Giappone. Restituire l’esempio: Mario Vattani ne “La Via del Sol Levante”

La-via-del-Sol-Levante-il-libro-di-Mario-VattaniL’ultima opera di Mario Vattani si scrive su La Via del Sol Levante. È un viaggio nell’eroismo della memoria, dentro la cornice di una natura ospitale e nel ritrovato di un giardino che si fa dono nell’esempio da restituire

In seguito alla scoperta di una Tokyo avvolta in una dimensione voluttuosa quanto oscura con il romanzo Doromizu – Acqua Torbida, edito da Mondadori nel 2016, l’autore Mario Vattani, sotto una volta del tutto diversa, coinvolge nuovamente il lettore sul filo del Giappone. La via del Sol Levante, da poco pubblicato da Idrovolante Edizioni, figura un penetrale viaggio nel profondo Nord-Est del paese all’origine del sole. Il cammino, in sella a una italianissima Ducati bianca, prende inizio nella primavera del 2004 e nel tempo di due settimane si svolge tutto dentro la fulgidezza di un verso circolare. Nel nome di Pegaso, un canto su due ruote si scioglie fluidamente in sentieri, percorsi e strade che conferiscono al viaggio ulteriori estensioni.

La prima, quella storico geografica, scopre lo scrittore nella veste meravigliata di un esploratore. Lasciandosi alle spalle il fragore di una Tokyo futuribile, la via si perde nel verde della natura, nell’operosità delle risaie e nella compostezza delle case di campagna; un’armonia dove si accomoda l’autore nell’inno di un unico imperativo: vedere, conoscere, volere, provare. E in corso di questa prima dimensione, capita che sia già tutto predisposto a siffatta consegna. Unitamente allo spirito guida di Yukio Mishima nel manto stradale e nel pensiero teso alla scrittura, Vattani, sulle tracce del battaglione Byakkotay, i samurai della Tigre Bianca, giunge sull’Appennino di Aizu Wakamatsu. Un breve antefatto, ossia l’incontro con un anziano signore alla stazione di Aizu, si fa profezia di una scoperta che marchia fatalmente il viaggio nell’inclinazione della memoria storico geografica. Nell’attraversare il sepolcro, simbolo dell’eroismo di diciannove giovanissimi samurai, morti nell’onore della guerra civile Boshin del 1868, lo stupore si incammina velocemente in un ritrovato dai tratti peculiarmente occidentali. La prima reazione cede alla delusione di un approccio a un’entità estranea alla solennità del luogo. Ma il viaggio è anche analisi di quel primo demotico disincanto; quella forma dapprima avulsa, rivela invero una vicinanza pressoché intima tra il Giappone e l’Italia. Il rudimento sconosciuto figura una colonna di marmo del 1928 che reca un’incisione di non poca importanza:

Nel segno del littorio, Roma, madre di civiltà, con la millenaria colonna testimone d’eterna grandezza, tributa onore imperituro alla memoria degli eroi di biaccotai. 1928, Anno VI EF.

Se il marmo custodisce un cuore è proprio in quell’istante che batte all’unisono con quello dell’autore, che ora incede in un fiero ricognitore. La colonna si salda al respiro di Mishima e congiuntamente, determinano altresì il viaggio; la scoperta di una corda tutta italiana che si lega al Sol Levante. Lo stesso legame investe l’ideatore del volo Roma-Tokyo, caro a D’Annunzio e divulgatore della poesia giapponese in Italia: Harukichi Shimoi. Con Shimoi, le giapponeserie, in vista nella bottega della signora Beretta in via Condotti, metafore illusorie di una certa credenza, si dissolvono per divenire cultura, realismo e stima di una nazione non riducibile nell’errore del japonisme. Un travisamento, che trascura per intero il Giappone moderno, presunto nell’immaginario genuino, solo come luogo di scatole in lacca, paraventi e stoffe. La prima inclinazione nel verso storico del viaggio si descrive nella fotografia di una matrioska: un sentiero che ne contiene tanti altri.
L’altra dimensione che avvolge lo scrittore è quella armonica, all’interno la natura si erige a cornice di tutta la storia. Un lene creato di mare, pioggia e verde dialoga con l’elemento umano, sino a una compiuta fusione. L’individuo fluisce con il cosmo, la natura si concede senza riserve in quella Via del Sol Levante che è tradizione, eroismo e acqua.

Tutto inizia con l’acqua.
Mi rialzo e porto lo sguardo tutto intorno, la lunga strada solitaria, le colline verdi, le montagne. Quanta acqua in queste isole. Questa costa infinita, i canali fino al porto, i fiumi ampi e poco fondi, le sorgenti e poi le cascate, l’acqua bollente che sgorga dalle rocce vulcaniche, l’acqua che tutto purifica e che tutto feconda.
L’acqua pura.

Acqua come arché alla maniera di Talete, il cominciamento principe del mondo. L’elemento che dal Giappone torna al VI sec. a.C. alla scuola di Mileto e a quel flusso che acconsente alla vita. Il viaggio si espande nel festeggiamento dell’acqua, quella di un temporale improvviso, la stessa dei vapori rigeneranti di una sauna o di una magica brina mattiniera. La scena è tutta di natura; silente, fatata e suggestiva. Il vapore serba una propria vita e nell’afferrare vigoria, tira via l’eccedente, lasciando solo purezza. L’acqua purifica e assolve dai plumbei fardelli mentali.

Nell’acqua si sciolgono i dubbi, scompaiono occhiali, parrucche, sigarette, sigari e pipe. le protesi degli arti e le protesi della mente, le illusioni.

Capita che si tenti di decidere il verso di un viaggio e in quel vedere, conoscere, volere e provare, l’autore attraversa due guerre, i legami tra le nazioni e la natura avvolgente per giungere infine a se stesso. Poiché nell’attraversare si lascia valicare e vede, conosce, vuole e prova per la prima volta il sapere del giardino Ryoanji. È il primo assaporare un gusto appreso, ma mai goduto nell’isolamento; quell’inaugurare se stesso nel modo inatteso di un posto: tora no ko watashi – l’attraversamento del tigrotto. Di fatto anche il giardino si fa viaggio:

Ma se lo si guarda come un percorso, allora la cosa importante sono gli spazi vuoti. Quell’attraversamento è un’avventura, ma solo per chi sceglie di viverla. È un cammino, ma solo per chi vuole seguirlo. È una via, ma solo per chi decide di intraprenderla. E quello che conta non sono le isole, sono gli spazi vuoti che le separano.

Il viaggio di Mario Vattani inizia con La Tigre Bianca e termina con la Tora, il tigrotto: il cerchio è infine scolpito in queste pagine di ricerca, storia, spiritualità ed eroismo. Ardimento del battaglione Byakkotai, valore degli aviatori italiani Guido Masiero e Arturo Ferrarin, animo di tanti nomi omaggiati da un autore che nelle ultime pagine regala, mediante il varco di un giardino, un nuovo afflato alla voce dell’esempio:

Bisogna restituire l’esempio. Bisogna farlo per rispetto, per la compassione, per l’amore di chi ha seguito quel percorso prima di noi. Bisogna farlo trasformando in parole quello che ci raccontano quei petali leggeri, se è vero che sotto le radici di ogni ciliegio dorme un soldato. Bisogna restituire la voce agli spiriti eroici.

Banzai Italia, Banzai Giappone, Banzai Vattani: sbaldore su La Via del Sol Levante.

*Mario Vattani, La Via del Sol Levante – Un Viaggio Giapponese. Idrovolante Edizioni, 2017, pag. 226

@isabellacesarin

Isabella Cesarini

Isabella Cesarini su Barbadillo.it

Exit mobile version