Storia. Il telegramma Zimmermann e l’ingresso degli Usa nella Prima Guerra mondiale

L'ingresso usa nella prima guerra mondiale
L’ingresso usa nella prima guerra mondiale

Montevideo, 14 giugno 2017

Casus belli è una locuzione il cui significato è “motivo della guerra”. Tale espressione è usata per indicare un evento addotto a motivazione ufficiale per la dichiarazione  o la decisione d’intraprendere una guerra, in genere secondario (o addirittura specioso, prefabbricato) rispetto a motivazioni geopolitiche od economiche, che si ritengono prevalenti per scatenare o entrare in un conflitto. Tra i più importanti “casus belli”: le fantomatiche armi chimiche di Saddam Hussein,  l’affondamento del “Maine”, l’attacco di  Pearl Harbor, l’attentato di Sarajevo e, più remoti, il ratto di Elena, l’assedio di Sagunto o la defenestrazione di Praga. 

Uno di questi fu il “Telegramma Zimmermann”, cioè il documento inviato via telegrafo, il 16 gennaio 1917, durante la  Prima Guerra Mondiale, dal Ministro degli Esteri dell’Impero Germanico, Arthur Zimmermann,  al suo Ambasciatore in Messico, Heinrich von Eckardt, decrittato dai Servizi britannici, che lo consegnarono all’Ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, Walter Page. In esso si istruiva l’Ambasciatore von Eckardt  a contattare il Governo del Messico,  con la proposta di formare un’alleanza contro gli Stati Uniti, nel caso che fossero falliti i tentativi di Berlino di mantenere la neutralità di Washington, data l’intenzione tedesca d’intraprendere dal primo di febbraio una “Guerra Sottomarina Illimitata”.

 Anche se il telegramma iniziava manifestando che la Germania era assai interessata a mantenere la neutralità statunitense, pur dovendo necessariamente affondarne i battelli commerciali diretti verso le Isole Britanniche (da tre anni gli inglesi avevano, dal canto loro, bloccato ogni rifornimento via mare alla Germania, senza che ciò avesse sollevato rilievi da parte degli USA), questa manovra precauzionale potenzialmente ostile – abilmente usata dal Governo statunitense – produsse un’esplosione di sentimenti antitedeschi. Il 1º marzo, il Governo statunitense diede infatti una copia in chiaro del telegramma alla stampa. Il Presidente Thomas Woodrow Wilson, del Partito Democratico, generalmente definito un idealista, sollecitò quindi al Congresso di poter armare le navi americane e pochi giorni dopo, il 2 aprile 1917, il medesimo chiese al Congresso di dichiarare guerra alla Germania. Il 6 aprile il Congresso votò l’ingresso degli Stati Uniti nella guerra, ufficialmente cobelligeranti accanto all’Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e  Potenze minori).

Wilson, che pure durante la campagna elettorale del 1916 aveva promesso la neutralità, aveva trovato il Casus belli che cercava, quello in grado d’orientare l’opinione pubblica in senso entusiasticamente interventista: “Il mondo deve essere reso sicuro per la democrazia. La sua pace deve essere radicata sulle provate fondamenta della libertà politica”, dichiarò enfaticamente il Presidente, a dimostrazione che spesso “nessuno è più cinico di un idealista”.

Nel suddetto telegramma, il Governo del Kaiserreich ipotizzava un’alleanza, una promessa di aiuto economico e la restituzione al Messico degli ex-territori di Texas, Nuovo Messico e Arizona, persi durante la guerra Messico-USA del 1846-1848, o “guerra di Mr. Polk”; un conflitto che aveva privato il Messico di circa la metà del suo territorio e che era stato motivato unicamente dall’ansia espansionistica di una parte dell’establishment nordamericano. Oltretutto in tali territori era stata reintrodotta la schiavitù, già abolita dai messicani. 

Sino ad allora, dal 1914, gli Stati Uniti erano rimasti ufficialmente neutrali. Non si trattava, però, di una vera e sostanziale neutralità, in quanto gli americani erano i principali partners commerciali dell’Intesa ed il loro ruolo nell’approvvigionamento dei Paesi in guerra contro la Germania era fondamentale. Questo esponeva i loro convogli commerciali  agli attacchi della Marina da Guerra tedesca, particolarmente dei suoi sommergibili. Un caso che suscitò indignazione fu, nel maggio 1915, l’affondamentento del transatlantico statunitense “RMS Lusitania”, con 1198 passeggeri defunti, tra i quali 234 cittadini nordamericani.

In realtà il “Lusitania” trasportava anche materiale bellico, in spregio ad ogni norna sulla neutralità. Winston Churchill, Primo Lord dell’Ammiragliato e Ministro delle Munizioni di Re Giorgio V,  figlio della statunitense Jeanette «Jennie» Jerome, era sin da allora convinto che solo l’attivo intervento di Washington avrebbe salvato l’Impero Britannico e, da parte sua, era ben deciso a fornirgli un solido Casus belli.

Sappiamo che l’immane tragedia della Prima Guerra Mondiale venne innescata  dall’assassinio, a Sarajevo, dell’erede al trono dell’Austria-Ungheria, Francesco Ferdinando, e della consorte Sofia, da parte dell’estremista serbo-bosniaco Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914. Vienna mandò a Belgrado un duro ultimatum, appoggiata dall’alleato tedesco. La sua non-totale accettazione determinò, un mese dopo, la dichiarazione di guerra dell’Impero Austro-Ungarico al Regno di Serbia, il 28 luglio 1914, la mobilitazione russa (Potenza protettrice della Serbia) ed a seguire,  per la logica delle Alleanze, le mobilitazioni di Germania, Francia, Inghilterra e lo scoppio delle ostilità. L’Italia dapprima si proclamò neutrale, fino al 24 maggio 1915.

Il mattino del 30 luglio 1914, l’Imperatore Guglielmo II ricevendo la notizia della mobilitazione  russa scrisse a margine del messaggio: «Dunque, anch’io devo mobilitare». Alla richiesta della Germania alla Russia di revocare la mobilitazione, la Russia rispose che sarebbe stato impossibile. A questo punto Guglielmo II, nell’eccitazione del momento, scrisse a margine della risposta russa:

«Io non ho più alcun dubbio che Inghilterra, Russia e Francia si siano messe d’accordo  per servirsi del conflitto austro-serbo come pretesto per intraprendere una guerra di annientamento contro di noi. La stupidità e l’inettitudine del nostro alleato [austriaco] sono serviti da trappola. Ecco che il famoso accerchiamento della Germania è finalmente divenuto un fatto compiuto, nonostante tutti gli sforzi dei nostri uomini politici per impedirlo. Il nostro dilemma di tener fede al vecchio venerando imperatore [austriaco] è stato sfruttato per creare una situazione che offre all’Inghilterra il pretesto che ha sempre cercato per annientarci, con fittizia apparenza di giustizia, con la scusa di aiutare la Francia». 

Il Kaiser Guglielmo, pur impulsivo, contraddittorio e spesso fanfarone, aveva negli anni precedenti dato prova di moderazione, ad esempio circa le vicende del Marocco, tenendo a freno gli elementi del suo Governo e Stato Maggiore più convinti dell’inevitabilità di un conflitto armato. Quindi è falso che sia stata la Germania a provocare la WWI, semmai lo fu di più l’alleanza franco-russa, alla quale aveva poi aderito il Regno Unito. E nel 1919 non ci fu una prima “Norimberga” solo per il rifiuto dell’Olanda di consegnare agli anglo-francesi la Famiglia Imperiale degli Hohenzollern, rifugiatasi sul proprio teritorio.

Ma una volta che la parola era passata alle armi, s’impose la loro logica spietata, anche se, a dire il vero, il Kaiser, tra l’altro poco fiducioso nella vittoria finale, si era opposto ai bombardamenti aerei su Londra e, dopo l’affondamento del “Lusitania”, ordinò di sospendere tutta l’offensiva sottomarina, provocando le dimissioni (respinte) del Grande Ammiraglio Tirpitz. 

Il “Telegramma Zimmermann” fu quindi un inaspettato regalo agli interventisti di Washington. Ed una sciocchezza maiuscola. Il Presidente messicano, Venustiano Carranza, valutò le reali possibilità di una riconquista degli Stati ceduti a metà ‘800 e giunse alla conclusione che la cosa non avrebbe funzionato. Occupare i tre Stati avrebbe causato futuri problemi e la guerra sicura con gli USA; il Messico non sarebbe stato inoltre in grado di accogliere una numerosa popolazione di discendenza inglese all’interno dei suoi confini e la Germania non avrebbe potuto fornire gli armamenti necessari per le ostilità che sarebbero sorte. 

Il sentimento popolare negli Stati Uniti a quell’epoca era generalmente anti-messicano ed anti-tedesco. Il generale John J. Pershing aveva per lungo tempo dato la caccia al rivoluzionario Pancho Villa, che aveva compiuto diverse incursioni oltre confine. Era una grossa spesa per il Governo statunitense. La notizia del telegramma esacerbò la tensione tra USA e Messico, poiché una tale ipotesi avrebbe ovviamente ostacolato l’elezione di un nuovo Governo messicano più amichevole nei confronti degli interessi statunitensi.

Più rilevante, comunque, la circostanza che nei mesi precedenti l’intervento:

Nel momento in cui sulla scena della storia immense masse umane si autodistruggono, un piccolo numero di uomini radunati intorno al Presidente statunitense Wilson e al governo inglese contribuisce a orientare le decisioni. Insieme alle motivazioni ideali, la potenza dell’alta finanza svolgerà un ruolo importante nel portare gli Stati Uniti in guerra.  Tre banche di New York concentrano la maggior parte degli interessi finanziari statunitensi: la Kuhn Loeb and Company, prima banca mondiale; la J.P. Morgan (estensione americana della Rothschild londinese); la National City Bank (banca della dinastia Rockfeller). I loro dirigenti sono Benjamin Strong per la Morgan, Frank A. Vanderlip e Cleveland H. Dodge per la National City Bank, Salomon Loeb e i fratelli Warburg e Schiff per la Khun. Ad alcuni di essi Wilson deve tutto: la carica di Governatore del New Jersey nel 1910 e la “distruzione mediatica” del suo avversario repubblicano, William Taft, nella corsa alle presidenziali. E’ anche grazie a essi che il principale consigliere di Wilson, il colonnello House, ha potuto organizzare il Council for Foreign Relations (uno dei più antichi Think tank americani), al quale appartiene un altro influente consigliere di Wilson, Justice Louis Brandeis, Presidente del Comitato provvisorio sionista. Attraverso il Federal Reserve Act del 1913, Wilson ha dato a questi uomini ciò che essi attendevano da tanto tempo: una banca centrale per unificare il capitale americano. Ma il progetto degli “uomini del presidente” va ben al di là dell’unità del capitalismo a stelle e strisce. Si tratta in effetti di fare dell’America il motore di una nuova mondializzazione, fatto che implica la necessità di rompere con la regola del vecchio equilibrio di potenze e di favorire una riorganizzazione della geopolitica mondiale intorno alla finanza anglo-americana. Per alcuni si tratta anche di punire gli autocrati russi e di farla finita con l’aristocrazia austro-tedesca che ribadisce in ogni circostanza la supremazia del “guerriero” sul “mercante”… La fine del 1916 determina per gli Europei la conclusione di un processo evolutivo che si conclude con la perdita del controllo dei loro destini. Questa ‘perdita’ avviene per tre ragioni principali. In primo luogo, le promesse fatte dai belligeranti dei due blocchi alle potenze di secondo rango, per convincerle a entrare in guerra al loro fianco, hanno trasformato la conclusione del conflitto in una questione di sopravvivenza per diversi Stati multinazionali (Imperi Austro-Ungarico, Ottomano e Russo). In secondo luogo, la configurazione dei blocchi avversi compromette ormai ogni possibilità di pace separata. Da ultimo, qualsiasi nuova combinazione interna all’Europa sembra esaurita: una rottura dell’equilibrio delle forze non può condurre a un vantaggio decisivo per nessuno dei due schieramenti.  Di conseguenza, è a partire dal 1916 che i fattori esterni all’Europa prendono il sopravvento sui fattori interni; un fatto, questo, che determinerà l’intervento americano.                                  

                             (Da: Generale di Divisione Massimo Iacopi, 1917. Il grande gioco americano, http://win.storiain.net/arret/num170/artic3.asp).

Secondo il pensiero che s’impone a Washington, se gli Alleati trionfano è l’egemonia russa sul continente europeo. Se viceversa sono gli Imperi Centrali, la Germania e l’Austria-Ungheria, ad uscire vittoriosi si prospetta il giogo del militarismo tedesco. Oltretutto, storici nemici della Massoneria dominante a Washington sin dalla Dichiarazione d’Indipendenza del 1776. Per i più stretti collaboratori di Wilson occorre silurare da un lato la Potenza russa e dall’altro la Potenza tedesca. Il primo atto di questa politica consiste nel legare finanziariamente l’America e gli Alleati occidentali. Il secondo atto concerne la distruzione dello zarismo russo, attraverso il finanziamento della Rivoluzione. Numerosi sono i documenti che provano l’implicazione della finanza newyorkese nel crollo dello zarismo. Le somme messe a disposizione dei rivoluzionari russi, menscevichi e poi bolscevichi, sono considerevoli. Il 21 luglio 1917, qualche settimana dopo aver portato la nazione in guerra, Wilson scrive al suo consigliere, colonnello Edward Mandell House: 

«La Francia e l’Inghilterra non hanno sulla pace le stesse nostre vedute. Quando la guerra sarà finita noi li porteremo al nostro modo di pensare, in quanto in quel momento, tra le altre cose, essi saranno finanziariamente nelle nostre mani!».

In seguito alla dichiarazione di guerra, gli Stati Uniti cominciarono a inviare massicci rifornimenti di materiale bellico, materie prime ed approvvigionamenti ai loro alleati, Italia compresa. Fu solo nell’agosto del 1917 che le prime truppe americane arrivarono in Europa, al comando del generale Pershing. La mobilitazione totale coinvolse circa 4.000.000 di uomini. All’inizio del 1918, il corpo di spedizione americano riuscì a dislocare un milione di soldati in Francia. Saranno decisivi.

Le perdite americane, a fine conflitto, furono di circa 110.000 uomini, di cui metà falcidiati dall’influenza spagnola, dagli stessi statunitensi portata in Europa, che affretterà la fine delle ostilità, ma causerà più vittime di tutte quelle provocate dagli scontri armati. 

* già ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay

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Gianni Marocco*

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