Calcio. Il City spende 300mila euro per un 13enne. Così non si difende il talento

20091227_sheikh-mansour-bin-zayed--001Spendere 300mila euro per un ragazzino di 13 anni non è certo la mossa più azzeccata. Ma dato che lo sceicco Mansour, qualche anno fa, s’è schiantato in testa l’idea di coltivarsi i talenti in casa (stile Barcellona, stile cantera, stile retorica catalana) il Manchester City ha deciso di scendere con prepotenza nel mercato delle stelline che emanano i loro primi raggi.

I Citizens hanno comprato, come riporta la Gazzetta, il giovanissimo Finley Burns dal Southend United, gloriosa fucina di campioni. Il costo dell’operazione è di duecentomila sterline sull’unghia. Che se poi il piccolo si conferma fenomeno, altre 50mila andranno nelle casse del club di provenienza. In tutto, trecentomila euro. Che rapportate alle lire fanno seicento e rotti milioni. E non è peregrino il raffronto, ecco perché.

IL CASO SARNO

Vincenzo Sarno aveva undici anni quando il suo viso fresco e gioioso di ragazzino vissuto nel culto devoto e obbligatorio di Diego Armando Maradona veniva acquistato dal Torino. Per centoventi milioni di lire. Era un fenomeno, nel 1999. La notizia esplose sulla stampa sportiva e tracimò ovunque, persino sui rotocalchi per gentili signore e il salotto di Bruno Vespa. Ma il calcio travolge, innalza, stritola, mastica e digerisce come un Moloch scintillante. E Sarno non divenne né il nuovo Pibe e nemmeno il nuovo Lentini. Passò alle giovanili della Roma e poi lo lasciarono partire per la Sangiovannese. Latitò, lo lasciarono sperdersi nelle serie minori e poi se ne scordarono. Oggi il suo cartellino vale un miliardo, cinquecentomila euro (fonte Transfermarkt) e s’è stabilizzato a Foggia dove s’è ritrovato.

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SOGNI INFRANTI?

Vale la pena spendere tanti soldi, sconvolgere la vita di un ragazzo per scommessa e darlo in pasto ai giornali di tutto il mondo? Boh. Qualcuno potrebbe citare Leo Messi e a ‘sto punto si dovrebbe rispondere chiedendosi che fine ha fatto Mastour (sta in Olanda, allo Zwolle dove non s’è proprio ambientato e non significa che per questo sia finito come sussurra qualcuno) oppure le decine e decine di ragazzetti a cui hanno promesso mari e monti e si ritrovano oggi a giochicchiare in terza categoria.

Però una certezza c’è: difendere i talenti dovrebbe essere un dovere di chi ama il calcio. Speculare, pomparli, spremerli e poi gettarli via al primo infortunio, al primo errore, alla prima scesa di testa, sarebbe un’infamia. Di cui questo calcio, purtroppo, si macchia fin troppo spesso.

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Wim Kieft

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