Il caso. Rileggere la storia dell’Italia del 1977 per interpretare i nostri giorni incerti

Scontri di piazza a Milano nel 1977
Scontri di piazza a Milano nel 1977

Cosa avvenne in quel lontano 1977? In tv terminò Carosello. Il malessere sociale esplose. Gli studenti crearono un movimento di protesta che durò mesi; Roma e Bologna furono assediate. Il sangue fu versato nelle strade: morirono Francesco Lorusso e Giorgiana Masi. I servitori pasoliniani dello Stato Settimio Passamonti e Antonio Custra perirono. Morì un fascista. Nel 1977 crivellarono Angelo Pistolesi. Era dicembre. Gli scontri primaverili erano terminati, ma l’odio no. Pistolesi era un ragazzo perbene. Voleva fare politica in quell’Italia in crisi, in un paese bagnato dal sangue nero, dal sangue rosso. Quell’anno in cui i partiti generarono un carrozzone chiamato arco costituzionale – tutti insieme dal Pci al Pli -, quell’anno reclama un’analisi dopo quattro decenni. Nelle librerie, pertanto, arrivano dei saggi che ricostruiscono delle vicende storiche, anche per creare un parallelismo con il nostro presente segnato dalla crisi.

I ricordi del 1977

Avevo quattordici anni nel 1977. Ricordo i telegiornali sulle rivolte studentesche: le proteste per il comizio di Luciano Lama a Roma. Osservavo i ragazzi più grandi, quelli che andavano in piazza con il tricolore, quelli che ritenevano la politica imbalsamata, quelli che a Destra discutevano di ecologia. Gli storici spiegano che in quegli eventi vi era voglia di libertà. E c’era una voglia che faceva accendere le radio per le prime trasmissioni delle emittenti private. C’era un ribellismo che affermava che la mentalità novecentesca avesse fatto il primo passo verso la fine del suo ciclo storico. Pure i ragazzini facevano politica per chiedere una realtà creativa in un panorama grigio. Per tale creatività generazionale, nascevano riviste giovanili graffianti; si celebrava il solstizio come segno di purezza; i 270 bis cantavano canzoni alternative; Lucio Battisti o Ivan Graziani musicavano la loro libertà distanti dalla realtà omologata.

La libertà declinata con versi di d’Annunzio

Per altro e per un esempio minimo personale, la voglia di libertà mi spingeva a recitare i versi di d’Annunzio in faccia ad un severo professore marxista; e mi costarono tanto quei versi italici alla fine del mio anno scolastico! Ora il 1977 è molto lontano, tuttavia, rimane vicino in quanto gli italiani chiedevano ieri e chiedono oggi nuove prospettive sociali, la fine degli inciuci politici, mentre la crisi frustava e frusta. Ecco l’eredità di quel tempo storico: la voglia di un cambiamento che poi non si realizzò. Invece arrivò il rifiuto dell’impegno politico e il ritorno al privato. E il paese, che venne dopo, fu un’altra Italia con gli anni ottanta e l’edonismo berlusconiano.

A quattordici anni la realtà appare complessa. Non accettavo perché l’indossare camperos e Ray Ban  fosse una provocazione. Perché politici intelligenti ed onesti, come Tatarella e Di Crollalanza, non governassero la mia città, mentre altri politici, sbiaditi e incapaci, liquidavano il decoro pubblico. È giusto inquadrare il 1977 studiando i fascisti e i comunisti, per riscoprire una realtà storica da tutte le parti, per fare i conti con la memoria di un anno terribile. Per non tornare allo scontro tra le generazioni: uno scontro che, dopo quattro decenni, diventa pericoloso oggi. In tanti siamo figli di quel 1977, di quella voglia di cambiare, di quella protesta nera, di quella protesta rossa.

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Renato de Robertis

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