Artefatti. “La metafisica della puttana”, alla ricerca di un rifugio che non c’è

mdp1“L’arte è prostituzione”, Baudelaire lo sosteneva molto prima che (l’arte) diventasse un’industria pornografica, sostituendo di fatto l’ambiguità con la meccanica della riproducibilità. Ora, con la malsana intenzione di alimentare certa altezzosa francofilia, prendiamo in esame un libro di recente uscita, per lo meno nella traduzione italiana datata 2017, che con quella sentenza ha parecchio a che fare. Metafisica della puttana, dello scrittore belga Laurent de Sutter, pubblicato in pregevolissima edizione dai tipi Giometti & Antonello – Macerata, rinverdisce quella pratica tutta parigina di mescolare le carte, cazzeggiando amabilmente in sincretico rotacismo, ai limiti dell’esercizio stilistico. Il titolo stesso del volume somiglia parecchio ad un ossimoro, soppesando come assai lontane tra loro le parole Metafisica e Puttana. Sutter s’incarica di smentire questa deduzione, riuscendoci grazie alla lezione dei suoi padrini intellettuali. Ascendenza antiaccademica, affabulazione dotta, gusto per l’indagine negli intrichi borderline, nuzialità d’intenti antiborghesi con illustri predecessori: Derrida, Blanchot, Baudrillard, Deleuze, Klossowski; insomma, quel cenacolo di menti sparse, che provarono a scardinare i dogmi del vecchio filosofare – vieppiù legati al superamento del materialismo marxista – connettendo il pensiero scritto al cinema, alla poesia, alle arti, alla politica e alla mondanità. Memorie e pose sessantottine, certo, ma col gran merito di aver traghettato, ad esempio, Nietzsche e Heidegger dal tugurio degli impresentabili alla categoria dell’attualità.

Il brillante Sutter, che sulla carta filosofo non è, arrangia in un centinaio di pagine il ritratto della puttana, quale archetipo sottendente la ricerca della verità. Non La Verità, sarebbe chiedere troppo in epoca di nichilismo barocco, ma la sua posa simulatoria, qualcosa di sfuggevole avente a che fare con il desiderio e con l’illusione necessaria per soddisfarlo. Una sorta di verità in sospeso, dunque, qualcosa di simile al dolce a fine cena o alla sigaretta, la tentazione viziosa di un prolungamento artificiale del piacere, fino a varcare la soglia del lecito. Per sostenere la tesi di una stretta relazione conflittuale tra Realtà (il bordello generalizzato della nostra epoca, dove tutto è merce in vendita) e Verità (andare a puttana, sborsando denari senza ricevere altro che una suggestione d’appagamento), lo scrittore francofono scomoda, oltre a Baudelaire, Jean-Luc Godard, Alban Berg, Jean Genet, James Joyce, Charles Bukowski, Chester Brown ed altri, costruendo abilmente cinque variazioni sul tema, cinque pertinenti sitcom che collegano abissi ad amenità, finzione e sincerità. Grazie alla scrittura intensa ed efficace, Sutter propone al lettore una serie di ragionamenti nulla aventi a che fare con la sociologia, men che meno con quelle menate femministe, emancipatorie, delle quali non si ha certo nostalgia.

La puttana, quindi – o coquette, giammai il burocratico e poliziesco prostituta – è qui il catalizzatore illegale del desiderabile, ipotesi di transfert dal poltronesco mondo borghese all’incerto reame dei pericolosi sogni. Tutti a pagamento s’intende. Il patto fiduciario tra sconosciuti, quello tra cliente e mignotta siglato dal denaro, è teso ad alimentare artificialmente una ricerca vana da parte del primo, sensata solo in quanto ricerca – giacché il vero piacere è nelle intenzioni e non nell’atto consumato – e destinata a sbattere conto una porta chiusa: quella della camera del bordello a fine rapporto, quella degli irraggiungibili, inaccessibili, sentimenti della donna. Colei che non bacia. Esattamente ciò che intendeva Baudrillard con la frase “L’oggetto non è che la parte alienata, la parte maledetta del soggetto” (Les Stratégies fatales, 1983), alla quale fa eco popolare De André, ne La città vecchia, coll’impietoso “diecimila lire per sentirti dire micio bello e bamboccione”. Volendo estendere il dominio “metafisico”, edulcorandolo in società, potremmo pensare ai motivi che spingono un avventore a prediligere un bar piuttosto che un altro; facile che ciò dipenda dalle grazie della cameriera, alle varianti della scollatura, all’inganno dei sorrisi. Ci si ubriacherà lì, non altrove, per il piacere d’essere blanditi, per trovare la verità nel conto da pagare, ma soprattutto nel posticipo, sempre perpetuato, dell’impossibile incontro privato. Fuori dai ruoli, senza l’ostacolo del bancone a frapporsi, la magia è destinata a svanire. Come a teatro, come a puttane.

”Il più falso del falso, il più nascosto del nascosto”, ancora rammentando Jean Baudrillard, può ben collegarsi a quest’altra frase di Sutter: “Il principio della civetteria è il puro lusso: è il principio che fissa il prezzo di qualcosa che ne è privo”. Il refugium peccatorum della verità è dunque la camera segreta della puttana, laddove va in scena l’aporia perfetta: “la donna che lascia credere di essere disponibile, ma presenta sempre un’ultima segreta restrizione della propria anima, che si limita a far immaginare. È questo quasi-niente sottratto alla possibilità del possesso ad essere oggetto del desiderio, e quindi causa dello sconvolgimento da esso prodotto – perché esso corrisponde a ciò che non avremo mai”. La superficiale riduzione ad oggetto comprabile della passeggiatrice, esposto nelle “vetrine” stradali dei bassifondi, induce il merlo (ovvero l’imminente cliente) a muoversi circospetto, in quanto pellegrino nei reami dell’immoralità, ma altresì tracotante grazie al denaro col quale spera di ottenere sempre più di quello che in realtà la puttana gli concederà. Per l’autore dunque, la metafisica del titolo sta esattamente in questo scarto, nell’incontro impossibile tra desiderio del soggetto ed evanescenza dell’oggetto, che tale non è in quanto altro soggetto, che a sua volta tenderà a sottrarsi, ad eludere, per alimentare il desiderio. Circolo vizioso.

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Donato Novellini

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