata, un genere umano perduto e offeso radicato in un limbo sordido e irrimediabile, travolto da una tempesta senza altro soprannaturale che quello delle anime dei morti. Terree ombre, trasfigurazione degli dei Mani, le orche proteggono, agiscono, risolvono, presenziano, soccorrono: sono “una madre terrena e siderale che manovra il buio e la luce di casa”. La presenza delle orche salva il romanzo della Marasco da inutili ricerche di tranche de vie. La Storia è assorbita dalla Natura. Prevale il canto delle prefiche in questo libro bello e crudele, che lancia al lettore l’agguato del linguaggio. Una lingua materica, dove il dialetto serve alla narrazione d’ambiente, si concede squarci di lirismo per trovare “le parole giuste per spiegare l’incombenza della luce e la misteriosa estensione della terra”. Si corrispondono le parole, sono “onde che cullano morte e interiorità”, sono rimbombi di catastrofi antiche, sono “il grammelot della malaparola erotica”, sono “il gemito narrativo delle ante chiuse”. La visionarietà linguistica è la cifra felice del romanzo di Marasco. Disturbante nelle immagini e nel lessico dell’amplesso

“Rafele la pigliava, la capicollava e la faceva volare. Lei paura non ne sentiva, perché Rafele cacciava la carne piumata e le ali di trasporto terrestre, che bastavano a tutti e due per non cadere di schianto sopra le riggiole”.

*La compagnia delle anime finte” di Wanda Marasco (Neri Pozza)

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Daniela Sessa

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