Libri. “Sul senso della storia” di Giorgio Locchi, una lettura tra Wagner e Nietzsche

thomas-cole-distructionPolitologi e commentatori, anche alla luce del sorprendente risultato delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, hanno affermato che qualcosa di nuovo si sta manifestando nel mondo: la messa in discussione del sistema politico-economico prevalso al termine del secondo conflitto mondiale. Tale situazione costringerà inevitabilmente le intelligenze antagoniste ad operare per costruire l’azione politica atta a ribaltare lo stato presente delle cose. Imprescindibili indicazioni possono trarsi dalla lettura di un recente volume del filosofo Giorgio Locchi, Sul senso della storia, da poco nelle librerie per la casa editrice AR (per ordini: info@libreriaar.com, euro 12,00). Il libro raccoglie due scritti di Locchi. Il primo pubblicato nel 1981 con il titolo Uber den Sinn der Geschichte, nel volume curato da  Pierre Krebs, Das unvergängliche Erbe. Alternativen zum Prinzip der Gleichheit (nell’edizione italiana, Sul senso della storia) per la prima volta edito nella nostra lingua, il secondo uscito nel lontano 1988, sulla rivista La Contea. Il volume è arricchito da saggi di Valerio Benedetti, Giovanni Damiano e Adriano Scianca.

Giorgio Locchi

Il messaggio di Locchi, per un certo periodo vicino a de Benoist e alla Nuova Destra, è rimasto purtroppo pressoché inascoltato, come ricorda Damiano, curatore del volume, per l’idiosincrasia mostrata dalla “destra” culturale nei confronti della filosofia. Locchi presenta la nostra epoca spenglerianamente: viviamo anni decisivi, carichi di destino, in quanto in essi giunge a conclusione un conflitto di civiltà che contrappone la visione egualitarista del mondo a quella sovraumanista. L’origine della prima si perde nella notte dei tempi. E’ storicamente ascrivibile all’irruzione della concezione ebraico-cristiana che, attraverso un processo di progressiva immanentizzazione del proprio eschaton, si è perpetuata nelle filosofie della storia moderne. Illuminismo, hegelismo, marxismo non sono, pertanto, che i diversi volti di una medesima idea: “L’immagine della storia dell’egualitarismo è sempre escatologica: il tempo della storia viene sempre concepito come unidimensionale e rappresentato come segmentario” (p. 23). La storia è valutata negativamente, il suo senso va colto nel suo annullamento finale. L’essere dell’umanità è posto oltre la storia: nell’altro regno cristiano, nella società senza classi del comunismo. In ogni sua “immagine” la storia resta, così, una maledizione di Dio, risultato di una colpa, di una caduta.

La visione sovraumanista, al contrario, il cui sorgere Locchi attribuisce al pensiero “mitico” del duo Wagner-Nietzsche e la cui ripresa novecentesca più significativa è attribuibile ad Heidegger, fa della “storicità” il tratto caratterizzante l’uomo: “solo l’uomo ha storia, poiché solo l’uomo è un essere storico, e anzi si può dire che solo la sua storicità lo rende veramente uomo” (p. 13).  Heidegger dice della “temporalità autentica” contrapposta a quella “inautentica”, che relega l’Esserci al dominio impersonale e sociale del “Si”.  L’autentica è costituita da un tempo tridimensionale nel quale le tre “estasi”, passato, presente e futuro, si dispiegano nel luogo “spaziale” della storia, l’uomo, quarta dimensione dell’istorialità: “Il passato non è stato una-volta-per-tutte-nell’eternità, ma in ogni presente viene per così dire messo in discussione, de-composto e ri-composto” (p. 37).  Come Nietzsche scrisse nello Zarathustra : “Ad ogni momento l’Essere ha inizio…Il centro è ovunque” (p. 33). Mentre la visione egualitarista della storia è ben rappresentata dalla linea, dal vettore, dall’idea di progresso, il “ciclo” non manifesta correttamente la storicità autentica, in quanto è riducibile ad una “linea curva”, un vettore con la direzione invertita di segno. Solo la sfera, per la sua tridimensionalità, è atta a tanto.

Locchi sostenne che la contemporaneità offre allo sguardo dell’osservatore il confliggere di due tendenze antagoniste, l’egualitarista nella sua terza fase di sviluppo, e la sovraumanista, che vivrebbe la sua fase “mitica”. Quale l’esito di tale scontro? Impossibile dirlo. La scelta storica, in quanto inesausta possibilità, è sempre appesa alla libertà. E’ ipotizzabile tanto la fine della storia, quanto un Nuovo Inizio, la Tradizione come meta cui tendere, in quanto nella storicità autentica ogni Io “rende disponibile la totalità della storia” (p. 37). Non esistono né un passato né un futuro prestabiliti. Coglie l’essenza del pensiero di Locchi, a nostro parere, Giovanni Damiano nel definirla filosofia dell’evento dell’origine (al minuscolo!), poiché memore della distinzione introdotta da Heidegger in Essere e tempo tra Tradition, “tradizione subita” e Uberlieferung, “tradizione scelta”. Solo quest’ultima porta a conciliazione la fedeltà alla tradizione e l’assunto rivoluzionario, vera e grande sintesi tentata dai fascismi.

Condividiamo la prospettiva di Locchi, anzi la riteniamo cruciale. Crediamo, però, che l’idea di storia aperta non sia un novum, manifestatosi alla metà del secolo XIX. Infatti, il mondo classico ebbe contezza nel kairos, nell’attimo immenso, del coappartenersi di presente, passato e futuro. Il kairos era esperito quale opportunità di compimento: una sorta di porta varcando la quale l’uomo si afferma di là dal tempo edipico. Eternità e temporalità storica in esso convergevano in unità. Lo stesso Benedetti fa notare come anche altri filosofi abbiano condiviso la medesima intuizione tridimensionale del tempo, in particolare Giovanni Gentile. Questi pensò il passato come atto “ossia come memoria e tradizione attuale sempre da re-interpretare e da far propria” (p. 69). Ci permettiamo di suggerire Julius Evola, il cui mondo della Tradizione, se letto alla luce delle acquisizioni teoretiche, è interpretabile entro la categoria del sempre possibile.

Peraltro, sulla pertinenza di Evola in tale congerie intellettuale, torna anche Adriano Scianca nel momento in cui, nel suo scritto Il Partito dell’Essere, si sofferma sui rapporti di Heidegger con il nazional-socialismo. Quello che Heidegger propose sarebbe stato un nazional-socialismo spirituale, contrapposto a quello volgare che storicamente si realizzò nel regime hitleriano. Egli avrebbe svolto un ruolo non dissimile da quello che Evola adempì in Italia nella sua azione di “rettifica” del fascismo. Ricorda, inoltre, Scianca il recente ritrovamento di un appunto di Heidegger, in cui si cita un brano tratto dall’edizione tedesca di Rivolta contro il mondo moderno del 1935, il che dimostra l’interesse di Heidegger per il tradizionalista. In questo senso, la proposta speculativo-politica dei due non può essere relegata nel novero delle teorie sic et simpliciter reazionarie.

L’unico appunto critico da muovere a Locchi, sta nella lettura del nazional-socialismo. Sul tema ci pare che proprio Heidegger abbia colto nel segno. Il Regime fu una possibilità che non si realizzò. Anzi, esso andava ricompreso come fenomeno epocale, nella stessa storia della metafisica, un momento rilevante del manifestarsi del Ge-stell, l’impianto della tecno-scienza. Al di là di questa pur considerevole distinzione, Locchi, nel libro che abbiamo sinteticamente presentato, si confronta a tutto tondo con il problema centrale della nostra epoca, la possibile transizione ad un mondo Altro. Il suo è davvero un libro nietzschiano, per tutti (lo auspichiamo) e (forse) per nessuno.

La copertina di “Sul senso della storia” di Giorgio Locchi

*Sul senso della storia, di Giorgio Locchi, (euro 12, AR, per ordini: info@libreriaar.com)

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Giovanni Sessa

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