Ritratti. Il radiocronista fascista Mario Ferretti, Coppi “uomo solo al comando” e Doris Duranti

Ferrettigiubilo-1«Voglio Ferretti, è stato ed è rimasto fascista, ma è  il migliore» (ricordo di Mario Ferretti, 1917-1977): parole di Vittorio Veltroni, padre di “Walter”, Segretario del PD dal 2007 al 2009, Sindaco di Roma,  Ministro e Deputato, leader storico della Sinistra italiana.

Vittorio Veltroni era un italiano di Libia, nato a Tripoli nel 1918. Diplomatosi al Centro radiofonico sperimentale  iniziò la carriera di giovanissimo funzionario dell’Eiar come cronista sportivo al Tour de France del 1937. Sua anche l’organizzazione delle celebri radiocronache della visita di Hitler in Italia, dal 3 al 9 maggio 1938, a Roma, Napoli,  Firenze, con radiocronache sue, di Cremascoli e di Ferretti. Veltroni firmò con Mario Ferretti – di cui ottenne, dopo l’epurazione, il rientro alla Radio nel maggio ’49 – anche alcune riviste per Renato Rascel e le sorelle Pinuccia, Diana e Lisetta Nava. Fu, tra l’altro, il conduttore, di Voci dal mondo (dal 1949), ideatore con Ferretti della Domenica sport nel 1951, con i maggiori radiocronisti del tempo, quelli che fecero per 30 anni la storia della radio e della televisione italiana nel campo sportivo. Domenica 6 giugno 1954 Veltroni commentò la prima trasmissione della futura Eurovisione. Morì a soli 37 anni.

Mario Ferretti,  nato a Novi Ligure il 9 agosto 1917, era figlio del presidente della Novese, Campione d’Italia di Calcio nel 1922. Divenne sin da piccolo molto amico di Fausto Coppi, allora garzone di salumeria.  Si trasferì poi a Roma perché il padre era stato nominato dirigente del CONI. Terminati gli studi liceali s’iscrisse alla facoltà di Farmacia. Nel 1939 partecipò ad un concorso indetto dall’EIAR per l’assunzione di un nuovo gruppo di giornalisti radiocronisti. Ferretti ebbe il lavoro, grazie anche al suo timbro vocale, caldo e gradevole.

Non era parente del famoso Lando Ferretti – nel 1924 deputato alla Camera nel “listone fascista”, Presidente del CONI, membro del Gran Consiglio, espulso dal PNF in quanto contrario alle Leggi Razziali ed all’alleanza con la Germania nel 1939; Senatore del MSI nel dopoguerra per tre legislature – e morirono nello stesso anno (1977).

Dopo l’8 settembre ’43 Ferretti lasciò l’EIAR per trasferirsi al Nord e lavorare per Soldaten Radio, una radio finanziata dai tedeschi, e Radio Tevere. Dopo il 25 aprile riuscì a nascondersi e sfangarla. Epurato, ma impegnato nel cinema e nel teatro di rivista, come autore e sceneggiatore, Ferretti dovette il suo rientro nell’Azienda di Stato all’intervento di Vittorio Veltroni: «Voglio Ferretti, è stato ed è rimasto fascista, ma è il migliore». Era il 1949, e Ferretti fece in tempo per seguire il Giro d’Italia, dividendo poi per alcuni anni la popolarità del vasto pubblico sportivo con Nicolò Carosio.

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Non è stata solo la più bella vittoria di Fausto Coppi. Forse è la più grande impresa nella storia del ciclismo. Quando Mario Ferretti prende la linea per la sua radiocronaca esordisce così: «Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi!». Nel frattempo, Bartali, ottimo scalatore, si stacca dal gruppo e tenta di riprendere l’avversario, che arriva al primo Gran Premio della Montagna con più di due minuti di distacco. In cima al Col de Vars diventano quattro e mezzo. Sul Monginevro Bartali è staccato di quasi sette minuti. Non si arrende: anche lui è solo nel suo inseguimento impossibile. In cima al Sestrière il distacco è ancora aumentato. E la progressione di Fausto Coppi continua fin sotto il traguardo di Pinerolo, dove arriva con un vantaggio di 11 minuti e 52 secondi. Due giorni dopo, a Monza, il Campionissimo vincerà il suo terzo Giro d’Italia. Un mese più tardi, a Parigi, il suo primo Tour de France. E quella non fu una tappa, fu “la tappa”, non ciclismo, epica.

Ferretti cominciò la sua carriera di radiocronista seguendo incontri di boxe, corse ciclistiche, partite di calcio, mentre componeva sketches per riviste goliardiche. Ebbe successo  con il “Perepepè”, preludio a “Invece, pure” (altro lavoro di Rascel), “Davanti a lui Tre Nava tutta Roma” e “Tre per tre Nava”, spettacoli fatti su misura per le  brillanti sorelle Nava.

Radiocronista dalla voce calda e vibrante

La sua popolarità maggiore gli venne dalle sue radiocronache di ciclismo. La sua voce era calda e vibrante, era un trascinatore. Alla Rai dicevano: “Coppi ha il radiocronista che si merita”. Ferretti era un grande tifoso del “campionissimo”, suo amico d’infanzia, e non lo nascondeva. Raccontava le vittorie di Coppi con una vena retorica che piaceva; sapeva trascinare all’entusiasmo e sapeva commuovere. Le sue trasmissioni avevano un indice di ascolto altissimo. Quando Coppi trionfava, la voce di Ferretti era più vibrante, concitata; quando Coppi perdeva, i suoi toni erano smorzati, la delusione di milioni di ascoltatori era la propria delusione di Ferretti.

«Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi!» fu ascoltata, ricordata e risentita, negli anni, un’infinità di volte, contribuendo ad alimentare la leggenda del corridore piemontese di Novi Ligure, «secco come un osso di prosciutto», secondo l’imaginifico Ferretti, in un’epoca, gli anni ’50, d’immensa popolarità del ciclismo. Ed altresì il fascino di Mario Ferretti, “tra donne, debiti, auto e mestieri vari”, un uomo d’avventura, generoso, trasgressivo ai limiti della spregiudicatezza, ricco di simpatia, di belle donne, di spericolate fuoriserie e dei mestieri più vari, come ricorderà “Il Tempo”.

Personaggio versatile e funambolo della parola, che faceva vivere ai radioascoltatori italiani il pathos delle gare ciclistiche.  Improvvisatore geniale, capace di reinventare la corsa come fosse in diretta in caso di problemi di collegamento, all’epoca non infrequenti.

Scrisse “La Stampa Sera” il 14 e 19 ottobre 1955, in due articoli non firmati:

Il “colpo di fulmine” di Mario Ferretti.

“Il radiocronista Mario Ferretti, la cui voce milioni di ascoltatori hanno udito per anni raccontare le gesta dei nostri campioni sportivi di ogni specialità, ha abbandonato improvvisamente, giorni fa, la famiglia ed il suo posto di lavoro per seguire, nella repubblica di San Domingo, l’attrice Doris Duranti, della quale da tempo era follemente innamorato”.

E successivamente: La “fuga” di Ferretti sembra un film giallo.

“Mario Ferretti, il noto radiocronista, è veramente fuggito nella Repubblica di San Domingo per unirsi all’attrice  cinematografica Doris Duranti, della quale è pazzamente innamorato, oppure si trova ancora in Italia e la notizia della sua fuga sarebbe stata divulgata ad arte per sfuggire momentaneamente a numerosi creditori che da tempo lo assillerebbero? Secondo alcune testimonianze attendibili si è più propensi a credere alla seconda versione, e cioè che egli si trovi nei pressi di Genova nascosto in casa di conoscenti… Il radiocronista avrebbe ad arte fatto divulgare la voce della sua fuga per poter fronteggiare i creditori”.

Doris Duranti

Mario Ferretti, lasciando moglie e figli, fuggì effettivamente a Santo Domingo con l’attrice Doris Duranti, da venti anni, dall’epoca dei “telefoni bianchi”,  una delle donne fatali e più disinibite del cinema italiano. In grado di far perdere la testa ad un uomo anche con 38 anni, con il fisico slanciato, i capelli corvini, un viso bello ed esotico. Una coppia da rotocalco. Mario Ferretti, il mitico radiocronista del Giro d’Italia, celebre tombeur des femmes, e la altrettanto mitica diva Doris Duranti furono effettivamente legati da  un’intensa (e breve) passione. Quella che poteva concedere una donna accreditata di un carattere battagliero, un demonio sin da ragazzina, che si autodefinirà orgogliosamente ne Il romanzo della mia vita (Arnoldo Mondadori Editore, 1987), “una libertina” e “scandalosa perché ho fatto quel che altre non hanno avuto il coraggio di fare, pur sognandolo. Per creare scandalo, in questo senso, occorre forza d’animo, durezza, volontà, egocentrismo”.

Duranti e Ferretti

Ricorre quest’anno anche il centenario (25 aprile) della nascita di Doris Duranti, livornese,  l’attrice più ammirata e pagata durante il regime fascista, l’«orchidea nera», amante del gerarca Alessandro Pavolini, Ministro della Propaganda e poi Segretario del PFR, uomo colto e mite; dopo il 25 luglio ’43 divenuto fanatico ed intransigente, il fondatore delle “Brigate Nere”, uno che cercò veramente, non solo a parole, “La Bella Morte”. Al momento dell’arresto di Mussolini, sul Lago di Como, Pavolini gridò: “Dobbiamo morire da fascisti, non da vigliacchi!”. Afferrato il mitra si lanciò quindi verso il lago, correndo e sparando. Inseguito dai partigiani, ferito in modo piuttosto grave, riconosciuto e catturato, fu fucilato a Dongo da Walter Audisio il 28 aprile 1945, ed il suo cadavere esposto il giorno dopo a Milano, a Piazzale Loreto, appeso con quello di Mussolini, Claretta ed altri gerarchi.

Doris Duranti apparteneva ad una famiglia importante dell’Ardenza; il padre le morì da piccola, sostituito dal fratello maggiore, l’avvocato, un gentiluomo che aveva una ventina d’anni più di lei. C’erano la mamma, due zie. Come varie attrici italiane di quel periodo di pellicole di ambientazione artificiosa, sofisticata, che non provenivano dal proletariato, ma dalla nobiltà (come Alida Valli o Assia Noris) o dalla buona borghesia. Infatti dovevano saper vestire, stare a tavola, parlare un buon italiano senza cadenze dialettali.  «Io nel fascismo stavo bene. Ero giovane. In ogni Paese uno deve comandare. Ma senza eccessi, senza sangue». «Non mi interessavo di politica. Ogni tanto ascoltavo la radio». «Pavolini non mi ha mai fatto regali. La sua generosità la esprimeva con la tenerezza, le poesie, i complimenti» (Aldo Santini, Il Tirreno, Livorno il 20 luglio 2001).

L’8 settembre l’attrice fu fermata dalle SS, accusata di essere ebrea (forse lo era per metà, forse no, non è mai stato chiaro; in ogni caso lei si attribuisce nelle sue memorie sangue ebraico), forse violentata, incarcerata per tre giorni. Riuscì a giungere da Pavolini, al Nord, stabilendosi prima a Venezia, dove la Repubblica Sociale Italiana intendeva ricostruire una piccola Cinecittà, e successivamente sul Lago di Garda. In vista della imminente caduta della Repubblica, Pavolini procurò alla Duranti un passaggio per la Svizzera: per convincerla la incaricò di portare dei documenti in salvo. Aiutata dal cugino Lorenzo giunse a Lugano. Quando lei aprì la valigia trovò un vestito di Pavolini. Un modo romantico e non privo di eleganza di dare un addio. Venne tuttavia incarcerata e, durante la detenzione, pare, la Duranti tentò di uccidersi tagliandosi le vene. Nel 1945 sposò il proprietario di un cinematografo di Chiasso. Poi lo abbandonò e si trasferì in Sudamerica, dove visse prevalentemente fino alla morte. Girò film fino al ’54 ed ebbe poi una particina in Divina creatura, regia di Giuseppe Patroni Griffi (1976).

America Latina approdo di sconfitti

L’America Latina è da sempre l’approdo degli sconfitti della vita e delle guerre. Ieri mazziniani, carbonari, comunardi, anarchici, poi sconfitti tedeschi, italiani, collaborazionisti dell’Asse; infine, piduisti, BR, Casimirri… O membri  del gruppo Proletari Armati per il Comunismo, come Cesare Battisti, condannato all’ergastolo con sentenze passate in giudicato, per quattro omicidi, oggi in Brasile. È stato scritto del Messico (ma vale per quasi tutto il subcontinente) che è il rifugio degli sconfitti di tutte le guerre, perché i suoi eroi, i miti tramandati, sono sempre dei vinti. Per questo i chilangos (abitanti di Città del Messico) hanno sempre dimostrato un grande rispetto per la “nobiltà degli sconfitti” e un disprezzo viscerale  per l’ “arroganza dei vincitori” (Pino Cacucci, La Polvere del Messico,1996).

Sulle vicende del Ferretti in Sudamerica i pareri non sono concordanti. Secondo alcune fonti egli divenne, con il tempo, uno dei più popolari radiocronisti, salutando, infine, una vita ricca di contraddizioni, di successi e di cadute, nel 1977, sessantenne, in Guatemala.

“…egli divenne subito, anche lì, un personaggio molto popolare. Vissero insieme a Santo Domingo, dove aprirono il ristorante Vecchia Roma. Successivamente, dopo la separazione dalla Duranti, Ferretti si stabilì in Guatemala, dove riprese la sua attività di giornalista e radiocronista. Nel Paese centro-americano riconquistò in poco tempo fama e ricchezza, sposò una donna dominicana e fondò una stazione televisiva, una radio ed un giornale; aprì anche una agenzia pubblicitaria ed un ristorante. Nel 1977 venne ricoverato all’ospedale di Città del Guatemala per un intervento alla cistifellea: venne però curato male e non si risvegliò dall’anestesia” (Wikipedia).

Secondo La Stampa del 10 maggio 1977:

“E’ mancato Mario Ferretti, il radiocronista di Coppi. Mario Ferretti, il noto radiocronista della Rai degli Anni 40 e 50, è morto, venerdì scorso, a Città di Guatemala, in seguito ad un delicato intervento chirurgico alla prostata. Aveva sessanta anni, viveva ormai lontano dall’Italia dal ’55, quando si era trasferito a Santo Domingo in compagnia dell’attrice Doris Duranti. Aveva continuato a lavorare nelle stazioni radio-televisive locali, raggiungendo una popolarità pari a quella toccata in Italia, quando raccontava a milioni di ascoltatori le imprese di Fausto Coppi. Cominciò a scrivere su vari settimanali”.

Secondo altri, proscritto dalla RAI, deceduto precocemente Vittorio Veltroni di leucemia,  nel 1956, con l’adulterio e l’abbandono del tetto coniugale ancora considerati delitti penalmente perseguibili in Italia Mario Ferretti si smarrì nei Caraibi sbarcò a fatica il lunario, “fallì come albergatore, morì di desolazione e di solitudine, occupandosi di una televisione aperta per prova dai nordamericani a Managua” (Gianfranco Venè, Vola Colomba,1990).

Claudio Ferretti, suo figlio, divenne uno dei radiocronisti sportivi più noti della Rai, anch’egli amando molto  il ciclismo.

*già ambasciatore in El Salvador e Paraguay

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Gianni Marocco

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