E lo Stato non è buono. Fuori dall’Italia il nostro movimento calcistico arranca. Adesso esistono molti giovani rampanti, una pattuglia cospicua di questi dalla rutilante Atalanta di sir Gasperson. Giovani promettenti, ma ricordo un’altra Atalanta rutilante, nella stagione 2000-2001. Bella squadra, con tanti giocatori che brillavano di luce propria. Arrivò, puntuale, il saccheggio delle Grandi ma di questi ragazzi quasi nessuno ebbe una carriera veramente memorabile. Quindi calma. Anche se le promesse sono tante, coltiviamole sperando che si realizzino.
E intanto riflettiamo sulle difficoltà della Nazionale ma anche su quelle dei club. Dal triplette interista del 2010, solo la Juventus è arrivata a una finale europea, quella di Champions persa a Berlino il 6 giugno 2015 contro il Barcellona. Dal 2009-2010, cioè da quando è stata introdotta questa formula della Champions, con l’ultima squadra nazionale (prima la quarta, ora la terza dopo la retrocessione nel ranking), solo due volte su otto un’italiana è riuscita a superare i preliminari. Nel 2018, con la nuova riforma, l’Italia avrà di nuovo quattro squadre, ma il ranking conterà sempre. Le altre nazioni, anche quelle apparentemente con un campionato “minore” si impegnano, lottano. La Francia ha tre squadre in Champions. Noi agiamo con supponenza, con un senso del “tutto dovuto” che ci è costato tanto in numeri e umiliazioni.
E in Europa League è anche peggio. Sembra che da quando è andata in pensione la Coppa Uefa non ci troviamo più. Nel decennio che va dalla stagione 1988-89 a quella 1998-99, l’Italia ha conquistato 8 edizioni della vecchia Coppa Uefa, nel 2009 diventata Europa League. Dal 2000 ad oggi, zero e non siamo riusciti neanche a portare una squadra in finale. Il vero problema non è che si scansano le altre, ci scansiamo noi.