Cinema. “Resident Evil: The Final Chapter” divertissement per appassionati della saga

Il poster di Resident Evil, l'ultimo film della saga
Il poster di Resident Evil, l’ultimo film della saga

Il film riparte dagli eventi subito dopo Resident Evil: Retribution (2012). L’Umanità è in ginocchio dopo che Alice è stata tradita da Wesker a Washington D.C. Unica sopravvissuta di quello che doveva essere l’ultimo conflitto tra uomini e zombie, Alice deve tornare dove l’incubo è cominciato: a Raccoon City, qui la Umbrella Corporation sta radunando le sue forze per sferrare il colpo decisivo ai sopravvissuti all’apocalisse causata dal Virus T.

In una corsa contro il tempo, la donna si riunirà a dei vecchi amici, trovando inoltre un alleato improbabile per una battaglia piena d’azione contro orde di non morti e nuovi mostri mutanti. Questa sarà l’avventura più ardua per Alice, destinata a combattere per salvare ciò che resta del Genere Umano, ormai sull’orlo della estinzione.

Sesto e ultimo capitolo, ma non ne siamo, come vedremo, poi tanto sicuri, della saga diretta dal britannico Paul W. S. Anderson, Resident Evil: The Final Chapter rappresenta la quintessenza di quello che la critica anglosassone definisce: primal enjoyment. Non è certamente la prima volta che ci capita di usare tale definizione, che abbiamo, forse, per primi “importato” nel Belpaese. Vero è, che persino tali pellicole disimpegnate non dovrebbero mai rasentare la stupidità. Un momento di puro svago, quale esse sono, non può comunque irritare l’intelligenza dello spettatore. Purtroppo, tranne il primo e proprio quest’ultimo episodio, Resident Evil ha spesso sconfinato nella inutilità. Ciononostante, da anni seguiamo le gesta di Alice con spensierato oblio delle nostre facoltà mentali, tanto che possiamo affermare di essere degli appassionati della saga. Ragion per cui, malgrado i suoi enormi limiti, nutrivamo delle, seppur minime, aspettative da un film che avrebbe finalmente detto la parola fine sulle vicende apparse per la prima volta nel mitico e omonimo videogioco survival horror ideato nel lontano 1996 dalla nipponica Capcom. Tutto andava per il meglio sino all’ultimissima scena, eravamo soddisfatti, ma qualcosa ci ha innervositi oltremisura.

La pellicola si apre con una utile e non noiosa ricapitolazione. Del resto, di un prodotto si tratta, non di una opera cinematografica vera e propria, e, quindi, anche chi non avesse visto le prime cinque “puntate” deve essere messo nella condizione di seguire la storyline, mutuando il linguaggio dei cinéphile nostrani, notoriamente esterofili e che sembrano ignorare il termine “trama”. Il film, assai meglio di quelli che lo hanno preceduto, si rivela quale una roboante post-apocalisse per eccellenza. In questo, sinceramente, Resident Evil ha ben pochi rivali.

Anderson comincia alla insegna del “fracasso” e da questo non si muoverà più. Mai un minuto di pausa, tantomeno di silenzio e riflessione. Ottimi effetti speciali, i quali non sono effettivamente così valorizzati dal 3D; come sogliamo dire: “se ne poteva fare a meno”, così da non dover indossare quegli occhialetti, anche poco igienici se la vogliamo dir tutta, che fanno apparire sì le persone in sala come degli zombie. È bene chiarire ancora una volta come il buon primal enjoyment sia sciocco, ma non deve tradursi in roba per lobotomizzati.

Formalmente il film è persino bello, con alcuni esterni ispirati, che volano più alto di quello che solitamente ci propinano questo tipo di pellicole. Vi è, nondimeno, una grave pecca nella regia. Sarebbe a dire, che la totale confusione nelle scene di azione rende quasi inintelligibile ciò che accade; tanto per capirci, chi colpisce chi? Qui, Anderson  incappa nello stesso errore commesso da Michael Bay nella sua costosissima saga robotica Transformers. Davvero curioso, giacché questo è generalmente il difetto dei cineasti americani; gli inglesi, quando si cimentano col genere, danno sovente prova di avere maggiore sobrietà. Milla Jovovich, moglie di Anderson, resta coerente con un personaggio che interpreta più che discretamente.

Tirando le somme, Resident Evil: The Final Chapter è l’“apoteosi della caciara” e va bene così, altro non volevamo. Si sa che in questo “piacere basilare” è necessario non porsi troppe domande, sposando quella “sospensione della incredulità” (suspension of disbelief), coniata da Samuel Taylor Coleridge nella sua Biographia Literaria (1817). Una cosa ci sentiamo di aggiungere ancora, ricollegandoci al nervosismo a cui abbiamo accennato in apertura, non temendo di fare alcun spoileraggio: orripilante neologismo dall’inglese e che ormai troviamo nel lessico dei suddetti cinematografari di professione. Dunque, riteniamo – specialmente in virtù del titolo stesso del film – altamente scorretto il volersi tenere una “porta aperta” al termine della storia… non sia mai che ne venisse fuori l’ennesimo episodio! Va da sé che il danaro tutto corrompe, ma che si abbia come minimo un po’ di riguardo verso il pubblico. Pertanto, Resident Evil: The Final Chapter è da considerarsi o meno la conclusione della saga? Non ci è dato sapere, e Alice sembra proprio non voler andare in “pensione”. Fosse solo per questo, nel lasciarti con un dubbio tanto grave, Anderson meriterebbe uno zero in pagella. Eppure, essendo, come detto, questa serie di pellicole essenzialmente un prodotto, senza un suo perché, allora la colpa del regista si attenua di molto. Un “polpettone”, ben fatto, apprezzabile per chi segue da sempre le nefandezze compiute dalla Umbrella Corporation.

@barbadilloit

Riccardo Rosati

Riccardo Rosati su Barbadillo.it

Exit mobile version